martedì 31 ottobre 2017


QUANDO IL MESTIERE E' IL PRINCIPALE ARTEFICE DI GRAN PARTE DELLA NOSTRA IDENTITA': CUSTODE DELLA NOSTRA CULTURA, crea ed erige testimonianze del presente e, copiando le bellezze naturali, produce quell'identità che è l'anima genuina di un popolo e delle sue consuetudini. Ne percepisce il verificarsi di eventi e vicissitudini, che sono la misura della loro grandezza e semplicità, nel loro essere quotidianità e socialità. Il tutto premia l'ispirazione all'idea del bello universalmente percepito e fattuale. A tale idea di bellezza ed espressione formale, si può pervenire – solo – con la massima padronanza ed afflato con la materia, che sono la squisita maestria delle tecniche e del plasmare; di più, i suoi effetti, guidati, sono dovuti ad un istinto, ad una appagante sintonia, che si fa linguaggio, proposta, convenzione, armonia. L'insieme, influenzato da un sentire antico che riecheggia dentro di te. Questo essere dentro se stessi, il conciliarsi, non è recluso solo ad un valore cronologico, generazionale, ma è dentro la vitalità di un popolo.

Da L'Apuano il Giovane. BLOG omonimo.



NEL BLOG: Manuale di scultura, con disegni e tecniche descritte. Approfondimenti vari, sulla qualità del marmo e delle lavorazioni. Non dimentichiamoci che la preziosità dei manufatti, che li rendono unici e rari, è dovuto alla personalità e sviluppo della singolare manualità, che sono dentro il ricercato mercato, dentro il tempio dello sviluppo e della emancipazione dei popoli. E nel loro usuale linguaggio convenzionale, il riconoscersi nella diretta appartenenza ad un particolare entità popolare. LE PROFESSIONALITA' SONO UN VALORE, PERCIO' LA SCELTA DI UNA SPECIALIZZAZIONE AMBITA E/O GRADITA, E' UNA SCELTA DA FARSI, ANCHE SE POSSONO VENIRE I CALLI ALLE MANI.


lunedì 30 ottobre 2017


QUANDO LA SCUOLA DEL MARMO ERA GIOVANE ED ISPIRAVA L'AMORE PER L'ARTE. QUANDO NELLA MATERIA MARMO ERA RIPOSTA LA PASSIONE E LA VOGLIA DI UN FUTURO MIGLIORE, DI VITA E DI LAVORO.


mercoledì 18 ottobre 2017


'L CAVAD

IL SEGNO E LA TRACCIA NELLA CULTURA : IL CAVALLO, IL GIGANTE, LE QUATTRO STAGIONI.

IL segno è ciò che ci permette di far conoscere, di prevedere qualcosa:

qualsiasi manifestazione artistica (immagine) che rivela un fenomeno, una condizione”. Da poco meno di un secolo, la scultura Carrarese, manca di una grammatica dei segni, di regole codificate per le copie; MANCANO personalità, stile, scuole, rimarcanti la IL SEGNO E LA TRACCIA NELLA SCULTURA: IL CAVALLO, IL GIGANTE, LE QUATTRO STAGIONI. “Il segno è ciò che ci permette di tradizione e la genialità dell'improvvisazione nel perseguire idee. E con ciò simboli, significati, di una civiltà artigiana che ha sempre coltivato, tramandandole, fior di individualità. Forse ciò che non ci appartiene lo troviamo di scarso interesse; e poco nei modelli commerciali o delle nuove forme, moderne, ci appassiona, se non in maniera effimera. Perciò il nostro sentire volge solo alla riconoscibilità delle cose, atte a soddisfare il contesto delle nostre relazioni. Dobbiamo considerare il segno nel marmo – nei vari passaggi dei ferri – l'affermarsi di una precisa identità e volontà, siano esse tracce univoche o plurali (subbia, gradina ecc..). “IL CAVALLO”, scolpito sottilmente con la sola subbietta è godibile per gli effetti ordinati della pettinatura e nel ricavare, con essa, anche particolari minimi (gli occhi). È la percezione della forma, così come è composta da un segno organizzato, che si insegue, si intreccia nei particolari, mai in maniera casuale, il vero tratto espressivo, nel ritmo omogeneo del reticolo. Lo stesso impasto lo troviamo nel “GIGANTE” del Baccio. Oppure nelle “QUATTRO STAGIONI” in via del Carmine, nelle quali i passaggi sono molteplici (compreso l'ugnetto, gradina, scalpello), che ancora si notano bellissimi di getto ed abilmente trattati. Sono tutt'altro che opere condizionate da una tecnica riproduttiva usuale, libera da un modello di tipo meccanico (uso dei compassi o “macchinetta”). In sintesi: se la parola esprime concetti, pensieri, formula idee, progetti ed ipotesi; lo scolpire è la parola del marmo, poiché riesce a comunicare e ad elaborare complessità. “Gli artisti, gli artigiani, non vivono nel nulla emotivo, sono testimoni del loro tempo in quanto eredi di una tradizione, attraverso la quale attingono il flusso che forma, spiritualmente, la loro personalità”.



Libero Del Monte.



UN GRADITO CONTRIBUTO DAL LIBERO DEL MONTE: “si tratta della statua di un uomo a cavallo, incastrata nello spigolo di un'antica casa in via Carriona. È una scultura equestre risalente all'epoca del basso impero romano”.

martedì 17 ottobre 2017

domenica 15 ottobre 2017

CORREZIONE IN TECNICHE (PREMESSA).
, che è maggiore della metà della statua. Il lavoro procede nel modo seguente: a) con "il punteruolo" si traccia una linea su una lastra di marmo - opportunamente annerita con carboncino ed erba grassa "v'rdiola" - sulla quale si porterà l'altezza della statua da eseguirsi:

giovedì 12 ottobre 2017

Tesi Apuano il Giovane





























                                    





INDICE DEL MANUALE DELLA BUONA SCULTURA: IPOTESI TECNICHE APERTE ALLO STUDIO E CONTRIBUTO DI TUTTI.

TESI DI MATURITA' E RIFLESSIONI SULL'ARTE. Seguono: VARI BOZZETTI (Tabelle).

Dalla Tesi di maturità” de “L'Apuano il Giovane”.

INDICE PAGINE:

1- 2 studio di un prodotto il marmo,

3-4 barocco,

5-6 “700 società in fermento,

7- 8 romanticismo,

9 riflessioni,

10-11 tecniche e significati,

11-12 sistemi di fratture, qualità marmi,

13 tecniche di riproduzione,

14-15 teorema talete,

16-18 preliminari, scandaglio difetti,

18-22 triangolo: tecniche, premessa,

23 tecniche mediana e punto falso,

24 tecnica: 3 punti un solo piano,

30 il piedistallo,

31-32 teorie, la vasca del Vasari,

33 “bodete”, e difficoltà sul triangolo,

35 tecnica triangolo rettangolo,

36 tecniche sconsigliate,

38 evitiamo il marchingegno,

43 tecniche precedenti e arte meccanica,

44 illustrazioni sbozzatura e smodellatura,

49 osservare o contemplare i segni,

64-68 autonomia dell'arte e dominio,

69 eseguire una statua minore del modello,

70-75 pantografo, metodo; poesia,

76-79 precisazioni triangolo isoscele e riduzioni,

80 il bisogno estetico dell'uomo,

96 composizioni, forme chiuse ed aperte,

101 segni,

105 le forme di base,

110-112 il linguaggio del movimento,

113-114 scultura, la poetica, le tecniche, il punto di vista,

117 poetiche in gioco,

121 la materia, le tecniche, i ferri,

124 figure intermedie, analisi,

125 qualità del marmo,

129 affettività della materia e fordismo,

140 l'anima,

142 un punto di vista diverso,

146 i caratteri chimici del marmo,

147 equilibrio del corpo,

149 statica,

152 la postura,

154 biomeccanica. Il centro di gravità,

156 continua postura,

160 consideriamo lo spazio in cui sono posti i solidi,

161 il movimento,

165 lo spregio tra arte moderna e commerciale,

170 la pietra racconta, i segni,

178 il lavoro della scultura,

180 la qualità del marmo,

182 tecniche,

187 strumenti lavorazione a mano,

189 i puntoni,

193 puntoni altra tecnica,

196 il plinto,

198 contemplare il lavoro,

199 precisazioni sui puntoni,

203 osservazioni su compassi e pantografo,

206 sbiancare il marmo robotizzata,

207scultura uso del robot

210 triangolo isoscele precisazioni,

212 congruità tra modello e statua,

213 e il prolungamento dell'angolo,

214 triangolo rettangolo e isoscele,

218 mortaio, produzione,

220 Canova, bello ideale,

223progetto per un mortaio

225 tecniche telaio e affini,

234 telaio altre tecniche,

235 una diversa impostazione del telaio,

236 come si può individuare un piano nello spazio,

237 il principio cavalieri,

238 riproduzione sculture, intaglio diretto,

241, CARRARA, crisi marmo laboratori a rischio,

242 prima ipotesi di uno studio,

243 disegno: esempi di riproduzione (intersezioni),

245 angolo di riduzione e ingrandimenti,

246 rilievi marmorei,

247 inizio smodellatura, tecniche particolari,

252 scale numeriche e grafiche,

253 quoziente di divisione,

256, le squadre del Vasari,

258 lardo di Colonnata e mortaio,

260 discipline plastiche, intaglio,

261 rilievi a tutto tondo,

264 sculture monumentali e architettoniche,

266 opere realizzate:

266-268 ara gaudium, tallone d'achille,

269 IPSIA MARMO programma,

273 ocelot,

273 la venere delle apuane,

275 l'estasi della libertà, m.me Pagany,

276 la musa addormentata.





TESI TERZA

Apuano il giovane

Premessa. Un masso rotola giù dalla china del "fronte di cava", dalla diversità del rumore prodotto i nostri vecchi ne deducevano la qualità del marmo e la compattezza del filone. Anche l'acqua, fatta scorrere sui banchi, a seconda della sua minore o maggiore permeabilità, denunciava possibili difetti e venature. La necessità di produrre tagli paralleli al piano di sedimentazione, a gradoni, per l'estrazione di blocchi interi, imponeva l'obbligo di avere un livello di riferimento. Questo nel racconto dei cavatori di un tempo, non poteva che essere l'orizzonte, come campo visivo opportunamente traguardato.

Cosicché molte delle operazioni e dei problemi venivano risolti con una buona dose di empirismo, nonostante l'affacciarsi già dei primi mezzi meccanici ed il metodo del filo elicoidale. Nel breve volgere di pochi lustri, l'estrazione del marmo ha conosciuto una vera e propria rivoluzione, tale da sconvolgere tutti i sistemi di lavorazione ed anche le finalità d'uso del marmo stesso. Le ferite nelle nostre montagne sono sempre più evidenti, a vista d'occhio, giorno dopo giorno, così pure l'aspetto paesaggistico. Ciò è dovuto alla grandissima quantità di marmo prelevato, contemporaneamente all'impiego di potenti mezzi tecno-meccanici. IL risultato è la distruzione, a breve, di un patrimonio insostituibile e non riproducibile.

Un materiale nobile, il marmo di Carrara, che per le sue caratteristiche e lavorabilità ha il suo naturale impiego nella scultura, in architettura, nell'ornato, così come testimoniano le grandi opere del passato.

LO STUDIO DI UN PRODOTTO - IL MARMO - CHE, GRAZIE AL SUO UTILIZZO ARTISTICO, E' RAPPORTATO AD UN EPOCA STORICA DI RILEVANZA ECONOMICO-SOCIALE [MA] CONDIZIONATO DAI RAPPORTI CON I POTERI COSTITUITI NEI SECOLI

Mi vengono spontanee alcune domande: cosa sarebbe, oggi, Carrara senza la preziosità dei suoi bacini? Quale sarà il suo sviluppo futuro, quando professionalità, tecniche, mestieri e saperi scompariranno definitivamente? E' in corso una gestione monopolistica delle cave che privilegia la rendita e la fuga di notevoli quantità di capitali dalla città, a dispetto di quella che è sempre più considerata una modesta periferia funzionale solo ad assicurare ampi margini di profitto: altro che “capitale mondiale del marmo “ , è il capitale locale di pochi. Il prodotto finito e artistico è abbandonato all'iniziativa di pochi, declassando un sistema di relazioni culturali e produttive nei settori artigianali, industriali e nell'indotto; i quali in passato hanno contribuito ad elevare Carrara come città d'arte. La strategica presenza di ben tre istituzioni scolastiche, l'Istituto del Marmo, il Liceo Artistico, L'Accademia , non hanno più un ruolo interattivo e si avviano a produrre un'istruzione fine a sé stessa. Ne' il ricordo di illustri presenze del passato, né quelle attuali, piuttosto rare, risolvono il problema tradizionale/ereditario.

Molto si è detto sulla presenza di Michelangelo a Carrara, alla ricerca dei blocchi migliori, e molto di più è stato detto su tale commercio e dei rispettivi atti notarili. Ciò che è rimasto in ombra è la fiducia che il Maestro nutriva nelle maestranze carraresi; fiducia pare ben riposta, considerata la meticolosità delle sue richieste per le forniture. Già prima del "500 era conosciuta la perizia delle nostre maestranze nello scandaglio e nello sgrossare, poiché le difficoltà di trasporto obbligavano i nostri predecessori ad effettuare gran parte del lavoro in cava: capitelli, colonne, statue, ecc...

Sembra certo che figure sbozzate fossero richieste da Michelangelo stesso. E la sbozzatura richiede abilità e conoscenza dei materiali: non solo per portare la figura più aderente alle misure del modello, ma anche per evitare difetti,venature, luzche, che ne avrebbero deturpato la finitura. Da ciò nasce la nostra struttura artigianale: cavatori, scalpellini, smodellatori e scultori rifinitori; insieme ad altre mansioni complementari: sbozzatori, il pannista (indumenti), ornatisti (elementi floreali, capelli, decorazioni); poi accessoristi, raspatori e lucidatori. Figure considerate minori, ma non secondarie nella buona riuscita di un lavoro; figure sempre in ombra rispetto ai primi piani dell'artista, ma che stanno lentamente scomparendo con la decadenza della realtà artistica carrarese.

Mi sembra importante, di seguito, indicare alcuni periodi che hanno caratterizzato la scultura della mia città e rappresentato, nei secoli, la sua principale rendita.













IL BAROCCO IN ITALIA

(Le storie del marmo sono anche vicende di grandezza e miseria)









Dal predominio Spagnolo e l'età della Controriforma, l'oppressione politica e lo sfruttamento economico, soffocando ogni libertà, determinano un grave stato di disordine e miseria (1559-1713). Al "600 appartengono scienziati e pensatori inquisiti per le loro efficaci ed originali teorie, annuncianti l'era moderna. Mentre gli altri paesi europei, in quegli anni, crescono in potenza economica, e una nuova classe borghese, oltre a costruire una civiltà all'avanguardia, attua un profondo rinnovamento delle lettere e delle arti. L'affermazione del Barocco arte pomposa e teatrale volta ad impressionare, sospinta dalla chiesa ormai trionfante sulla riforma, impone questa risposta mediatica dagli effetti illusionistici e monumentali. Furono soprattutto l'arte e gli artisti italiani, in particolare carraresi, a beneficiare del rinnovato potere della chiesa cattolica , che divenne la principale fonte di commissioni, in primis Roma si fece metropoli d'arte. Questo impegno saturo di intenti propagandistici e auto celebrativi erano in grado d'influenzare le emozioni, puntando sul potere persuasivo del bello. Così’ come Michelangelo, anche G.L. Bernini, ispirandosi alla magnificenza della fede, si servì delle maestranze carraresi. Soprattutto di Giuliano Finelli.













IL " 700





UNA SOCIETA' IN FERMENTO TRA RINNOVAMENTO E RIFORMA









Ciò a seguito di una profonda trasformazione della società e del forte impulso alle nuove idee ed all'inarrestabile sviluppo del pensiero scientifico, destinati a creare esigenze e condizioni di vita radicalmente diverse; contemporaneamente, la soluzione dei problemi tecnici e la creazione di nuove macchine, agevolarono l'attività degli operai. Con l'avvento di nuove industrie si diffonde un grande ottimismo. Nasce l'era moderna , prima in Inghilterra poi in Francia, con il sorgere di una nuova atmosfera culturale detta Illuminismo, che libera le menti dalle tenebre e dalle superstizione: conoscere ed imparare, una possibilità aperta a tutti per poter criticare tutto. Le nuove conquiste scientifiche ed industriali diffusero un grande ottimismo, posero l'uomo al centro di un forte e vivo processo di rinnovamento, con la certezza di modificare la propria vita, conquistando felicità e progresso ( ma ciò non si avvererà mai). La nascente borghesia guidava questo processo: diritti e valori, uguaglianze, divennero una potente arma politica per difendere la dignità dell'uomo. Libertà in tutti i campi: politico,economico, culturale. Dunque libertà anche nei commerci e nell'arte, di pensiero e di stampa. Contro il vecchio assolutismo tutte le porte furono aperte, anche nei confronti della vecchia committenza nella produzione artistica. La parola magica del libero mercato divenne sinonimo di una libera espressione non più deferente ma in libera concorrenza contro il monopolio della chiesa. Si affermò in questo contesto l'esigenza di un'arte chiara guidata dall'intelletto, riscoprendo - in contrapposizione al barocco - il modello classico Greco-Romano. Sorge il neoclassicismo.

E' il periodo (dalla seconda metà del secolo XVII) in cui affiora, meglio di altri, la perfetta riproduzione di opere ispirate all'antichità, piegata più alle esigenze del mercato collezionistico e antiquario . E' un periodo aureo per Carrara. [ I CARRARESI A ROMA, opere degli scultori dal “600 ai giorni nostri. BENEO].

Alla ricerca del bello ideale, anzi di inventare la bellezza, si ispirò Canova, rispecchiando fedelmente le teorie espressive di J. Winckelmann: “l'arte come modello di virtù, e un rinnovamento ritrovato nei principi di razionalità, funzionalità e semplicità espositiva”. Anche Canova lasciava la fase preparatoria ai nostri artigiani. La sua tecnica individuava quattro fasi:

1) disegni preparatori; 2) modello in creta a cui faceva seguito il calco in gesso; 3) sbozzatori e smodellatori, con il sistema dei punti e del triangolo di proporzione, e lo scultore che li spianava fino al quasi finito, consegnavano l'opera nelle mani del Maestro. 4) L'ultimissima fase era curata dal Canova: consisteva negli ultimi ritocchi e nella levigatura e lucidatura dell'opera, terminando con una distesa di cera in tutta la superficie. Il Canova interveniva nei suoi lavori anche dopo lunghi intervalli di tempo, fino a quando non era pienamente soddisfatto.

( Questa impostazione, preparazione del modellino in gesso, è anche la scelta di molti artisti contemporanei, sia per la lavorazione in marmo che in bronzo).

Ma già il gusto neoclassico stava cambiando, con le prime proposte romantiche e realiste, anche se il retaggio neoclassico era duro a morire, mentre processi stilistici e nuove correnti cominciarono a gettare le fondamenta di quella che sarà l'arte d'avanguardia.





IL ROMANTICISMO





La sensibilità romantica nasce dalle rovine della Rivoluzione francese e con essa del progetto illuminista. La ragione non era più in grado di soddisfare la totalità dell'esperienza umana, nasceva così il mito dell'anima, riaffermando l'esistenza di un centro interno.

"Assai scarsi sono i risultati artistici nel campo della scultura, non soltanto in Italia ma anche fuori". La critica è avara di citazioni, fatta eccezione per Lorenzo Bartolini, che dal 1816 al 1826 intrattiene rapporti con lo studio Lazzerini in Carrara, mostrando, nei suoi contatti epistolari, una notevole fiducia nelle " capacità tecniche ed interpretative delle nostre maestranze". Infatti, in un incarico a Roberto Lazzerini, richiede la riproduzione di due sue opere "debolmente modellate"; per poi congratularsi, a lavoro terminato, del buon marmo e della perfetta esecuzione". L'apprezzamento per le nostre maestranze era notevole, a tal punto che Arturo Martini confessò: "tant'è vero che tre quarti degli artisti mandano qui degli incompiuti modelli,fidando di trovare a Carrara i geni che rimettono a posto le loro magagne".. poiché in effetti sono .."degli autentici stradivari". [ Scultura a Carrara, OTTOCENTO ].

Nonostante una ricca produzione di opere, prevalentemente a Carrara come a Roma - ma anche nel resto d'Italia e all'estero - non vi è alcun cenno dei raffinati artisti che nel periodo Barocco ed in quello intermedio, tra neoclassicismo e romanticismo, ricoprono un periodo importante del "900 ed oltre. Una storia, insomma, che sembra svanita nel nulla: prima di tutto nel sentire dei suo cittadini, e nel vivere della città, come gruppo sociale che vi appartiene, a tutto tondo direi. Non più il ritmar dei suoni materici nei cento e più laboratori sparsi ovunque, anche nel centro storico; si perdono i saperi che hanno impastato il nostro linguaggio di modi di dire nell'ironia come nelle metafore: "lu lí i a 'l kóntr 'n tésta"; " avér i oći a kul d' subia ". E nulla e poco rimane, è rimasto, del passaggio di artisti illustri.





RIFLESSIONI





CARRARA rinomata per la qualità del suo marmo, deve la sua celebrità alla grande fama dei suoi clienti ed al conseguente settore commerciale, assai meno all'importante mestiere della scultura. Sensibilità ed abilità artigianale sono spesso ignorate, attuando una separazione netta tra fedeli tecniche di riproduzione e creazione artistica.

Chi lavora il marmo sa bene che, al di là delle capacità migliori, esiste un trasporto soggettivo, personalissimo: è un particolare modo di intagliare il marmo, con diversi passaggi da un utensile all'altro, che può dare freschezza od opacità al lavoro, promuovendo illusioni lineari o chiaroscurali diverse. Non solo: lo stesso artigiano non riesce a fare una copia uguale all'altra, pur utilizzando gli stessi strumenti e materiali. I mezzi espressivi non sono immutabili ed uguali nel tempo, così pure la tecnica e la manualità.

Il marmo è un materiale nobile, da tutti considerato fonte di particolari forme espressive. La sua compattezza, unita all'unicità delle sue caratteristiche estetiche (struttura cristallina e trasparente), sono naturali sorgenti di bellezza. Qui incide il mestiere: un meraviglioso incontro di sensibilità ; un avvincente dialogo tra l'uomo e la materia, nel dar luce, colore, brillantezza; nell'impastare un modellato anziché un altro, oppure levigarlo o lucidarlo. Colori e masse assumono un significato; ma è come concepiamo il protagonismo della materia e la sua predisposizione ad immergersi nella luce, quale materia scolpita, in grappoli di significanti che assumono una direzione del senso. È nella corposità, nella delicatezza dello sfumato, che, con maggiore o minore luminosità, la luce, scivola in armonia sulle opere scolpite. Ed è sempre la stessa che ci presenta, nel modo voluto, come un corpo occupa o trasforma uno spazio.

# . Se il sistema commerciale, per ragioni di lucro ha spesso messo in ombra gli esecutori rispetto alla figura dell'artista, ideatore dell'opera, Carrara si è onorata della presenza di intere dinastie dedite al mestiere della scultura, che all'interno delle loro botteghe hanno allevato fior di maestranze. Le vicende e le vie del marmo sono alquanto tortuose ad iniziare dal " 400, che vede accanto ad artisti minori, meno conosciuti e mal pagati, una moltitudine di elaborati che hanno ben arricchito il nostro territorio e fuori di esso. Anche allorquando le richieste provenivano da una committenza con modeste risorse finanziarie.

Il recupero effettuato da CATERINA RAPETTI, con le sue "Storie di marmo", merita un cenno ed una dovuta consultazione # .





TECNICHE E SIGNIFICATI

" La parola marmo è usata a denotare calcari che si dicono solitamente cristallini, cioè le rocce formate da un aggregato omogeneo di grani di calcite... Fra i marmi statuari, i paonazzi, i venati, i biancochiari ed i bardigli, passa la diversità di struttura nell'impasto generale del calcare marmoreo: per cui, nel marmo statuario più puro, non si troveranno, nella sua massa, che pochissime macchiette e sparse venature" . Le pietre non vengono più indicate come nell'antichità, sotto la parola marmo. Almeno quelle che superano in durezza lo statuario. Ciò in base alla loro lavorabilità: la proprietà che ha il marmo di lasciarsi segare, scolpire e lucidare per mezzo di strumenti adatti. Perciò i marmi apuani, con la loro finezza di grana, vanno distinti, per la loro scolpibilità in confronto dei loro omologhi. Mentre la durevolezza è la proprietà che hanno di conservarsi più o meno inalterati sotto l'azione degli agenti atmosferici.

Nel linguaggio comune i marmi si distinguono in crudi o fieri, deboli o fragili. Il marmo crudo, detto anche fresco, appena estratto dalle cave, si mantiene così per lungo tempo, anche alle intemperie. Infatti un blocco ed un lastrame fresco, quando sono isolati e percossi, le loro vibrazioni emettono un suono cristallino. Mentre ad un minor grado di freschezza e di coesione, i marmi danno un suono pastoso e gradevole; quelli cotti un suono sordo. La minore o maggiore resistenza del marmo non è solo riferita alla sua qualità, ma anche rispetto alla sua sedimentazione.





SISTEMI DI FRATTURE

Se i banchi marmiferi sono cristallizzati in modo perfetto, i "peli" che attraversano il marmo sono disposti in maniera favorevole, possono essere seguiti su due o tre piani di stratificazione o fratture, tra loro grosso modo perpendicolari: "il pelo al verso", di più facile distacco, segue il piano di sedimentazione; "i peli al contro", verticali alla reale stratificazione, sono orientati secondo la direzione di questa (dei banchi); mentre "i peli al secondo sono diretti in un piano perpendicolare ai primi due, seguendo l'inclinazione dell'insieme (la pendenza).





I PELI





I peli furbi: microfratture chiuse che si aprono durante la lavorazione o dopo la messa in opera; fratture appena percettibili sulla superficie dei blocchi. Sovente di lunghezza notevole orientata in una direzione qualsiasi.

I peli ciechi: microfratture interne al blocco, pelo occulto, che non sempre si riesce a rilevarlo.

Ognuno di noi che inizia una qualsiasi lavorazione, oltre a scandagliare il blocco, nel senso delle misure, è obbligato ad indagarlo in tutta la sua dimensione; così lo si bagna con l'acqua e lo si guarda mentre asciuga: laddove si compie l'asciugamento - se esiste un pelo o una luccica in superficie (non immarmata) - lungo la linea di questi appare una traccia di umidità; è l'acqua che vi è penetrata e stenta ad asciugare. Generalmente il marmo che è intorno al pelo è soffuso di una tintarella giallastra, rossiccia o brunastra. Questa colorazione è dovuta alla presenza di materie eterogenee che attraverso l'umidità sono state assorbite dal marmo lungo il pelo. E' una spia che tradisce la presenza di peli generalmente serrati ed invisibili. Però chi lavora il marmo si avverte subito se si imbatte in un pelo: perché quando vi penetra il ferro la scaglia rimane tronca, esponendo una discontinuità nella materia. Nei blocchi greggi questi difetti vanno purgati (eliminati seguendone la traccia). Solo dopo si ha la maggior certezza di un lavoro sicuro. La bagnatura, inoltre, ci dà un'idea dell'aspetto che assumerà il marmo a prodotto finito.









TECNICHE DI RIPRODUZIONE DELLE STATUE IN MARMO





Utilizzo dei compassi nella scultura.





Generalmente le statue si riproducono in marmo da piccoli modelli in gesso, in scala di proporzione. Può accadere, diversamente, di eseguire una statua di grandezza minore del modello”. In tutti i casi è necessario assimilare il concetto di solido geometrico che, la scienza della geometria, studiando lo spazio occupato, esprime due proprietà: la forma e l'estensione ( il volume nelle tre dimensioni: altezza, larghezza, lunghezza ). Ogni figura solida è un insieme infinito di punti, che “non sono tutti situati nello stesso piano”. Poiché nello spazio essi si identificano su infiniti piani, come potremo individuare ognuno di essi?

Per far ciò occorre attuare, con i compassi, tre diverse intersezioni, prese da altri tre punti presenti preventivamente sul modello e strategicamente predisposti in funzione del triangolo di proporzione, se la statua da eseguirsi non è di misura uguale al modello. È ovvio che sul modello vanno predisposti, sempre e strategicamente tutti i capi punto necessari.

TEOREMA DI TALETE. - Utilizzo del triangolo di proporzione -.

In un triangolo rette parallele ad uno dei lati dividono gli altri due in parti fra loro proporzionali”.

Consideriamo ora un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali, se prolunghiamo queste due semirette, fino al loro punto di incontro detto origine, la nuova figura, così ottenuta, assumerà il disegno di un triangolo. A tal punto che, la stessa, diventerà un insieme di triangoli: sequenza proporzionale e congrua di segmenti ed angoli, che saranno tanto numerosi quanto ne saranno prodotti dalle molteplici parallele ivi predisposte, in sequenza a partire da un vertice 0 (detto origine). Quindi, le rette che uniscono, coppie di segmenti corrispondenti, sulle due trasversali, formano con l'angolo O triangoli simili. Teorema di Talete: “ un fascio di rette parallele determina su due trasversali due insiemi di segmenti tra loro direttamente proporzionali”.

Dei triangoli, prenderò in considerazione solo i loro rapporti di similitudine ( lati corrispondenti in proporzione e angoli fra loro congruenti). Simili, ma non uguali, cioè non sovrapponibili e combacianti; e neppure equivalenti perché uno più esteso dell'altro.

Si dicono simili solo due o più figure di uguale FORMA, come lo sono i diversi ingrandimenti di una stessa fotografia o un disegno visto con la lente di ingrandimento. Ciò per mettere in evidenza un teorema di Talete: " In un triangolo la parallela ad uno dei lati, che incontra gli altri due, li divide in parti proporzionali", originando due triangoli simili. In maniera più esplicita: i quattro segmenti dati ordinatamente in quella divisione dei lati, sono in proporzione, poiché il rapporto dei primi due è uguale al rapporto degli altri due, e il prodotto dei loro medi è uguale a quello dei loro estremi. Questo rapporto è un valore costante, dato da angoli ordinatamente uguali e lati corrispondenti proporzionali. Rammento queste elementari nozioni scolastiche utili, nel prosieguo delle illustrazioni tecniche, al calcolo dei rapporti in scala. E' evidente che il rapporto fra due numeri, presi in un certo ordine, è il quoziente della loro divisione espresso mediante diverse scritture es: 1/2 , 1: 2, 0,5. Due rapporti si dicono uguali se hanno lo stesso valore, mentre si definisce proporzione l'uguaglianza di due rapporti ( a:b = c:d ). Che cosa si vuole indicare? Esiste una semplice relazione, singole misure prese con il triangolo di proporzione, ad esempio sul modello, possono essere sviluppate nella scala stabilita e trasportate su un elaborato ( es. una statua ). In questo caso dobbiamo considerare la particolarità dell'esecuzione rispetto ad un qualunque disegno geometrico. Nel disegno l'ingrandimento o la riduzione, si possono fare tracciando, nella scala grafica dell'angolo o triangolo di proporzione, tante parallele quante sono le misure da trasferire, da un disegno all'altro. Ma in una statua lo smodellatore ( detto anche puntatore ) deve trasferire migliaia di punti e non può segnare una moltitudine di rette senza creare un grande confusione nel detto triangolo. Consideriamo che per fissare un punto sul marmo vanno prese tre diverse misure, se vogliamo definire esattamente la sua posizione ( il suo piano ) nello spazio. Una figura geometrica si dice piana quando tutti i suoi punti sono situati nello stesso piano; al contrario, si dice solida quando i suoi punti - non - sono tutti situati nello stesso piano. E' evidente che il nostro smodellatore non opera su una figura piana ma su un solido contenuto nello spazio. E' come se tutte le volte, nel trasferire un punto, dovesse determinare il vertice di una piramide, su base triangolare: con i compassi, sempre in proporzione, trova, prima la sua base ( lunghezza e profondità ), poi la sua altezza. Più il modello è tempestato di punti, più la riproduzione sarà fedele.

PRELIMINARI: lo smodellatore sceglie il blocco più adatto, lo scandaglia per vedere se contiene, e come, il modello; questi, va posto sul piano lastra in modo da disegnarne il perimetro, nella postura migliore e più utile, affinché, raffrontandosi con il marmo, non risulti né scarso né troppo abbondante. Nella presente tecnica, il procedimento prevede che lo stesso contorno sia disegnato in prossimità degli spigoli di base del blocco; mentre in altre si usa la partenza del piano in alto. Inizialmente, lo scopo palese è quello di riportare i relativi perimetri in proporzione e nella medesima posizione, oltreché il volume del blocco più attinente alla dimensioni della statua da farsi, dovendosi eliminare lo sfrido, se troppo in eccesso. Dopodiché il marmo lo si ispeziona in tutte le sue parti lavandolo con acqua. La bagnatura serve a mettere in evidenza le possibili macchie, che potrebbero deturpare il lavoro finito; oppure eventuali peli, altri difetti e lucciconi. I peli e gli strappi vanno purgati, mentre macchie e lucciconi dovranno, se possibile, essere evitati o nascosti nella sbozzatura. Il blocco scelto è rifiutato, se non sono eliminabili i difetti che ne potrebbero compromettere l'opera. COMINCIAMO a studiare il lavoro: a) lo scolpire è si l'arte del cavare, ma con criterio, aggiungo. Vanno individuati i piani, maggiormente in rilievo delle figure, partendo da quelli più alti. Consideriamo che ogni opera ha la sua posizione nello spazio, dobbiamo semplificarla, nel nostro immaginario, rapportandola, il più possibile, ad un'insieme di forme geometriche (composizioni sferiche, coniche, articolazioni triangolari o romboidali, ecc.. ), il tutto simile ad un abbozzo.

b) Il modello di solito è fissato su un piano costituito da una lastra, all'interno di uno schema rettangolare ( semplifico: comunque riconducibile a questo o altro perimetro). Anche il blocco è orizzontale; un'attenta osservazione ci consiglia come lavorarlo nel perimetro prefigurato dal modello-lastra-capipunto. Ciò per evitare che delle possibili macchie possano finire in quelle parti della figura più visibili o importanti; ma anche per sfruttare meglio il contro, per collocarvi, eventualmente, quelle articolazioni sbilanciate o staccate dal tronco e perciò più fragili ( es. braccia, mani, ecc. Immaginiamo la debolezza della pedata di uno scalino se questa fosse collocata al verso).

IL nostro punto di partenza è sempre un piano, come identico è il nostro punto di vista, che focalizza due forme, supine, in pianta, statua/modello. Posizione della statua supina, oppure eretta [potrebbe anche essere lavorata nella posizione eretta], posizione che normalmente assumerà a lavorazione finita. I piani sono identificabili, nel nostro esempio, con tre punti non allineati, una retta ed un punto fuori di essa [in modo diverso, con due rette incidenti, o due rette parallele.]

L'uso dei compassi, quindi, è più pratico. Operiamo secondo il teorema di Talete esclusivamente sul triangolo rettangolo o isoscele.





TECNICHE (PREMESSA)





Nell'uso dei compassi si prevedono più casi: - notoria la semplificazione di quelle che escludono il triangolo di proporzione, quando si debbano eseguire statue di dimensioni uguali o doppie del modello. Al solito, eseguendole maggiori del modello, si utilizzano, con il triangolo, particolari tecniche. L'una, più facile, è possibile solo nel caso in cui l'altezza della statua è minore del doppio del modello ( operiamo su un triangolo isoscele). Più usuali, altre tecniche, in cui il trasferimento dei punti si fa su grandezze variabili. Illustreremo, in un capitolo a parte, queste particolari lavorazioni rispetto al modello. Particolare è il riporto nell'esecuzione di una statua più piccola del modello (in riduzione ).

Nel primo caso, in scala 1:1, è sufficiente riportare, pari - pari, le misure del modello o raddoppiarle per duplicare, tra le altre, una tecnica sul triangolo isoscele è possibile solo se Il modello SUPERA la metà della statua da farsi. E' evidente che per effettuare, da A-B, l'intersezione, la misura del modello dovrà superare la metà dell'altezza della statua: poniamo che questa sia, nel nostro esempio, di cm 160; a fronte di un modello di cm 100: sia cm160:2 = cm 80<100 -="" a="" altezza="" annerita="" b="" carboncino="" che="" con="" da="" della="" di="" ed="" erba="" eseguirsi:="" grassa="" il="" l="" la="" lastra="" lavoro="" linea="" maggiore="" marmo="" met="" modo="" nbsp="" nel="" opportunamente="" porter="" procede="" punteruolo="" quale="" rdi="" seguente:="" si="" statua.="" statua="" su="" sulla="" traccia="" una="" v="">si avrà il segmento AB ( cm 160 ). Poi, con apertura di compasso uguale all'altezza del modello ( cm. 100 ), si fa centro in A e B descrivendo due archi che si intersecheranno in C. Da C, sempre con il punteruolo, si tracciano due linee che si congiungono con A e B ( ACB sarà il nostro triangolo isoscele). Allora presa una misura sul modello, con il compasso si riporta in A C, facciamo che essa sia AD: tenendo fissa una punta in (D) si porta l'altra punta, sempre con apertura uguale ad AD, su AB in (E): allungando la forbice, la EA sarà la nostra misura che si deve trasportare sul blocco. Così, con il doppio passo, si riportano tutte le altre misure (vedi TAVOLA n. 6 ). Inizia così il posizionamento dei capi-punto, che saranno la guida tecnica più sicura e permanente dello smodellatore. I capi- punto sono fissati, come già detto, nelle parti più emergenti del modello; ma anche dove possono essere strategici per puntare la figura di rilevazioni. Rammento che i compassi lavorano in maniera più precisa quando si intersecano, il più vicino possibile, all'angolo di 90°. Questi i passaggi permanenti e ripetuti: misura dal modello, riporto sul triangolo, trasporto della misura proporzionata sul blocco. Questo, però, non sempre è “ squadrato “, può essere un informe; allora meglio spianarlo, almeno sul piano alto, e adeguarlo alla dimensione voluta ed utile, simile a quella di solido geometrico conforme al particolare posizionamento del modello. Si inizia così l'attacco principale in una delle facce del blocco, in alto o in basso; o dal suo perimetro limitrofo alla base, entrambi omologhi a quelli del modello, nel rispetto della proporzione scelta. Per l'intaglio, la postura del modello è scelta a seconda dell'atteggiamento figurato della scultura: può poggiare sulla sua stessa base, come essere adagiata orizzontalmente su un piano lastra o composta su un usuale banco; comunque predisposta in maniera funzionale allo sbozzo e smodellatura. Ciò privilegia il piano di attacco, preminente per fissare i primi fondamentali capi punto. Ottimale è sempre, quel blocco che, tagliato e sagomato secondo la forma del modello, agevola il primo intervento. Normalmente un blocco squadrato, con gli spigoli laterali perpendicolari ai piani delle basi, si presenta nelle condizioni ottimali per una pronta applicazione tecnica, di partenza e miglior prosieguo.

LA PARTENZA DALLA SBOZZATURA, con i primi capi punto di partenza.

In una tecnica il perimetro intorno al modello, sia esso inciso sulla sua base che incluso nel piano lastra, va alla pari riprodotto, nel marmo, secondo i rispettivi attacchi, predisposti nel piano di lavorazione. Sarà, anche, un riferimento per l'intaglio ed il riporto dei capi punto di partenza.

L'altra tecnica, con una figura sempre supina - il marmo è stabilmente conforme alla posizione del modello: si prevede una funzione della base, che, lavorata e spianata a mo di un poligono regolare, predispone il piedistallo della statua, nel migliore dei modi per impostare il piano di partenza, rappresentato dalla faccia superiore del marmo.

Nel primo caso, invece, necessitano la disponibilità delle facce laterali, per segnarvi lo stesso perimetro già predisposto intorno al modello, sempre in scala.

L'importanza dei piani: ragioniamo convenientemente su un modello in posizione orizzontale che, visto in pianta, secondo l'attacco principale, assume la forma di una figura piana all'interno di un perimetro del quale ne immaginiamo le tre dimensioni uscenti dai suoi vertici di base. Questo per il modello. Mentre nel blocco le facce laterali e le basi sviluppano naturalmente e concretamente le dimensioni del volume.

Riprendiamo alcune tecniche GIA' ANNUNCIATE per l'esecuzione di elaborati di altezza maggiori di quelle del modello.

Iniziano dal secondo, preparazione dal piano in alto.

Sulla faccia superiore del blocco e su quella virtuale del modello – recepita, di solito, dai tre capi punto -, si individua la linea di mezzo che taglia in due parti la figura, ma che allo stesso tempo divide i due poligoni. È una linea reale che segna parti di piano del modello e del marmo, longitudinalmente, e che viene delimitata alle estremità, in qualità di capi punto estremi, da due chiodi a testa piatta, conficcati nel gesso. Mentre nel marmo si possono indicare con due fori fatti col punteruolo. [spesso, in questi fori del marmo, per evitarne l'usura, è prassi inserire i chiodi su indicati, all'uopo amputati vicino alla capocchia, distanziati da essa di 5/6 millimetri, e fissarli col mastice. Tutti i chiodi saranno forati sulla testa in modo da poter ospitare le punte dei compassi e render più ferme e precise le misure.]

Il fine è quello di rendere visibile, tutte, le manovre possibili, posizionando la figura nello spazio utile dato e funzionale alla sua riproduzione. Poi lo smodellatore a furia di punti riproduce nel marmo gli stessi ed i piani della figura, iniziando da quelli emergenti : dallo sbozzo e, via via, sempre più aderenti alla forma finita.





SEGUE:TECNICA della linea MEDIANA o DI MEZZERIA.

E DEL PUNTO FALSO. (E' possibile utilizzare a piacere il triangolo isoscele o rettangolo; sempreché lo consentano, il rapporto in scala delle rispettive altezze.).

Abbiamo già considerato i capi-punto alle estremità del modello sulla linea di mezzo, nel corso della sua altezza ( uno ai piedi, uno alla testa ). Detta linea retta sarà parallela “all'orizzontale” in fedeltà alla livella. Ora cominciamo a fissare i punti 1 e 2 sul blocco: si prenderà, con i compassi, la misura 1-2 dal modello, debitamente aumentata col triangolo di proporzione e la si riporterà sul marmo. Ciò fatto non abbiamo ancora individuato il nostro piano che si troverà con il punto 3, ancora da fissare: lo si farà, a ritroso, dal marmo al modello, posizionando, se non è presente, su quest'ultimo, un chiodo a testa larga ( capo punto). Operiamo, come si è detto, a rovescio, partendo dai punti 1-2 del marmo: su esso proviamo tutte le intersezione possibili aprendo i compassi su 1 e 2 verso una faccia laterale, acuendo il nostro ingegno per trovare la giusta posizione del punto 3. Siamo con la mezzeria su un piano, ma le nostre necessità sono quelle delle dimensioni della prospettiva assonometrica: altezza, larghezza, profondità. Quest'ultima ci manca e va trovata nello spessore del blocco, poiché è la nostra miglior cala, quale terza misura che individua il punto 3 nello spazio. Operiamo più manovre - che ci consentono di calibrare, il punto <3> mediando tra il marmo e il modello-, per la giusta posizione della linea <1 2="" e=""> , avvicinandola o allontanandola dal fianco del blocco, fintantoché non si è trovato la posizione ottimale del <3> nel volume o “dimensioni” del marmo. Ottimale perché si è scandagliato e trovato - nello spazio compreso tra i due piani, in alto e in basso, delle due basi -, la giusta collocazione del piano, passante per il punto 3. Solo allora lo fisseremo definitivamente sia nella faccia del blocco, che nel piano del modello. Teniamo presente, sempre, una sola condizione: il blocco deve poter contenere, agiatamente, la statua da farsi. Con questo punto 3 avremo comunque un piano funzionale, detto del "punto falso", biunivoco, che ci consente una partenza “quasi fatti”. Quasi fatti sta a significare la ricerca della biunivocità tra modello e marmo, non togliendo ancora la parte di materiale eccedente. Sfruttiamo la possibilità di fissare un capo un punto di comodo. Lo facciamo anche se dovessimo installare un piastrino – mini supporto - che lo ospita sul piano lastra e fuori del gesso. La distanza, minore o maggiore, di questo supporto, è una precauzione tesa a sfruttare, momentaneamente, tutta la roba dello sfrido ( a tutto marmo), e può agevolare la partenza e lo sbozzo.



Esplicato così il punto 3 di servizio, molto utile per il prosieguo dei lavori, detto in gergo “ punto falso “ , ma è tutt’altro che falso e provvisorio poiché assolve bene lo scopo prefissato. L'operazione trova poi conferma nel raffrontarsi con i punto omologo nella faccia opposta, il "4" , per trovare la quadra secondo l'assetto complessivo della figura da riprodursi. E poi di seguito, il trasporto degli altri capi punto emergenti.





Usiamo l’impostazione di lavoro dianzi descritta a seconda delle circostanze imposte; così come anche la seguente è di facile esecuzione.

Continuiamo ad operare sul triangolo isoscele A-C- B.

ILLUSTRIAMO UN SISTEMA CLASSICO. Preliminari.

Intorno e dalla figura, immaginiamo di svilupparne il volume, partendo dal perimetro disegnato sul piano lastra. Tale parallelepipedo virtuale, come quello reale del blocco, dovrà contenere, nelle proporzioni stabilite, il modello. Prefiguriamo due piani alti: uno del modello (dato dai tre capi punto); l'altro sulla reale superficie del blocco. Fissiamo anche sul marmo i tre capi punto di partenza, in corrispondenza di quelli già fissati sul modello, uno alla testa due ai piedi. Si prende, col compasso, la misura 1-2 posta alla base del modello, non più nella mezzeria. E, sul triangolo di proporzione – A-B-C –, ripeto le stesse intersezioni già descritte: faccio centro in A e riporto, sul lato AC, la misura 1-2; poi, tenendo ferma la punta del compasso terminale, porto l'altra punta sul segmento AB; dal punto in cui tocca, si allunga l'apertura del compasso fino ad A: è praticamente un doppio passo. Questa sarà la misura proporzionale da riportarsi alla base del blocco. Sappiamo che per tre punti non allineati passa un solo piano, quindi andremo a determinare il punto 3: si prenderà la misura 1-3 col compasso e la si riporterà sul blocco - come prima - debitamente aumentata col triangolo di proporzione; la stessa cosa si farà con la misura 2-3, così le intersezioni dei due archi, 1 e 2, mi daranno il punto 3 della testa. Incrocio i compassi, dai punti 1-2-3, sulla costa del blocco, affinché si prenda un altro punto, il "4", a fianco del modello e lo si trasporti sul blocco, anche se il piano 1-2-3 del marmo, " non avrà, al momento, lo stesso angolo di inclinazione spaziale pari a quella del modello". [Inoltre può verificarsi che, l'atteggiamento della figura, o parti di essa, emergano dal piano dato dai tre capi punto, e sportano fuori alcune rilevanze. In tal caso dovrò sbassare, i capi punti di partenza 1-2-3 – prima di riportare il 4 - in modo da poter recuperare quei rilievi che si stagliano dal piano. Attuerò tali sbassi, alla base e alla testa della figura, fintantoché non avrò recuperato tutti gli eccessi di rilievo.] Così dopo aver corretto il piano iniziale - dagli eccessi di rilievo - dei capi punto ( 1- 2 -3 ) mi accingo ad adeguare, definitivamente, il piano del marmo, in modo che abbia, "coll'orizzontale*, lo stesso angolo uguale a quello formato dal piano del modello". [*Orizzontale: parallela alla superficie terrestre]. “Perciò si prende sulla base del modello un altro punto, lo si trasporta sul blocco, e si fissa definitivamente il punto 3. (“Così recita, labilmente, la vulgata corrente”). Constatato che i miei due punti allineati alla base (1e2 ) sono corrispondenti nel modello e nel marmo, li unisco, tracciando una linea da spigolo a spigolo, estesa a tutti i lati, e, aiutandomi con la squadra, proseguo negli altri due lati perpendicolari a quello che contiene i capi punto (1e2). Così circoscrivo sia la base della statua che quella del modello. Il rapporto è tra due poligoni biunivoci. Perciò, partendo dalla base del modello elaboro sul marmo perimetri simili, con gli stessi angoli*. [*Attuo la costruzione geometrica degli angoli: “dato un angolo qualsiasi costruirne un altro di uguale ampiezza”]. Apro il compasso sul punto 1 del modello, fino a lambire il vertice dello spigolo**, e da questi, con la stessa apertura, interseco l'altro lato, sottostante il punto 2, e segno un punto P, in basso, sulla linea che circoscrive la base. Lo stesso riporto si effettuerà, sul piedistallo, nella statua da farsi. E' il momento di utilizzare il punto 4: con il compasso fisso su esso, con apertura sulla base, a tangere il perimetro del modello, misuro e controllo la distanza, la trasporto sul blocco, a conferma della giusta posizione del perimetro lineare biunivoco. Dopodiché, dal punto 1 del modello, presa una misura sul punto P - che è l'ipotenusa, poiché opposta all'angolo retto - la trasporto nel blocco, togliendo quel tanto di roba, se sarà necessario, per confermare, nel triangolo configurato, un angolo di uguale ampiezza sia del marmo che del modello. [**Si può evitare lo spigolo, se l'angolo non è vivo, con l'apertura sui capi punto, l'1 e il 2 al limite, e poi al P]. Così ho configurato una base triangolare (1-2^-P), di cui il punto 3, misurato e confermato, sarà il vertice della piramide proiettata, similmente, nel modello e nel marmo. Infatti ho aperto il compasso dal punto 1 al 3 del modello e riportato, idem dal punto 2; la conferma la trovo con la cala dal punto P.

Poi, proseguo riportando, ai fianchi, il 4 ( che va' rivisto***); di seguito il 5, che conferma il perfetto assetto; e, via via, tutti gli altri capi punto riportati, dal modello, per tempestare di punti la riproduzione nel marmo. [***rivisto perché inizialmente non è certa la sua precisa posizione nello spessore del blocco. Abbiamo ugualmente utilizzato il punto 4, assodato che la sua proiezione è comunque ortogonale ai due piani paralleli, inferiore e superiore, del marmo. Spostando i tre capi punto verso lo spigolo, il suo spostamento è lineare e perpendicolare. In modo che, pur variando la sua profondità, non muta la distanza dal perimetro della base ( // al suo lato)].

Con le intersezioni alla base della scultura ho così il piano 1, 2 e 3 rettificato (precisando ciò che non è esplicito nel libro dell'Enciclopedia delle Arti e Industrie. E neppure nel libro del Prof. Rovali: "perciò si prende sulla base del modello un altro punto , lo si traporte sul blocco, e con quello si fissa definitivamente il punto 3" …). Dove come ? Ci sembra più corretta l'intersezione con il punto P; e come, susseguentemente, poter operare sui punti 4 e 5.

ALTRA TECNICA, RIPORTO DI ANGOLI UGUALI.

La postura del modello può essere normale al piano od orizzontale. In questa tecnica il gesso è supino, i lati interessati sono quelli della lunghezza, consecutivi agli angoli che contengono la larghezza della figura. Insieme formano il perimetro del poligono sul piano lastra; in questa posizione l'altezza, dal piano lastra, è data dallo spessore della figura (la sua profondità).

Questo altro approccio consiste nel considerare il piano sottostante al modello come inizio della manovra (cioè non è guidato, nel piano superiore, dai tre capi punto posti alle estremità della figura).

E' una tecnica che ha la necessità di intersecare e riportare gli angoli da un poligono all'altro. A tal fine, per una migliore comprensione, ricordiamo come si è misurato un angolo dato, ad esempio dal modello, e lo si è riportato, con uguale ampiezza, sul blocco. Il punto P, dianzi illustrato può darci uno spunto. Concentriamoci su un modello supino o eretto sulla propria base; e la stessa postura che assumerà la sua riproduzione industriale in marmo. Il miglior fare inizia dalla copia e dalla capacità di riportare, sul lavoro, tutti i riferimenti con precisione massima. Iniziamo dalla loro impronta perimetrale, sul piano lastra, se il gesso è supino. [Dalla base della figura, se eretto. Qui è' preferibile il lato che contiene i capi punto 1-2 ; oppure quello che agevola migliori e strategiche intersezioni: quasi sempre il punto di vista frontale]. Se l'esecuzione è di altezza maggiore del modello, si fa' uso del triangolo di proporzione. E si opera su perimetri simili, riportati, sulle basi o sul piano lastra, e ornati di capi punto strategici. IL riporto può essere dal modello al blocco o viceversa. (vedi inizio “fatti”). Facciamo mente locale su il "lato" convenientemente scelto alla base, ambivalente: su quello del perimetro che lo circoscrive, indipendentemente dalla sua posizione (eretta e/o supina). Riprodurre angoli uguali è possibile nel piedistallo della figura, o sul perimetro che la circoscrive. Sulla base, usualmente, sul lato frontale, scelto un punto mediano, apro il mio compasso e prendo una misura, da un punto "A", scelto a piacere, fino a lambire lo spigolo del perimetro, e segno il "B". Poi, da questo, con la stessa apertura, riporto la misura data sul lato adiacente, per marcare il punto "C". Da subito, riporto le misure, in proporzione, sulla statua da farsi; e con esse, segno anche dei capi punto utilizzabili. Per riprodurre l'angolo di uguale ampiezza: apro il compasso su A e C, trasversalmente, e lo riporto sul marmo (è la misura del lato opposto all'angolo retto). l piani delle basi, sono dei parallelogrammi, le cui facce opposte costituiscono il parallelepipedo e i loro lati gli spigoli delle basi (del blocco). Definiti tutti gli angoli prenderemo altre misure, con i compassi, per meglio insediare nuovi capi punto nei rilievi della figura, partendo da quelli già predisposti nei perimetri dianzi menzionati.

IL PIEDISTALLO

Sul piedistallo abbiamo impostato una precedente tecnica, guidati dalla sua proiezione nel piano, altezza e larghezza, e perpendicolarità dei suoi spigoli laterali (profondità). A tal disegno attengono le tre dimensioni prospettiche proiettate, presenti anche in questa elaborazione. Fondamentale è il loro riferimento, nella costruzione dei piani di partenza, nel concatenare tutte le intersezioni necessarie alla smodellatura. Dobbiamo aver presente che non tutte le composizioni scultoree sono uguali e quindi anche l'approccio tecnico vi si conforma, presupponendo risposte diverse. Della tecnica che andiamo ad illustrare ci piace quella ché vede nel piedistallo della statua, a partire dal modello, il protagonista essenziale.

[ L'immagine utile e pratica, che fin'ora abbiamo dato della base o piedistallo è quella, di un poligono equiangolo, simile ad un parallelogramma, che può assumere qualsiasi forma. Ma nel vasto complesso creativo, al piedistallo, al di là di ogni ruolo portante o di sostegno, molti modellatori hanno attribuito a questa componente solo una funzione formale, o semplicemente decorativa. Ma a seconda della sua forma ed intenzione, può non essere un elemento neutro, a parte, adibito solo come sostegno portante. Il sistema segnico, può conformarsi allo stile dell'opera, alla sua plasticità e linearità, se mantiene un qualche valore artistico. Spesso le opere commerciali e funerarie sono improntate a rigidità e sono estranee all'ordine dell'opera, quasi in contrasto con il suo assetto armonioso e sistemazione razionale nell'ambiente. Per di più vi è il brutto ricordo delle avanguardie del primo Novecento e la loro pretesa di sostituire il piedistallo... magari con una ruota di bicicletta. Sono miserie formali, illuse di sostituire una componente essenziale di base, nella convinzione di essere innovativi, ridefinendo il rapporto dell'opera con lo spazio e occupandolo in maniera liberticida. Che dire, se negli stessi anni, a proposito della funzione estetica dell'arte, si è preso in grande considerazione l'aspetto del mercato e le speculazioni correnti di Galleristi e mediatori di ogni tipo, solo colpevolizzando l'avvento delle tecniche mimetico riproduttive di tipo meccanico; e, nel contesto, le manualità e specializzazioni tradizionali. Ma non il robot e l'utilizzo di rifiuti di ogni tipo. I conti più non tornano: certo una composizione può essere bottegaia e appiattita sulla trasmissione delle pratiche artigianali; ma conserva, pur sempre, quella manualità ed unico tocco personale, che la fanno essere preziosa e ricca di una sua appartenenza. Non come le tante celebrative e celebrate opere d'arte moderna che neppure sanno di essere cerebrali e degne di compatimento. E questa non è l'unica loro funzione: lo è il grave spaccio da grande arte, quella che sprizza da tutti i pori, mentre incensano solo se stesse, quando seguono le contrattazioni del borsino bancario e mediatico asservite al promotore mercantile.

Dall'antichità a tutto l'Ottocento, la scultura artistica ha recepito l'importanza del piedistallo, collocando i gruppi scultorei in armonia con lo spazio/ambiente. Non ci si è preoccupati tanto di aggiungere contenuti esterni, quanto di dare un ruolo al piedistallo nello spazio/ambiente, che sia consono alla organizzazione formale del contesto. E se l'artista è tale, reinventa la realtà delle cose, ricercando nuovi mezzi linguistici e tutto ciò che attiene alla sua organizzazione formale].

Per altre basi diverse dal poliedro, sferica, circolare o a ciambella, la tecnica adottabile è sempre la stessa, purché ci si conformi sia al multilatero che alle circonferenze: un quadrilatero può essere inscritto in una circonferenza; un quadrilatero può essere circoscritto ad una circonferenza.

Attenzione, se in teoria si eccede in spiegazioni; nella pratica si ha il vantaggio dell'esperienza visiva e sperimentale; perciò osservare e ancora osservare la manualità dei mestieranti.





DISGRESSIONI TECNICHE ESPLICATIVE.

Il Vasari, trattando dell'arte del levare, cita l'esempio di una “pila d'acqua” : vasca nella quale vi si immerge o si “ caverebbe una figura “ supina, e menziona altresì le parti del corpo che da questo contenitore, gradualmente, “sportano fora” , tagliate dal livello dell'acqua. Lo stesso fenomeno, dell'emersione del modello, si ha facendo semplicemente defluire l'acqua: poiché mano a mano, che scende il livello del liquido, si formano diversi piani, prospetticamente coincidenti, di volta in volta, con il pelo dell'acqua. Stessa cosa è, in prospetto, l'opera dell'intaglio, nel suo attacco dal punto di vista frontale. Così bene, come se vedessimo, tale degradare, da un fianco della vasca.

Quindi, la partenza è già fatta se partiamo da un piano dato da tre punti, spesso menzionato. L'obbligazione dovuta consiste, osservando, sia nella statua, sia nel modello, l'affiorare delle figure sottostanti: ripetiamolo, virtualmente, col decrescere del pelo dell'acqua.

Insomma, il parallelepipedo, virtuale, costruito sul modello, è pari al perimetro che contiene la sua estensione e lo sviluppo del suo volume. Queste misure dovranno essere contenute, agevolmente e proporzionalmente, nel marmo. Perciò entrambi i piani dovranno essere traguardati con una livella, in modo che, partendo da essi, i successivi capi punto potranno essere posizionati con facilità.





BODETE” : dialettale (chiodi a testa larga e piatta).

Una volta in uso ai tappezzieri per appuntare la stoffa sui divani, poltrone o altro. Vengono posizionati, strategicamente, sul modello . Le bullette hanno la testa capiente che può contenere un piccolo foro effettuato dal punteruolo ( puntarol). Questo piccolo foro ospita le punte dei compassi, per le dovute misurazioni, e sono inseriti nei punti strategici del modello e anche del marmo.





OVVIARE ALLE DIFFICOLTA'.

Con il sistema della partenza da un piano, individuato dai capi punto 1-2-3 , che non è semplice da usare, vi sono delle difficoltà nel riprodurre modelli molto stretti e lunghi, perché i compassi non incrociano bene. Il sistema della mezzeria facilita la soluzione in questo modo: predisponendo alcuni capi-punto aggiunti, fuori dal modello, ai fianchi di esso, con pezzi di listelli in marmo alzati dal piano lastra; allargando o riducendo le loro distanze, dal profilo della figura, in funzione delle proporzioni modello/copia.

Nota esplicativa.

a) Così con la tecnica della mezzeria è possibile utilizzare dei supporti limitrofi, fuori del blocco e del modello. Uno tra i più validi, soprattutto in modelli lunghi e stretti, è quello impropriamente detto “ del punto falso”. Come sarà questa partenza? Vediamo: una volta posizionati orizzontalmente, sia il marmo sia il modello, su di essi si traccia l'asse centrale, la mezzeria; e si fissano in entrambi due capi- punto, 1 e 2: il primo alla base e il secondo alla testa delle figure. Per trovare il punto 3, in modelli composti, si opera a ritroso, dal marmo al modello, aprendo i compassi, sul punto 1 e 2, con una manovra di avvicinamento adeguata a lambire la superficie laterale del blocco: lo scopo è quello di ripartire lo spessore, affinché vi sia “roba” sufficiente, in alto e in basso; e il modello, a tutto tondo, vi possa essere contenuto agiatamente. Esperita la mediazione, si acconcia, il punto 3, definitivamente sul modello, e poi si fissa sul blocco, a partire quasi “fatti” . Indi, a seguire, tutti gli altri ( il 4, 5, 6, e via ), nel modo diretto già indicato. In modelli problematici si ricorre all'ausilio di tacche di listello esterni al modello e anche al marmo se, raramente, non possa ospitare capi punto. Di solito, nel blocco, vi è la possibilità di ricavare tutti i punti necessari a coordinare le lunghe e le cale.

Note esplicative del riporto a ritroso marmo> modello: b), c).

b) - operiamo sul triangolo rettangolo, aumentando ogni misura del modello descrivendo l’arco tangente nella sua proporzione in scala. Ma se occasionalmente dobbiamo -- quando la misura è già sviluppata -- compiere l'operazione contraria a quella dianzi descritta, ridurla, non ingrandirla; quando tale misura è utile al buon contenimento della figura, ed essere funzionale al buon assetto nel blocco, il nostro esperimento, che ricerca un punto di comodo, si esplica sia sul triangolo isoscele che rettangolo, quando, evitando lo sfrido, la misura presa sfrutta tutta la dimensione del marmo.

c) – Aperto il compasso su detta maggiorazione, la stessa è da ridurre alle proporzioni del modello. Perciò, con il compasso aperto, la portiamo sul triangolo, e la segniamo sul AB, altezza della statua, e sia AD). Poi con una punta del compasso su D, si stringe l'altra punta, facendo l'arco di cerchio tangente su AC. Questa è la misura ridotta da portare sul modello e fissarla. per ottenere la riduzione. È l'applicazione della similitudine sui triangoli: “ogni parallela ad uno dei lati, che intersechi gli altri due.....li divide in segmenti direttamente proporzionali, e così avviene”.





3 - Opero sul triangolo rettangolo ( sistema del..). Eseguire una statua maggiore del modello: Statua cm 180, Più DEL DOPPIO del modello che è di cm. 70.





Sempre con il punteruolo, in A e B si segna l'altezza della statua, su una lastra opportunamente annerita, indi in B con ampiezza del compasso uguale a quella del modello, descrivo una semi circonferenza, alla quale si tiri la tangente AC, si avrà il triangolo rettangolo ABC. Ricordo che la tangente è perpendicolare al raggio nel punto di contatto. Il sistema è uguale a quello precedente nel rilevare i punti, e nell'avvio del lavoro iniziale; ma si opererà con una diversa impostazione dei compassi ( per ogni misura è necessario descrivere l'arco di cerchio tangente ). Ciò detto, ad ogni misura si farà muovere una punta del compasso su AB (BA), finché si troverà un punto tale in cui, fermandoci, con l'altra punta si potrà descrivere un arco di cerchio tangente ad AC: allora allargando il compasso fino ad A ( sulla linea AB ) si avrà la misura da trasportare sul blocco. Così per tutte le infinite misure.





TECNICA INUSUALE ERRATA. SCONSIGLIABILE.

LA CURIOSITA' E' ASESSUATA, ma al fine di ampliare la conoscenza di più costruzioni è indispensabile anche L'INUTILE.

Di seguito, descrivo due metodi diversi nella fase di partenza, da taluni utilizzati, ESCLUSIVAMENTE al fine di completare la conoscenza di più costruzioni.





Perimetri intorno al modello, sulla lastra o alla sua base. Perimetro che circoscrive la base inferiore del blocco.

1^ fase): L'impostazione di avvio non è in superficie, bensì vicina agli spigoli dei piedistalli del marmo e del modello, se eretto. Altrimenti è sul suo piano di appoggio. Qui la postura della figura è sovente orizzontale. Si "presenta" ( sovrapponendolo correttamente) il modello sulla lastra per esperire una prova di posizionamento: trovata quella giusta , viene segnato il perimetro intorno al gesso. L'attacco è sempre uno solo: quello frontale o principale della figura, vista dall'alto e simigliante ad un basso/alto rilievo. È consigliabile includere, il modello, in un poligono rettangolare, se il suo atteggiamento lo consente, o comunque riconducibile ad un poligono, più o meno, regolare. In questa tecnica il perimetro è rilevato nelle facce del blocco, circoscrivendo la sua base inferiore. Il trasporto dei capi punto è particolare: riportati dal modello, quelli principali vengono fissati sul blocco, dopo averlo scandagliato; dopodiché si riportano tutti gli altri punti necessari ad una fedele smodellatura. Da notare che, il perimetro, nelle facce del blocco, lo va a circoscrivere vicino alla base inferiore. Ciò che mi ha colpito, in questa tecnica è l'imperizia nel costruire i perimetri, ed il trasporto susseguente dei punti. Non si è riportata l'eguale ampiezza degli angoli nel perimetrale intorno al modello ed al marmo. Sia la base della figura, sia quella blocco, non sempre sono dei parallelepipedi retti. Così non vi sarà un corretto riporto delle misure. Se modello e la statua da farsi sono in posizione eretta l'approccio alla sbozzatura e alla smodellatura si fa partendo dai piedistalli e dai relativi perimetri che li includono. INIZIAMO DA UN LATO DEL PERIMETRO DEL MODELLO, quello dell'altezza.

TECNICA ERRATA.

Vanno segnati tre punti, mediamente ripartiti, sulla corrispettiva linea, con una partenza simile, nel modello e nel marmo in proporzione. La retta parte da da un angolo comune, e misura tutta l'altezza della figura. Perciò, se nel piano lastra del modello inizio da un capo punto A, proseguo nel punto B e poi C, a distanze eque. Anche nella linea tracciata, alla base del marmo, sono obbligato ad iniziare nello stesso modo. {Ma si da il caso che il marmo non sempre è squadrato e disposto con angoli retti, la segata spesso ne difetta: perciò, quasi sempre, dovrò ricostruire gli stessi angoli uguali, misurati dal modello < riporto sul marmo; o fare l'operazione opposta, a ritroso, adeguando i capi punto del modello a quelli del marmo, partendo quasi fatti. Quel che non viene considerato è che gli angoli, sia nel modello, sia nel blocco, conservando la loro particolare ampiezza, falsano il riporto delle misure, e rischiamo di fissare punti a casaccio.} Non consci dell'errore, proseguiamo con i punti sulla prima linea del piano lastra che saranno, con l'ausilio di una squadra, ortogonalmente proiettati nel lato opposto alla linea di partenza: come si può fare su un foglio da disegno, quando si tracciano le perpendicolari comuni a due parallele. Non fissiamo ancora la SECONDA LINEA perimetrale, lasciando in sospeso il completamento della proiezione (si concludono, per il momento, le operazioni lastra-modello). La stessa PRIMA linea si traccia su una faccia del blocco, in scala, con l'ausilio della livella, segnando gli stessi capi-punto comuni, riportati dal modello. E' ovvio che nel marmo si debba tener conto della distanza delle linee dagli spigoli di base, per non essere sacrificati a manovrare, con i compassi, troppo vicino ad essi ( dagli spigoli della base di appoggio, in altezza, il perimetro dista cm. 5 circa ).

NEL DISEGNARE LA SECONDA LINEA, ciò che dobbiamo fare, è individuare due linee comuni e parallele, poiché attraverso esse passa il nostro piano.

Riferisco, con rammarico, una pratica in uso ma di scarsa precisione nel lavoro di smodellatura. La riporto solo come curiosità e perversione del mestiere.

Segnata la prima linea sul modello e sul marmo, con i loro relativi tre punti, operiamo per individuare la seconda. Si procede in questo modo: con l'ausilio di una squadra, partendo dalla prima linea del blocco, si proiettano ortogonalmente e in basso, detti tre punti, fino ad incrociare lo spigolo della base. Da questi passando sotto la base inferiore del marmo - è qui che casca l'asino, poiché i tagli non sono mai perfetti - si fanno passare le relative proiezioni, con l'ausilio di una squadra, nell'opposta faccia del blocco. Siamo nell'opposto spigolo, con le proiezioni assunte dalla prima: le riproiettiamo in alto e ripetiamo la distanza di 5 cm dallo spigolo, poi con l'ausilio della livella tracciamo la seconda linea ed i punti, incrociando le proiezioni. DISEGNATA COSI' LA SECONDA LINEA SUL MARMO, possiamo utilizzare tutta la dimensione del blocco, partendo quasi “fatti”. L'operazione seguente è quella di riportare, a ritroso e in proporzione, la stessa larghezza del blocco sul perimetro del modello. Ovviamente si è tenuto preventivamente conto, del consono volume del marmo, già predisposto e compatible con le dimensioni in scala.

Riepilogando: abbiamo utilizzato, quando è possibile, tutta la larghezza del blocco ( distanza tra le sue due facce ). Per fissare la SECONDA linea, sul piano lastra del modello, si procede a rovescio, cioè dal marmo: con il compasso si prendono le distanze dei corrispettivi punti e si riportano sulla lastra - in proporzione, a ridurre - segnando la seconda linea su di essa. Sulle due linee parallele ai piani del marmo e del modello, si possono mettere infiniti punti; tanti quanti ne occorrono per facilitarci il lavoro. Comunque, fissati i primi tre punti su ogni retta, possiamo segnare tutti quelli che desideriamo, utilizzando, ogni volta, tutte le misure che ci sono necessarie per tempestare di punti la statua.





EVITIAMO IL MARCHINGEGNO DIANZI DESCRITTO. 2^ FASE, AUSPICANDO CHE LA SEGUENTE TOPPA NON SIA PEGGIORE DEL BUCO.

Utilizziamo un approccio migliore.

DOPO AVER SCANDAGLIATO IL BLOCCO E SCELTO DA QUALE PARTE INIZIARE, ci accingiamo a migliorare il sistema dianzi descritto. Innanzitutto dobbiamo CAPOVOLGERE IL MARMO ( piano posteriore in alto) e, prendendo in considerazione il piano rovesciato, procediamo nel modo seguente, affinché le operazioni siano più agevoli. Scelto sulla lastra di appoggio l'apposito spazio, si individua il perimetro dove collocare il modello; subito dopo, nel corso della sua maggiore lunghezza, è segnata una retta e su essa si traccia il segmento A-B. Lo stesso, proporzionato alla grandezza della statua da eseguirsi, lo segniamo sul fianco del blocco scelto, da angolo ad angolo, IN ALTO, circa 5 cm prima dello spigolo e della sua faccia inferiore (blocco capovolto) Poi, lo controlliamo con la livella, già ipotizzando i riferimenti futuri comuni con il modello ( lati, angoli e capi-punto ), come precisato nel precedente esempio. Iniziamo dal segmento acquisito sul marmo, centrando i compassi sui punti A' e B', riportati dal modello e, con le loro intersezioni, segniamo il punto C nel lato opposto, incrociando la stessa profondità (cm 5) dallo spigolo, del segmento traslato da A' B' che sarà D – E. Cerchiamo di partire “fatti”, per sfruttare tutta o quasi la larghezza del marmo, e nello stesso modo utilizziamo le rette A e B nella sua altezza. Così come questi lati sono, nel loro insieme, la fascia esterna del poligono, ad essi dovranno essere adeguate le stesse linee di contorno del modello, affinché entrambi i perimetri siano simili nel rapporto in scala fissato. [Non ho però la totale certezza se gli angoli dei rapportati perimetri hanno la stessa ampiezza.] Tolto il modello momentaneamente, si trasporta il punto C' sul piano lastra, riportandolo, a ritroso, sul triangolo di proporzione, come si è dianzi già indicato. [Può anche verificarsi il riporto diretto, si toglie la parte di marmo eccedente, individuando d'acchito il punto C' , modello/marmo, come si fa' usualmente.] È utile precisare che i segmenti A B e D E sono paralleli e gli stessi AC'B = D C E ortogonali.

Abbiamo così realizzato due piani simili, delimitati da due parallele; e con esse il perimetro del blocco dato dai lati A' B' D' E' e quelli del modello definitivamente collocato nel perimetro A. B. C. D.

Ultima osservazione: da notare che il punto C' sul blocco si segna facilmente, sia coi compassi sia con il maranghino, essendo lo spessore da valicare in alto esiguo. Infatti, le linee parallele, a cui appartiene il piano A'B' D' E' sono molto vicine alla superficie, essendo il blocco rovesciato, e con il piano anteriore, momentaneamente, adagiato al suolo. È importante che i due piani individuati, formino, coll'orizzontale, lo stesso angolo. Iniziando la partenza, con il trasporto dei capi-punto necessari al lavoro di smodellatura, è necessario, quanto prima, RIPOSIZIONARE CORRETTAMENTE IL BLOCCO.









ESPLICITAZIONI:

Abbiamo eliminato delle difficoltà, senza complicarci la vita, causate dalla precedente tecnica, dove il piano di lavoro inizia nel piano posteriore e non in quello anteriore. Mentre auspichiamo di non usarla, nella ostinata occasione, rovesciamo momentaneamente il blocco. Con questo capovolgimento si possono rapportare, sia le due linee di partenza, traguardate, sia i capi punto iniziali ( A . B . C . ). E capovolgendo, come detto, il blocco, si evitano le difficoltà di passaggio delle squadre, da sotto, con il riporto dei punti dalla prima linea, oltreché i passaggi, a scavalcare “il pezzo”, da parte del maranghino.

Come nella 1^ fase, il piano così trovato, deve, virtualmente, tagliare il blocco NEL PIANO POSTERIORE : nel senso che le due facce opposte (FIANCHI) del marmo possono ospitare l'una il segmento A'- B' , l'altra l'intersezione C, sul cui punto si traccia la retta parallela D - E, che va sempre traguardata con la livella . Entrambe appresso gli spigoli del marmo, in maniera congrua e da sfruttare, al meglio, le dimensioni del marmo e per trovare un piano, A' - B'- D' E' conforme a quello individuato dai punti A-B-D-E del modello. Dopo l'intersezione da A-B sul punto C, sul piano lastra, troviamo la relativa parallela, passante per questo punto, tracciando la perpendicolare al segmento A-B, per avere AD, idem dal punto B per trovare B-E, entrambe riportando la distanza C da AB.

Nel marmo l'operazione è fatta sul perimetro, linea di contorno che delimita il piano: perciò completeremo i lati, sia traguardando con livella, sia apponendo sul segmento dato le intersezioni dei compassi, A' – B' e B' - E' partendo dal segmento dato, mai dimenticando la distanza dagli spigoli e la congruità degli angoli dei perimetri statua/modello. Gli angoli vanno misurati – nella loro ampiezza - e la loro equivalenza confermata.

[ Raccomandiamo, per facilitare il lavoro, che il punto C del modello dovrà essere fissato, utilizzando tutta la misura del marmo, partendo quasi “ fatti “ . Se però si è provveduto ad eliminare l'eventuale materiale in eccesso, si procede direttamente dal modello. Il suo schema può essere rilevato dalla sua posizione su un piano, con la possibilità di adattarlo, con opportuni tagli, alle prospettate dimensioni della statua da farsi.]

DIGRESSIONI: ILLUSTRAZIONE DELLE PRECEDENTI TECNICHE con i relativi chiarimenti, dimostrano che dopo lo sbozzo occorre uscire da quelle tecniche riproduttive che oltre ad esprimere la crisi del mestiere lo sono anche del sistema dell'arte. Continua la diatriba tra ideatore ed esecutore, sul tema come uscire da tecnologie mimetico produttive del bolso artigianato. Dunque si impone “ un'uscita da un'arte meccanica che genera solo fatica e sudore?” Per alcuni ciò ha significato affidarsi all'intaglio diretto, dandosi totalmente ad una sensibilità interiore ; per altri è il potenziare l'intuizione ed il dialogo con la materia e le sue affettuosità, per farsi guidare dalle sue configurazioni implicite. È uno scolpire d'acchito, raro dono naturale, il cui presupposto è la percezione personale. Far vivere interiormente un'idea di ciò che si vuol rappresentare, è l'esprimere in essa tutta la nostra sensibilità e progettualità. Altrimenti se si esclude a priori la cosa che si vuol creare, non si esprime uno stile e tanto meno si è attori credibili e compresi.









SBOZZATURA E SMODELLATURA ATTUALE

Un uso più corretto e tradizionale della precedente tecnica, ci consente una maggiore facilità nella esecuzione di un disegno, seguito nell'alternarsi dei piani, per comodità, facciamo ricorso al metodo della doppia proiezione ortogonale su piani coordinati della geometria descrittiva (fianco e prospetto).





Fondamentale, come più volte detto, la partenza da un piano, frontale o principale, a seconda della postura e dell'appoggio della statua. Nella seguente tecnica, l'attacco inizia ancora da una delle due basi parallele del blocco; nel merito in basso, posto sul geometrale.

Il parallelepipedo se è segato perfettamente, presenta angoli a 90°, che molto faciliterebbero, in questa tecnica, la buona riuscita del lavoro. Cosicché, con misure prese tramite righe e compassi, su superfici e lati opposti paralleli, non si dovrebbero avere scostamenti. Abituiamoci al fatto che, nella realtà presente, il segato perfetto sembra sia cosa rara.

Il modello per solito va sdraiato sul piano lastra (proiettato, in pianta, dentro un perimetro), facile immaginare le tre dimensioni similari a quelle del blocco: altezza o lunghezza, larghezza, spessore; affinché siano prospettate, in proporzione e speculari, a quelle supposte nel volume del modello. Abbiamo descritto con ciò un poliedro disegnandone, in pianta, i contorni di un poligono, sia pure in funzione di un progetto di massima, ma al momento, per adeguare il blocco, sulle necessità immediate dei parametri della lavorazione, così eliminando, con precisi tagli, lo sfrido eccessivo. A tal fine, ben progettando, ponderiamo anche l'attacco dal punto di vista principale che sarà scelto sul marmo, a seconda della collocazione della statua da farsi, agevolati dalle forme geometriche elementari già predisposte. Insomma, il perimetro, intorno al marmo che è il medesimo, tradotto in scala, di quello del gesso, è stato preventivamente misurato, adattato e tradotto nelle dimensioni veicolate tra lo stesso e il modello, riproponendolo sintetizzato nelle sue forme base più semplici. Due momenti tra loro consecutivi si sono avvicendati: la trasposizione del modello sul piano lastra, che ha consentito di delineare uno schema per raffrontarlo con il marmo in modo da eliminare lo sfrido superfluo, geometrizzando il blocco dentro il poligono rettangolo testé definito: è la conclusiva postura, che meglio aiuta ad individuare il miglior punto di vista principale di attacco, comune al blocco e al modello. Questi verrà poi fissato definitivamente, cementandolo dentro il poligono rettangolo segnato sulla lastra. È lo stesso perimetro che il marmo assumerà con la migliore posizione datagli dalla simbiosi ottimale del suo volume, rispetto a quello figurato sul modello. Comunque, saranno scelte e posizioni che porteranno più alla mano la lavorazione.

La postura della statua o delle eventuali composizioni, ad imitazione di quelle del modello, dovranno assestare la loro postura in modo da piantare correttamente, affinché la figura e i gruppi si staglino correttamente sulla loro base di appoggio. A tal fine, il loro piedistallo dovrà essere definito e controllato con il filo a piombo, che dovrà cadere perpendicolarmente e dentro il naturale spazio di sostegno delle figure.

La tecnica di seguito descritta si inizia dal perimetro (e dal volume) del blocco dianzi predisposto, reso conforme a quello delineato dal modello. Sulle facce laterali del prisma abbiamo segnato, ad una certa distanza dagli spigoli di base (inferiore) del blocco, circa cinque centimetri, le linee perimetrali (lati) conseguenti, controllandole con la livella. L'operazione successiva sarà quella di costruire, sul piano lastra del modello, i quattro angoli reali dati, in proporzione, dal marmo. E da qui, su uno dei lati di contorno, nella parte inferiore presso gli spigoli menzionati, fissiamo un capo punto (A) all'incirca nella sua metà; e con il compasso ne prendiamo la distanza dal vertice di uno degli angoli adiacenti. La stessa misura, la riportiamo sul lato consecutivo (B); poi, aprendo ulteriormente il compasso da quest'ultima intersezione al capo punto di partenza ( A) – in diagonale - a passare l'angolo di mezzo, otteniamo una misura che corrisponde all'ampiezza dell'angolo nel blocco, da trasporre. Questa è la soluzione di ciò che ci è richiesto: come trasportare, un angolo uguale a quello dato, che, nel nostro esempio, è quello del marmo. Ripetiamo la stessa operazione per tutti e quattro gli angoli consecutivi, riportandoli a ritroso e in proporzione sul modello, tracciando sul relativo piano di appoggio, il perimetro, con tutti i lati e gli angoli dati. È il metodo più semplice, in poligoni irregolari o regolari, secondo i casi. Ciò indipendentemente dalla postura di un singola statua e di un gruppo nella diversità delle basi, circolari, ovalizzate, ad isola o altro: tutte quelle che ne sostengono le varie composizioni, sia inscritte che circoscritte in poligoni. Il marmo ha la forma di un parallelepipedo rettangolo, non sempre regolare, ed anche il modello è reso conforme a questo schema. L'affinità maggiore dovrà rivelarsi nella compatibilità dei piedistalli, per l'approccio del lavoro, soprattutto nella posizione eretta. In quella supina il perimetro che circoscrive il modello sul piano lastra è di facile adattamento. Per semplicità, e per la particolare conformazione “solida” del blocco, utilizziamo superfici piane che abbiano tutti gli angoli uguali ed i lati conformi. Noi seguiremo questa disponibilità sempre, al fine di agevolare il lavoro del puntatore; in seguito, copieremo convenientemente le varie forme delle basi, che le lavoreremo come realmente sono nel modello. Praticamente privilegiamo l'esercizio geometrico di ricostruire gli angoli ed il perimetro esattamente come quelli obbligati nel marmo, diffidando dei tagli del blocco, di certo quasi mai perfettamente squadrato. Anche se grezzo, in questi, vi è la necessità di impostare da subito una base, quantunque non sia ancora ben definita. È dato per scontato che una base o un piedistallo o altro vi sia, e che svolgano una funzione di sostegno della scultura, per renderne migliore la collocazione e percezione nello spazio. Altrimenti, se non vi sono i piani di appoggio tradizionali essi vanno ricostruiti artificialmente per un buon programma di lavoro.

Perciò al momento, siamo stanziali su due poligoni non necessariamente regolari, ma che potranno essere equiangolo e possibilmente equilatero; e comunque consentire perimetri utili. Su questi, a metà dei loro lati, partendo dagli angoli, fisseremo dei capi punto. Conseguentemente, proponiamo di iniziare a trasportare nel marmo tutti i capi punto fissati nel modello, con particolare riguardo a quelli più emergenti nella dimensione delle maggiori altezze e sporgenze, mappandoli secondo la loro funzione prioritaria, rispetto alla scansione dei piani. Non secondario il piedistallo, anche se grezzo, nel contesto può assumere il ruolo da protagonista alternativo: essere inscritto e provvisoriamente costruito con squadre: simili a quelle cornici, dei secoli scorsi, che abbiamo visto in alto ed ortogonali ai muri di laboratori. Anch'esse possono darci il volano di un diverso processo del levare, non valendo le migliori possibilità date da un piedistallo definito nell'impostare e coadiuvare l'emergere graduale delle forme guidandone l'intaglio. Abbiamo così riproposto perimetri e piani in similitudine, per iniziare l'inserimento di tutti i punti essenziali per una buona e corretta smodellatura.

Giunti a questa fase del lavoro su figure similmente poste: - quella del modello, sempre uguale a se stessa, - e quella della statua, variabile a seconda della sua riduzione od ingrandimento, ricordiamoci di essere attenti a tutte le operazioni di trasporto delle misure dal marmo al modello, ma soprattutto sulla congruità degli angoli perimetrali, alle relative triangolazioni, se desideriamo operare in sicurezza ed estendere tutti i capi-punto necessari per un riporto sempre più fedele. Se si ha questa certezza, il relativo sbozzo e la sua geometria elementare sono il miglior presupposto per una perfetta copia del modello.





IL PIANO DI ATTACCO AL LAVORO PUO' INIZIARE DA OGNI PARTE, AD ES.: DAL FIANCO DEL BLOCCO. E' POSSIBILE DIRE CHE MOLTI E DIVERSI POSSONO ESSERE GLI APPROCCI PER UN'OTTIMO INTAGLIO? Ognuno di noi ha maturato, nella pratica della lavorazione una propria e particolare tecnica che gli è più congeniale nell'esprimere la propria MANUALITA' IN FUNZIONE DELLA PADRONANZA DEI MEZZI ESPRESSIVI: l'occasione aguzza l'ingegno. Ritorniamo a rappresentare il modello ancora supino sul piano lastra. Il gesso è livellato con l'orizzontale e circoscritto da un poligono. Su un lato di questi, che esprime la lunghezza della figura, alziamo un piano ortogonale, fino ad incontrare quello che taglia, in superficie, i capi punto 1e 2 e li contiene, coincidente nel modello e nella figura da farsi. Nelle facce del blocco, ad una distanza vicina agli spigoli di base, è incisa la traccia dei lati - il perimetro: linea spezzata chiusa, simile nel piano lastra e nel modello - che delimita una parte di piano come quella che circoscrive il gesso; ed ha la sua stessa funzione. Perciò, in conformità, sui piani testé menzionati, è possibile alzare tutte le altezze desiderate: – siano essi sui supporti o direttamente sul perimetro – sia nel modello che nel marmo, sempre in proporzione. L'altezza, nella faccia del blocco, è misurata, in alto, a partire dalla traccia già detta; nel modello è segnata su listelli, cementati sul piano lastra. Va da se che su questi segmenti perimetrali, da angolo ad angolo, si possono mettere infiniti capi punto, quanti ne riterremo buoni alla riproduzione. Assodato che il piano, di partenza, utilizza le stesse triangolazioni, fissiamo il punto 3 su un supporto del modello. Nel collocarlo, ad un giusta altezza, valutiamo sempre le disponibilità dello spessore, affinché sia garantito il contenimento della figura. Poi, utilizziamo gli incroci dei capi punto 1e2 sulla linea dell'altezza calibrata, per segnare il punto 3 sul marmo: sul modello si prenderà, con il compasso, la misura 1-3 e la si trasporterà sul blocco, in proporzione; identico riporto con l'apertura 2-3; l'intersezione dei due archi darà il punto 3. In tal modo abbiamo definito il nostro piano di riferimento. Da questi capi punto è possibile avviare la riproduzione con punti opposti che si interfacciano e possono determinare [materialmente] - con le tre intersezioni [le linee di obliqua], un punto o un piano nello spazio, che è al vertice di una piramide solida a base triangolare. È la dimostrazione di tecniche che privilegiano la terza dimensione, partendo da ciascuno dei vertici del poliedro e dagli spigoli e angoli delle basi. La tridimensionalità è assicurata da questi assi che consentono di misurare e intagliare il masso e far emergere i rilievi della figura obiettiva. È un approccio per una razionale manualità che trae da un informe cose incantevoli. È una misurazione sugli assi che ci permette di rappresentare, direttamente un oggetto, con l'intelligenza della mano e l'indole di una passione atavica. DA MOLTO TEMPO LA RIPRODUZIONE SERIALE DI SCULTURE ha più una valenza commerciale che non artistica. Il concetto dispregiativo di arte meccanica “che genera solo fatica e sudore” è nella sua relatività, subdolo. Qui concepiamo lo scolpire come un automatismo di passaggi tra strumenti di misurazione e una mimesi di operazioni fatte con utensili (macchine) sempre più sofisticati. Sottovalutando con ciò la sensibilità dell'artista o dell'artigiano nei diversi momenti del lavoro: della sua pratica che non è sempre quella di un'automa, ma di un uomo con particolari percezioni e personalità. Quasi mai vi è un completo distacco dall'opera, col prevalere di un sentire apatico che non è partecipe di un'idea. Non è la routine. Mai farsi prendere da questa e dalla “ cotta” inconcludente. Non è questo lo stile che appartiene all'arte del levare, alla scultura, la quale non potrà mai ridursi ad una insensibilità nei confronti dell'affettuosità pastosa della materia. Altrimenti è meglio cambiare mestiere e dedicarsi a qualcos'altro.


OSSERVARE O CONTEMPLARE I SEGNI?

Capire o percepire l'oggetto in tutta la sua totalità volumetrica nel rapporto che ha con lo spazio non è possibile, poiché nella realtà la sua visione non si esaurisce nelle tre dimensioni. L'osservatore coglie l'attimo, il dato visivo è un unico punto di vista; e l'unicità della visione ci obbliga a spostarci, girando intorno all'immagine, per godere appieno dell'opera. Neanche il modellatore può evitare un approccio diverso. Eppure la scelta di un punto di vista, obbligatorio, è già un messaggio, una precisa scelta: strutturato sull'incrociare dei piani, che alternandosi, mostrano varie configurazioni che unificano il vasto campionario segnico della scultura ( linee, volumi, chiari e scuri, scorci, forme chiuse; illusioni). Espressi, nella loro forma simbolica, si preoccupano solo di costruire modi di essere dei contenuti, inediti e trasformati che vengono mostrati ed esibiti diversamente. E, con la scultura, si mantiene quel periodo aureo che è naturale nel suo codice, proprio perché i linguaggi di configurazioni, i segni, si sviluppano materialmente nella dimensione spaziale”.

Lo spazio e il vuoto, l'angoscia moderna del troppo pieno ci hanno portato a considerare il tempo come la quarta dimensione: a seguire l'illusione degli artisti moderni ad illustrare contemporaneamente tutti gli oggetti, per superare il punto di vista prospettico. Dimenticando o sottovalutando la percezione di notevoli forme espressive: immagini mutevoli con valenze centrali, di peso visivo, oppure svuotate in spazi dilatati; ottima anche la mancanza di profondità spaziale, antiprospettica, con una naturalità visiva che garantisce uguale colore e luminosità a figure della medesima grandezza. Un grande artista ha solennemente dichiarato: “meglio i fatti quali che si conoscono rispetto che quali si vedano”. È riferito alla quarta dimensione, frontale e simultanea, che sintetizza tutte le percezioni possibili degli oggetti?, quindi una visione totale? Ma comprendiamo molto attraverso gli occhi, la vista è il mezzo che da più informazioni al cervello di tutti gli altri organi sensoriali messi insieme. “ In questo fenomeno percettivo sono coinvolti anche il nostro stato d'animo, le emozioni e, strettamente legati a questi, la memoria, il vissuto delle nostre esperienze”. La forma è il mezzo concettuale: l'idea che la mente si forma sulle cose. Tale modello mentale si concretizza in base a riferimenti preesistenti legati all'esperienza, poiché il modello è la forma più semplice da noi memorizzata, riconoscibile, a noi noto. Potremmo dire: ognuno vede ciò che sa. Quindi il presupposto della percezione è la nostra esperienza personale”. Però aver la capacità di contemplare, insieme al desiderio di conoscere, sono gli stimoli essenziali per acquisire maggiori e più approfondite informazioni sull'ambiente : contemplare più che osservare fa' la differenza. Importante è saper vedere in maniera diversa, le cose, dai loro espliciti significati, ricostruite e trasformate dal linguaggio dell'artista. È prerogativa dell'artista quella di immettere una determinata forma in una data materia. Appartiene al giudizio estetico dell'artista imitare e contemplare l'idea che lo ha ispirato, e di costruire dei modi di essere dei contenuti, che consentano di rivivere in un modo diverso la sostanza dei loro significati, mostrati nella loro organizzazione formale ed esibiti nel significante. Ma basta con contenuti e titoli solo vantati , imposti. Sappiamo che tutto ha un prezzo: la capacità di ascolto, l'orgoglio, gli artisti un tanto al peso; il mercato delle idee, e quello della politica. Ma tutto sembra altrove: qui, nella nostra Carrara, non è possibile né godere né usufruire di alcunché, neppure dei resti. Abbiamo la miglior farina (marmo) del mondo e non siamo capaci di impastare una pagnotta, locale, dignitosa. “ Non è vero che il marmo si lavora così punto e basta”! Ma se la materia marmo, un artista, non la sente, come inizialmente è il caso di A. Martini e tanti altri, dovrebbe essere coerente ed utilizzare ciò che percepisce meglio: il cotto, il gesso, il bronzo, o qualunque altro materiale gli sia affettivo”. Purtroppo si sopperisce all'assenza di vocazione (la poesia del bello e del naturale), convocando la più radicale delle contestazioni: “l'arte, ripete supponente l'eco, non ha un passato ha solo un futuro, quello che [ noi ] gli costruiremo!” Perciò tutto è possibile: “....l'opera d'arte è operazione sul corpo dell'arte... è filosofia dell'arte...si fa' metà-arte … e si traduce in una discesa agli inferi dei materiali dell'arte, fino a congiungersi con il residuale, con l'immondizia”. L'idea stessa della quarta dimensione, geniale ed utilissima per il disegno tecnico, rappresentò agli inizi del novecento, un voler vedere e possedere l'immagine dell'oggetto integralmente. I pittori cubisti riuscirono nell'intento, sovrapponendo le immagini, di uno stesso oggetto, rappresentato da diversi punti di vista ( operazione non esaustiva, poiché per possedere integralmente l'insieme delle dimensioni prospettiche si dovrebbero rappresentare da un infinito numero di punti di vista). Nella scultura, per cambiare il punto di vista devo girare intorno ad essa; altrimenti dovrei mescolare, in una visione d'insieme, le parti posteriori contemporaneamente a quelle anteriori. È un bel pasticcio mettere sullo stesso piano, anche la parte che non si vede da un solo punto di vista, cambiando, con questo virtuale spostamento, l'angolo visuale delle tre dimensioni prospettiche. Lo spostamento repentino dell'oggetto, per vederlo rappresentato contemporaneamente da diversi punti di vista, potrebbe tuttavia rappresentare uno stile, una sensibilità, e giammai comandare una regola universale imposta con la forza di un movimento. Al di là di ogni tecnicismo e scientismo non penso che l'alternativa possa essere l'idea di una figura costruita su una infinita pluralità di punti di vista: è illusorio, così come non è possibile una compressione e penetrazione violenta di corpi e piani in un caos di materiali diversi che si connettono e compenetrano nella loro incompatibilità formale e materiale. I cubisti non si fermarono qui ma vollero rappresentare anche l'interno di un oggetto, squarciandolo. Tutto è ricerca, dello stile, noi apprezziamo un mosaico bizantino, per la sinfonia delle luci e dei colori, nonostante l'assenza di rilievo e di movimento; ammiriamo di più il Cristo morto del Mantegna per la tragicità dell'ardito scorcio; ma di una sola cosa restiamo convinti: che un'opera è godibile anche in molti dei suoi particolari alla pari della sua integrità. Molte lavorazioni, e la susseguente collocazione, lasciano spesso il retro di un'opera poco rifinito e non in vista: ciò che appare esplica la funzione di un alto/basso rilievo. Tutto questo dipende dal livello di struttura espressiva: e a tal fine, ben collocato in una nicchia, mostra la sua fiera vivacità il San Giorgio di Donatello, nell'ambito di uno schema a spirale. Mentre la figura definita raggiata/stellare del Mercurio del Giambologna, la si può gustare girandoci intorno? La percezione dei nostri sensi è sempre la stessa: tende a dare un significato alle cose viste, in base a preesistenti riferimenti, presenti in noi, legati alla nostra esperienza e alle più semplici forme modello memorizzate. Molto dipende dalla modellizzazione espressiva e dei significati e del senso che ogni opera d'arte mostra in sé nella sua organizzazione formale. Se così non fosse, mal percepiremo l'ingegno, del grande artista come del modesto artigiano. Ci riferiamo alla capacità creativa di ognuno, e a quella intellettuale di intuire, intendere, l'originalità di un idea, che è ciò che contiene il senso, l'acutezza mentale di reinventare i contenuti, non per quello che quotidianamente sono, ma trasformati dalla capacità di oltrepassare l'apparenza delle cose.

L'argomento che è messo costantemente in ombra, nel quadro del rapporto tra artista ed esecutore, è il ridurre a modesto artigianato o specializzazione parcellizzata, ciò che è tradizione, mestiere, prassi nella lavorazione del marmo, che è collettiva e popolare, perfino negli utilizzi domestici : la totalità o quasi degli oggetti che ci accompagnano nel corso della nostra vita sono null'altro che la trasmissione di un sapere artigianale. È pur vero che molto della tradizione si va perdendo, a discapito della funzione e qualità percettiva; ma la qualità e la bellezza coinvolgono costantemente il nostro stato d'animo, le emozioni, il vissuto, e gran parte di tutto questo è legato alle nostre esperienze. Nonostante l'eccessivo bombardamento di immagini che subiamo ogni giorno, di spregevole assolutismo, riusciamo ancora a godere, oltre che alle piacevoli capacità e perizie tecniche scultorie dimostrate, dello sviluppo significativo dell'intenzione, di quell'attitudine a realizzare l'idea originale e vera, ancora dall'affettuosità dello stesso statuario epocale, giunto a gratificare i tempi moderni.

È un processo originale tra i significati in dote alla nostra conoscenza e una sensibilità alla pietra avito, conosciuta al tatto, come a trasparire il blocco. La perizia tecnica nel lavorare il marmo è capirlo, saperlo ascoltare, è quel sentire che richiede una stratificazione di esperienze praticata da più generazioni. Negare tutto questo, è negare la genesi artistica dell'artigiano (almeno prima del Quattrocento). È un voler escludere alla radice l'organizzazione artigiana e i metodi individuali di ogni artista, annullare ogni liberismo e particolarismo: da quello economico, alla libertà artistica, al gusto di dare un'impronta personale e un'interpretazione degli ideali e delle tendenze del proprio tempo. Inesistente l'artista che trancia ogni relazione con la quotidianità e si chiama fuori dal contesto storico. Non saremo sopraffatti dal nulla, almeno fino a quando vi sarà questa umanità. La parcellizzazione tecnica può essere invadente e monotona come una catena di montaggio: perciò frutto di gesti ripetitivi, masticati e rimasticati fino alla noia; ma senza validi “aiuti” non sono possibili grandi opere, neppure per un grande come Michelangelo. Dipende come si gestisce quella dovuta incombenza della parcellizzazione che porta via tempo ed energie (solo la semplice arrotatura dei ferri, in corso d'opera, può costituire un problema all'intaglio e all'efficienza, figuriamoci tutto il resto!).

Un altro soggetto si confronta con l'eccellenza marmo, è la personalità dell'artista, che compete, volenti o nolenti, con tutti i mezzi della sua capacità creativa e con l'originalità dell'idea. E molto è legato al rapporto con l'ingegno dell'esecutore: dalla sua capacità intellettuale di intuire, intendere il senso del messaggio. L'opera dell'artigiano ( il banauso ), per gli antichi l'artista, non è solo dovuta all'incessante lavoro di lettura e realizzazione di molteplici copie, è più mutuata dallo sviluppo di una sensibilità interiore che lo rende disponibile, come mestierante, ad apprendere con acutezza e intelligenza mentale il verso, la direzione del linguaggio dell'autore. Siamo consapevoli che stiamo illustrando una figura (oggi scomparsa?), un personaggio che ha maturato quell'innato amore per la poesia dei suoni materici, verso l'armonia da essi rivelata, quando il segno segue il ritmo voluto.

Il principale punto di vista è legato alla creazione; alla intenzione dell'artista nell'attimo in cui la ricostruisce internamente; alla crescita di una pulsazione naturale semplice, data da una limpida suggestione spontanea. Perciò ci sembra essenziale l'importanza che si da al linguaggio formale: l'artista reinventa la realtà delle cose assunte dalla sua esperienza. Non è importante se quel contenuto è ben precisato ( una casa, un albero, delle foglie) ma come rivive nella forma espressiva. Preminenti saranno il rilievo plastico, coloristico, lineare e altro, rispetto alla moltitudine delle prospettive occasionali. Ad esempio, il rilievo plastico di Michelangelo nei confronti del non finito, costruisce un immagine concreta del senso, che è inseparabile dal significante. “ Diversamente, da parte sua l'ARU dava nuova validità alla tesi Celliniana dell'unicità della visione per cui Michelangelo, nella sua pratica di scolpire per forza di levare, si sarebbe fermato allorché, nel processo in cui la scultura prende forma a poco a poco, la sua eccellenza plastica sarebbe stata attenuata dalla creazione di ulteriori punti di vista”. “ Altri ritengono che l'improvviso arresto del lavoro sia stato causato, invece, dalla soddisfazione di aver raggiunto il termine della propria visione; sia per il risalto che il non finito da' al rilievo plastico nei confronti del finito; sia per la maggior espressione di pathos che balza da una sintesi estremamente rapida e ardita; vuoi per l'accentuazione di movimento che emana da una forma che tenta di liberarsi dal blocco; sia per l'amore delle sculture antiche, più poderose ed espressive se corrose e mozze; vuoi, infine, per la suggestione che deriva dalle figure che escono dal marmo grezzo ”. Non vi è alcun dubbio: in questa tecnica spontanea vi è il completamento della propria opera ed il permanere del suo sofferto conflitto tra materia e spiritualità, tra sacro e profano. Michelangelo dà alle sue poetiche una piena libertà espressiva. Qualsiasi ipotesi, a partire dalla incontentabilità dell'artista, assunte anche dal Vasari (carenze del marmo, troppi impegni; ostacoli della committenza e dei colleghi), è fuorviante. È incontrovertibile il dominio assoluto di Michelangelo sulla materia. Nessuna insoddisfazione gli avrebbe impedito di esprimere la propria idea di un maggior realismo attribuito al non finito per la vivacità dei rilievi plastici e del contesto stridente tra finito e non. Gli amanti della scultura conoscono il gusto dato dalla vitale espressività di figure monche, o dall'antico che emana da una forma grezza, alle sensazioni date dal primitivismo. Tutto ciò, forse stimola molti riferimenti, in noi preesistenti ( archetipi ), immagini primordiali dell'inconscio collettivo trasmessi ereditariamente. O recenti, di un vissuto radicato nella nostra esperienza, che si ripete e si innova, implicitamente nella nostra mente, legando le nostre idee a forme e modelli relazionali. Si dice infatti:

Il presupposto della percezione degli oggetti è la nostra esperienza personale: ognuno vede ciò che sa'. ….La forma è il mezzo concettuale per rappresentare l'idea delle cose.... in base a riferimenti preesistenti legati all'esperienza.... Il modello è la forma più semplice da noi memorizzata a cui affidiamo la riconoscibilità delle cose. … E tutte le varianti di un oggetto o configurazione lo adattiamo al modello a noi noto”.

Il processo è complesso: “ Per l'Ottocento l'arte è il mezzo per conoscere il mondo esterno, una forma di esperienza della vita, di analisi e di interpretazione dell'uomo”. E come il Quattrocento “ entrambi gli intenti si muovono verso nuovi mezzi, nuovi metodi scientifici, le invenzioni tecniche, l'espansione dell'economia”. E con un mercato favorevole agli artisti muove con più forza la ricerca della soggettività, l'originalità, l'espressione personale, l'idea, contrapposta all'opera, al risultato, qual'è il lavoro fatto. “ L'idea dell'arte autonoma, disinteressata, godibile in sé era già famigliare all'antichità; il Rinascimento non fece che trarla dall'oblio medievale. Ma prima di allora mai si era concepita l'idea che una vita dedita al godimento dell'arte potesse costituire una forma più alta e più nobile dell'esistenza”. “ L'idea del Petrarca di un'arte del tutto autonoma e che, benché indipendente dal resto del mondo spirituale, anzi proprio in grazia di quella bellezza che ha in sé le sue ragioni, assurga ad educatrice dell'umanità, è estranea tanto al medioevo quanto alla classicità”. Ad onta di ciò “il Rinascimento non fu rigoroso, né autonomo né puristico”. Ancora peggio nell'arte contemporanea, non solo l'orgoglio, ma la stessa capacità di ascolto di un popolo, non si manifesta come il vero motore della crescita di una comunità; ancor peggio la fredda logica dataci dal commercio, che prescinde ed opprime ogni elemento di valutazione artistica. Perciò nella vanesia Carrara: - meretrice di ogni orpello burocratico, ma con un forte e bilanciato sintomo di indisponibilità alla reale valutazione di impatto socio - economico dell'arte, - nonché restia alla programmazione culturale del territorio. Una Carrara dimentica della nostra realtà, che è permeata di forti tradizioni libertarie e ben salda in una valente impronta storica. Una Carrara dove gli uomini di valore si valutano per quel che realmente sono, non per qual che appaiono quando salgono sul tranvai delle ammucchiate clientelari. È la tranvia che veicola, in tempi moderni, il ruolo della politica e delle varie correnti, dove vengono pesati e fatti salire, solo, gli artisti a seconda delle lobby instaurate e l'afflato con gli amici dei miei amici.

Questo e un processo di unificazione che sconfessa la frammentarietà della percezione di una oggetto, come sommatoria di singole sensazioni, concezione tanto cara alla teoria associazionistica.

Etichettare la scultura quale arte meccanica è limitativo: non è solo fatica e sudore e mezzi meccanici che si spendono nell'esecuzione, l'artista impegna se stesso, sconta la sua partecipazione totale, l'immersione è completa, dove il ferro altro non è che il prolungamento della mano; mentre sente il lavoro dentro se stesso. Sono nate così le grandi opere ed i migliori artigiani, poiché conta moltissimo il rapporto con la materia, il volgersi della lavorazione, l'ambiente, la scelta dei mezzi e dei modi. È l'impasto della subbia, gradina, scalpello tagliente, che corre nel tuo sangue, sciogliendosi mano a mano in quel bel modellato, che si fa particolare, di un ornato, di un corpo, di un panneggio, o qualsiasi altra cosa sia l'opera. È il segno quale espressione arcaica, la più immediata, che nello scolpire è innato e si trasmette alla genialità delle mani: è la materia che si compiace prendendo forma dentro la tua predisposizione mentale, è come “il tratto inciso sulla pietra quale indizio di un messaggio più complesso”. Questo sentire è soggettivo ed ha connotato nella storia della scultura il fiorire di personalità e di opere di grande contenuto stilistico dal cinquecento in poi. Un esempio per tutti: nella Pietà del Duomo di Firenze di Michelangelo, fermatevi a contemplare il percorso lasciato dai ferri , indubbiamente, vi trovate segni di mirabile maestria, ma anche tracce di un impasto e di una trama che costruiscono un'immagine concreta del senso, nella sua stessa organizzazione formale, che non rinvia, puerilmente, a contenuti palesi e alla loro quotidianità.

Non dimentichiamoci del processo di parcellizzazione meccanica, poiché genera o può generare uno scadimento dal sapore di copia. Moltissimi manufatti testimoniano il contrario, dimostrando ai critici della vocazione prevalentemente monumentale e celebrativa che questa non era monotona imitazione, quanto memoria e ricerca del bello, il brutto è venuto dopo con decadenti performances e la riscoperta di una qualche concettualizzazione di accatto, che ha ideato dagli stracci e da materiali immondi una filosofia degli amici: una cultura degli scambi di favori, un maso chiuso dove tutti si sostengono a vicenda... manifestando la sfacciataggine di servire la cultura universale dei popoli. E quando riscriveranno i dieci comandamenti “della Cicero pro domo sua?”

Il Repetti paragona l'esecuzione di una qualche statua al lavoro degli orologiai di Ginevra nella cui fabbrica usasi spartire i dettagli dei lavori tra diversi operai, cosicché ciascuno si applica ad uno stesso meccanismo, con gran risparmio di tempo, di fatica e di spesa... poi l'artista, solo, conclude definitivamente l'opera, dandogli reale esistenza. Dunque c'è un metodo di divisione che giustifica e presuppone più professionalità organizzate; impensabili se non indotte direttamente dall'appartenenza ad una bottega e dall'apporto di uno speciale insegnamento scolastico. In questo contesto, dunque, si stagliano vere e proprie identità, ottime specializzazioni che continuano a guidare ed illuminare ogni autore. A fronte dell'enunciato: “il buon artigiano esprime e piega l'arte con la tecnica secondo i canoni fondamentali dell'arte”, ma quante identità, personalità, impronta propria di una bottega, possono evadere dalla consunta configurazione commerciale?, vantare una tradizione ereditaria, una diversità che la identifichi? Nessuna ! Anche perché la compagnia di giro delle specializzazioni, che gira per i laboratori è la solita: unico cerchio magico autoreferenziale. Riflettiamo sulla produzione statuaria, del passato, in gran parte a carattere religioso e civile, conosciuta come arte minore. Qui, incontriamo spesso immagini altamente simboliche (forme-modelli originari ); o a forte simbolismo: Icone marmore a carattere religioso, a fruizione popolare, indifferentemente collocate sugli altari o nelle nicchie delle chiese; sui muri delle case o nei crocicchi. Importante dal punto di vista iconografico è la storia del santo, e l'episodio che gli ha dato il nome. Individuato, poi, dall'abito portato, e contraddistinto dal segno che qualifica l'attività svolta ( libro, croce, rotulo). Oggi, perfino tutto questo ha perso la tradizionale attenzione. Passi la standardizzazione, ma una cosa, solo belloccia, tirata al fine con alcune sembianze quantomeno fantasiose è difficile inserirle nell'ordine dei Santi, Madonne, angeli. È pur vero che ognuno interpreta come sa' o come gli conviene, ma qui di emotivo e devozionale non v'è parvenza. Implacabili tagli con il disco diamantato, pronti per essere spianati con mole e smerigli, e via andare, i tempi sono grami. Questi tagli, utilizzati anche per lo sbozzo e la smodellatura, non sono più recuperabili ad un buon impasto del lavoro ne per una buona resa delle affettuosità del marmo. È impossibile accompagnare e riprendere questi tagli con i ferri, armonizzare linee e i segni plastici, soffermarsi sulla superficie generando graduali passaggi di chiaro scuro. Impossibile collegare,in sintonia compositiva, varie texture, pettinare trame. La stessa provocazione, chiamiamola pure colpo di genio dell'inclita o “ innovazione delle tecniche tradizionali, sempre uguali a se stesse” : apportiamo ad esse modifiche sostanziali , “al si è fatto sempre così” e, meniamo, su un lavoro rifinito, decisi colpi con i ferri dell'abbozzatore sulla lucidatura, al fine di ammaccarne la superficie e renderla crespa; o per staccare di netto una testa più volte rifatta. Ma per quanto assestati con maestria, le valenti ed esperte mazzuolate, sul finito, non potranno mai assumere una forma espressiva particolare, di concerto con il processo creativo originario. Già in quella differente tonalità dei suoni materici, nell'impatto sordo dei ferri, i colpi violenti contrastano con la dovuta ricettività del bianco marmo al comporre gli adeguati tratti armonici sulle sue molteplici affettuosità: per ciò stesso che la musicalità dello scalpello produce sempre tracce identitarie assai diverse dalla cieca muscolosità. Non è così che si dirime il contenzioso tra artista ed esecutore. Intanto perché il marmo è materia viva, carne che palpita ( Bernini, ratto di Proserpina ). Il marmo ha, da sempre, accompagnato la nostra vita quotidiana ( non solo per gli usi domestici, civili, religiosi ). Dipoi perché gli artisti moderni che sanno adoperare il marmo ( e pensano la scultura in marmo) sono rari. Di modo ché l'opera d'arte concepita non è, da sempre, elemento di condivisione nella comunità all'interno della quale sarà allocata ( e come dovrebbe essere naturale agganciata alla sensibilità del luogo ).

E non solo!, l'incomprensione è tale, che neppure l'esecutore ai suoi ordini ha la possibilità di collaborare in sintonia con ciò che l'artista intende fare. E nel contesto di tanta inaffidabilità non è secondario neppure la qualità del marmo che deve connotare esteticamente l'opera. Il marmo va scelto anche in funzione delle destinazioni d'uso, compatibile con altri materiali facenti parte della composizione architettonica o figurativa che sia ( a cospetto dell'effetto che si vuol ottenere). Infine la durevolezza considerata la sua resistenza, se sarà collocato in un interno o alle intemperie.

AUTONOMIA DELL'ARTE E TRADIZIONALE DOMINIO.

Finché l'arte è tutta volta a rappresentare l'ideologia e gli interessi dominanti, non sarà mai espressione di una libera sponte, di una proprietà intellettuale dell'individuo, la creazione autonoma della personalità. L'idea della produttività di un'arte, concepita come il più naturale dei godimenti della vita, diventerà una proprietà artistica individuale, quando ci libereremo delle solite creazioni, non solo meccaniche ed utilitarie, ma degli inutili polpettoni stilistici, tanto strazianti, quanto difficili da analizzare.

Nessuno nega che un lavoro di getto, tutto spontaneo, non esprima una invidiabile freschezza e vivacità, fonte di emozioni ed aperto nel plasmare un modello estetico originale, sia passato che presente. Anche scolpire a vista, senza un modello, partendo da un'idea ancora in embrione, non avendo programmato nulla, affidandosi solo alle configurazioni della materia e ad essa ispirandosi e seguendole, è cosa bella e piacevole, nella consapevolezza che il lavoro può anche risultare mediocre. D'altro canto v'è il suo risvolto, quante grandi opere hanno visto la luce dopo molti anni di minuziosi ritocchi ? È il tempo trascorso dagli autori a correggere, limare, ripensare, per far si che il senso dato abbia la giusta direzione nello spazio di un significato; affinché essi possano essere almeno testimoni, in piena libertà, del proprio tempo. Il libero arbitrio è sempre stato quel bisognoso grande masso da spingere fin sulla cima. Nel nostro tempo l'obbrobrio non ha limiti: tramite il dominio ideologico, si è perfino affermata l'imposizione delle parole e di ciò che bello e gradevole, nell'arte come negli stili di vita e comportamentali; alfine tutto vive sotto la cappa del mercantilismo, che mai è stato così oppressivo e imposto da congreghe di ogni genere. La recondita armonia, come l'invisa poesia, è ignorata, al pari di un canto che ritrova il genere umano dentro la propria poesia e verità (secondo la storia, gli eventi, le mutate tendenze culturali ed ideologiche, vissute). Se poi nel taglio diretto della pietra, si esclude qualsiasi intermediario tra l'artista che partorisce l'idea e l'esecutore, l'effetto può risultare di grande unità nella composizione.

Nessuno dubita del passato che è sempre più vivo, del quale, dalle macerie, perfino le pietre parlano della loro esperienza. La moltitudine gioisce quando incontra il valore espressivo di un qualsiasi segno, parole, immagini, tracce, e si arricchisce quando da esse l'immagine sgorgano forti emozioni. E molto dipende dalla forza visiva dell'immagine, che entrando nella nostra memoria genera affetti ed affezione. Sostanzialmente, la vera scultura, come ogni altro linguaggio o comunicazione, più o meno elaborata, è solo ed esclusivamente segno: significato che organizza intorno a sé significanti; lo è perfino nella sua collocazione spaziale rispetto alla posizione dell'osservatore, per cui non potrà mai essere tendenzialmente una comunicazione effimera, fugace, essendo, per sua natura prossemica, duratura ed imperitura nella rappresentazione di civiltà, usi e costumi.

Il marmo quale materia nobile è, per l'artigiano, pane e companatico e simbolicamente il suo viatico. E l'affettività verso la materia traspare dallo spirito con cui la sente, la manipola, fonde in essa la propria poesia, quasi soggetti di una stesso destino ed appartenenza. Ecco!, l'impasto marmoreo non è un elemento neutro, poiché sostanzia l'antico legame formale e percettivo legato all'uso, all'esperienza, alla tradizione; a culture storiche e ambientali. Non è un caso che tra i saperi siano comprese le conoscenze sulle qualità marmoree (dalla candidezza della pasta interna, alla consistenza della grana e natura cristallina, ai difetti). “In questo fenomeno percettivo sono, dunque coinvolti, oltre il nostro stato d'animo e le emozioni, anche, strettamente legati a questi, la memoria, il vissuto delle nostre esperienze”.

Da ciò le motivazioni, il tratto singolare di ogni mestierante custode di quella particolare manualità che lo rende diverso e speciale. Ma, come ogni altro lavoro, quello della scultura non differisce, dall'essere metodico e dipendente, secondo le esigenze della committenza e la qualità delle commissioni. Concettualmente, nella produzione, dallo scandaglio fino allo sbozzo, per togliere scaglie in eccesso, vi possono essere ancora voglie di novità, che saranno molto meno, nella successiva smodellatura, totalmente sostituite, da gesti ripetitivi dovuti al trasporto dei punti. Ovviati dal mestierante itinerante che non si pone questo problema, tiene al risultato, per consegnare il lavoro puntato in ordine, privo di errori. Poiché mira alla pagnotta e al sovrapprezzo, così come custodisce gelosamente i segreti del proprio mestiere, che utilizza di nascosto, menando anche il lavoro di routine. Sarà l'artista, solo, a completare l'opera a dargli una somiglianza ottimale, dopo averne assimiliamo l'idea che la motiva e aver ben compreso la direzione del senso.

Nello stile dell'artista, non è tanto designata la mercede, che è stabilita, quanto la fedeltà all'idea. Questa non è facilmente ottenibile se l'unico obiettivo è quello di finire, in tempi sempre più brevi, il lavoro, e quando il puntatore non modella come si conviene, ma spiana con decisi tagli del disco diamantato a ridosso delle misure puntate, lasciando solchi non accompagnanti passaggi gradevoli, ma ostinati. Questa esecuzione non tiene, nel giusto conto, dei profili e masse in armonia tra loro, dei ritmi, del concerto dell'opera, della quale ne ostenta, sempre di più, la spigolosità dell'affettato. La materia ne soffre ed anche il successivo intervento dello scultore a rifinire, utilizzando il piccolo strato di roba lasciatogli. Vengono così escluse antiche figure professionali minori, saltate perché si eliminano quei preziosismi – dovuti alle particolarità distintive dei vari gruppi scultorei, alle loro movenze, postura, vestimento; fino alla pulitura-rifinitura – che vengono assegnati alla manualità del lavoro ordinario, cancellando così specializzazioni non più rinnovabili nella scuola-bottega-laboratorio, sempre più povere e lontane dalla pratica e cultura tradizionale. Emotivamente, anche la semplice incisione dei segni su una pietra o su una statua stele, lasciati nel tempo, esprimono molto di più dell'odierna statuaria, in quanto almeno ne interpretiamo gli attributi che ci comunicano esperienze precedenti, quali simboli archetipo posti nelle case o nei luoghi di culto ad indicare una particolare funzione. Soprattutto benché immagini primordiali, queste mantengono un forte legame ereditario. Invece l'anonima statua di oggi, non la percepiamo neppure come la più semplice icona votiva, poiché è una parvenza imposta ai nostri sensi anonimamente, alla pari dei mass-media, che oltre la parola ci impongono anche la configurazione a senso unico. E non è un senso imposto dalla moda del momento; no è l'incapacità di elaborare in proprio modelli, attuare una scelta libera sul senso e sulla scelta del significato, spingendosi oltre questo, per dare, all'opera scultoria una sua dignità, non solo per antonomasia. Si discetta molto di mercato, quale dominus imperante. Ma la legge del prezzo, della domanda e dell'offerta, riguarda tanto la preziosità di una materia, quanto la sua rarità rispetto alla sua quantità. Il metallo o il diamante più prezioso ha già in natura un valore e lo mantiene. È ricercato. Vieppiù se vi aggiungiamo la magia di una lavorazione artistica di pregio, che lo rende ancora più unico che raro, aumenterà o diminuirà, sfidando i tempi, il suo valore? Il marmo, oro bianco, finirà male, alla “sbrota” ( broscia?), come l'oro nero.

4°) ESEGUIRE UNA STATUA DI GRANDEZZA MINORE DEL MODELLO. Ritorniamo ad operare sul triangolo isoscele. Sia A B l'altezza della statua, supponiamo cm 50 ; centro in A e B con ampiezza di compasso uguale all'altezza del modello ( cm 150 ), si descrivono due archi che si intersecheranno in C ( Tavole 16 e 17 ), C -A- B è IL NOSTRO TRIANGOLO.

Presa col compasso una qualsiasi misura uguale al modello, si faccia centro nel vertice C e si tracci un arco che incontri i lati CA e CB. Poi, chiudendo le aste del compasso su queste due intersezioni, misuriamo la distanza della retta CACB. Questa è la misura da riportarsi sul marmo, che sarà sempre, come tutte le altre a seguire, quella di un segmento parallelo ad A B ( la parallela ad uno dei lati del triangolo, che incontra gli altri due, li divide in parti proporzionali). Il proseguimento del lavoro è uguale alle altre tecniche già descritte.

5°) Riproduzione delle statue in marmo in scala 1:1. IL PANTOGRAFO. Oggi sempre più spesso sostituito con l'utilizzo dei compassi.

Per questo tipo di lavoro, a " ritratto", perché di grandezza uguale al modello, si adopera il pantografo, detto in gergo " macchinetta ". E' un braccio snodabile, in ottone, alla cui estremità è fissata, su un carrello, una punta di acciaio. Il braccio è imperniato su un'asta mobile e scorrevole, tanto in senso verticale che orizzontale: mentre il suo perno consente un movimento di rotazione ed è dotato di un fermo a sua volta mobile che è fissato ad un regolo, il quale è stretto, con un morsetto, ad una croce di legno. Questa va ad insediarsi, mediante tre puntali (grossi chiodi) acuminati, fissati alle estremità dei suoi bracci, in tre bullette forate nella capocchia: una è conficcate nel modello in un punto in cima alla testa; le altre due alla base del modello, comunque sul piano scelto. Nello stesso modo , in correlazione, detti puntali si inseriscono nei fori del marmo. Nei lavori di pregio, uguali bullette mozzate, a 5 o più millimetri, si “inmasticiano” nei fori. Così come nel modello di gesso i puntali sono ospitati nei fori ricavati da tre chiodi detti bulletta e ivi infissi, gli stessi puntali della medesima crocetta, sono sempre ospitati nei bulletta, “bodete”, che sono fissati e cementati in nicchie intagliate nel marmo: dove, precedentemente si sono scalpellati dei piccoli incavi, all'interno dei quali si sono praticati tre fori, predisponendovi i tre capi-punto. I fori ricavati nelle nicchie sono fatti con il punteruolo. Nell'esecuzione del lavoro, si segue la prassi già descritta: scandaglio alcune misure di approccio, ecc.. IL modello verrà tempestato di punti: si comincia a rilevare quelli più alti, lasciando una matita di " roba ", finché non se ne sarà ricavato lo sbozzo nelle sue dimensioni approssimative, in funzione di forme rigorosamente geometrizzate, quelle più emergenti nello spazio, le quali ne delimitano rigorosamente il volume in forme elementari di contorno. Indi, si fisseranno le misure quelle " a buono ", cioè reali. Per mettere i punti si prende una misura sul modello, con la punta di acciaio che scorre all'estremità del braccio: la si prende, la si blocca col fermo, si riporta sul marmo, spostando in blocco tutto l'apparecchio. Questo trasporto altro non è che il riporto dello stesso piano dal modello a quello identico del marmo: poiché i tre punti locati in entrambi, rappresentato dall'insediamento dei tre puntali della crocetta, sono esattamente la prefigurazione di un piano uguale, per un lavoro in scala 1/1 (a ritratto). Così partendo da una base comune, piano, il fermo sull'asta indicherà quanto marmo occorre cavare. Questa operazione dovrà essere ripetuta ogni qualvolta si porta una misura del modello sul marmo. Tavola 18.

Seguono altre tavole illustrative della materia trattata.





PANTOGRAFO. Metodo.

La partenza è data attraverso un piano comune, del modello e della statua, che di solito è quello più funzionale e che meglio si presta a posizionare la crocetta e quindi il pantografo: posizionamento atto a sfruttare tutte le possibilità di abbracciare con precisione tutte le parti e poter mettere i punti nel piano individuato. Desideriamo mimare Michelangelo, per meglio cominciare a togliere il superfluo, che è il vero spirito della scultura. L'approccio alla sbozzatura dipende dagli atteggiamenti della figura, dalle sue sporgenze, rilievi e sotto squadra. Anche in questa che è una riproduzione dal vero, il concetto di piano è fondamentale, e vede la figura da un unico punto di vista, prima di scoprire le sue tre dimensioni. La convenienza alcune volte trova l'approccio posizionando il modello e la statua orizzontalmente, come negli esempi precedentemente detti, e solo dopo si metterà la figura nella sua posizione eretta o progettata; nelle altre, la statua è verticale sulla sua base o piedistallo naturale. Tutto dipende dalle scelte per lo svolgimento del nostro intaglio, che avverrà considerando il rapporto di due parallelepipedi, esaminando il particolare geometrismo della figura. Il lavoro parte sempre tra due piani a piombo, o traguardati e a livello: perciò, nel caso specifico, quando spostiamo la crocetta, spostiamo tutto l'apparato, piani compresi. E' come se trasferissimo dal modello al marmo lo stesso, identico, piano; e difatti è così: poiché con il braccio e la punta di acciaio si prende una misura sul modello e la si riporta, pari pari, sul blocco, ma l'effetto è come se fossimo fissi su un unica posizione: stanziali su piani congrui.

Per ottenere un ottimo risultato dobbiamo posizionare strategicamente la crocetta, unica e certa guida, la quale ci consente, anche con prime misurazioni a scandaglio, una postura della figura che prevede già, il modello-statua dentro un parallelepipedo che ha lo stesso volume del blocco. Insomma, questi deve poter contenere agevolmente la figura.

Cominciamo a fissare i punti maggiormente in rilievo: siccome il blocco è ancora grezzo, la punta dell'asta non cadrà, ancora, nella esatta profondità marcata dal punto e dal piano del modello: il fermo dell'asta sollevato indicherà l'esatta quantità di “roba” da togliere. È prassi comune lasciare, d'acchito, una matita di materia ( 5 o più millimetri) per dare una prima sgrossata al modello. Comincia così lo sbozzo, facendo emergere via via le parti più in rilievo: significa che le misure portate lasceranno un funzionale spessore di marmo in più, e i punti non saranno fissati definitivamente, “ a buono”. Si lascia quello spessore di una matita di “roba”, partendo da un punto di vista frontale e arretrando fino ad ottenere forme grossolane, una bozza, composta di figure solide elementari.

Finito l'abbozzo, si comincia a mettere i punti definitivi, “ a bon”. Nel fissare questi, si faccia attenzione non solo alla precisione, ma alla loro collocazione strategica: far sì che seguano i profili e la plasticità della figura, come nell'eseguire la precisa trama e l'ordito di un tessuto: il movimento non è molto dissimile dal tratteggio di un buon disegno, quando occorre dare plasticità, linearità e volume ad un qualsiasi oggetto. Solo che sul marmo lo si fa' con i ferri, seguendo il tratto con la subbia che precede la gradina e vari scalpelli, favorendo quel bel modellato che già da' , di sé, una prima idea della texture della statua, mentre essa si fa' via a via più somigliante. E non è la mimesi il principale dei contenuti; al contrario lo è il modo di essere di tali segni, diversi in ogni libera manifesta interpretazione, nella loro qualità estetica, così come vengono mostrati nella singolare organizzazione formale ed esibiti, lontano dal modello concreto dei contenuti, che sta altrove; qui è in gioco quella sensibilità formale, che mostra in sé il senso vero, interprete originale dei modi di essere del linguaggio. È il canto e la poesia degli strumenti, orchestrata dalla sensibilità della mano che si fa poesia e solfeggio mirabile, con il dono della maestria che ha caratterizzato questa qualità, per secoli, con la bellezza ideale dell'arte e l'umiltà del mestiere.

Poesie:

ICONA MARMOREA :





BIANCA MATERIA

PLASMATA DA UNA MANO IGNOTA.

ICONA ANTICA CHE DI CARRARA

SEI INTRISA

DI SECOLI E DI STORIA.

D'UN TRATTO

FIORISCI NEL NUDO MURO

DI UNA CASA.

NELL'ANIMA DI MARMO

CUSTODISCI LA VERITA'

E IL PRINCIPIO DELLA VITA.

L'ETERNO, ABBRACCI,

IN DIGNITOSO SILENZIO.





MONTAGNA MADRE





TRA CUPI VERDI

E GRIGI NUDI E ARSI

INCOMBE BIANCA

L'ONDA LUNGA SU MISEGLIA.

SULLE ALTE CIME

MAI VIOLATE PRIMA

STAN CONSUMANDO TEMPI DI RAPINA.

CAMBIANO VOLTO ALLA MONTAGNA

CHE DA SEMPRE ACCOMPAGNA

LA VITA E LA GENTE DI CARRARA.

OGGI,

APPARE EFFIMERO FONDALE

D'UN TEATRO SILENZIOSO ED OTTUSO.

LO SCEMPIO

SI VEDE DA QUI.





ALMA VITTORIA CORDIVIOLA ESTRATTO

DAL LIBRO “ POESIE INCIVILI “





Note e tavole alla tesi Paolo.

NOTA N° 1:

CARRARESI A ROMA DI GIANCARLO BENEO, INDICE DEGLI AUTORI DA PG. 13 A PAG 126.





NOTA N° 2:





SCULTURA A CARRARA “OTTOCENTO”. SOMMARIO:

IL MARMO, LE CAVE, LA CITTA' DI M. DE MICHELI

ARTE E MANIFATTURA DEL MARMO A CARRARA DI G.L. MELLINI.

FRA ARTE E MESTIERE: IL RITORNO DELLA SCULTURA DI M. BERTOZZI.

GLI ARTISTI, BIOGRAFIA A CURA DI R.CAROZZI.

LE TAVOLE TECNICHE E ILLUSTRATIVE – CHE SUGUONO LE NOTE UNO E DUE – INIZIANO DAL NUMERO 3 FINO AL 22.





PRECISAZIONI SULLA TECNICA DEL TRIANGOLO ISOSCELE.

Alcune volte si sono fatte osservazioni in merito alle difficoltà, per i novizi, di utilizzare i compassi con il sistema dell'arco di cerchio tangente, sul triangolo rettangolo, per rilevarne le misure proporzionali relative. Abbiamo, a proposito una tecnica più semplice e molto precisa, quella di utilizzare, quando è possibile il triangolo isoscele. Ma quando è possibile? La condizione prima è quella di operare su un modello che è maggiore della metà della altezza della statua. Nell'esempio già citato ( statua cm 160: 2

= cm 80< di cm100 del modello, che supera la metà della statua ). Questa disponibilità ci consente - incrociando i compassi aperti su cm 100, e puntandoli prima su A e poi su B – di segnare le intersezioni dovute, partendo dal segmento AB relativo alla statua ( cm. 160 ). Anche qualora non vi fosse tale disponibilità, è pur sempre possibile operare su un'altezza maggiore della statua di almeno 1/4 e finanche di 1/6. La soluzione non è complicatissima: abbiamo già operato sul triangolo isoscele nel terzo degli esempi (tesi Paolo). Qui, se utilizziamo una grandezza superiore ad ¼, abbiamo, pur sempre, la necessità di superare la metà della statua: e lo facciamo raddoppiando la grandezza del modello. Supponiamo esso sia di cm 42 - che, moltiplicato per 2, è uguale a cm 84, maggiore di 160:2 = 80 < cm 84. Quindi possiamo agevolmente effettuare la nostra intersezione. Con un particolare accorgimento: così come abbiamo raddoppiato l'altezza per costruire il triangolo isoscele, dobbiamo riportare su esso, raddoppiata, ogni e qualsiasi altra misura presa dal modello. Sia nel trasporto dei capi-punto come per tutti gli altri necessari all'intaglio, c'è questo obbligo sulle misure prese: cosicché dopo aver raddoppiato l'apertura del compasso lo si porta sul lato A-C e, con il doppio passo ( rotazione su una punta ), si porta come già esperito la misura in AB allungandola fino ad A. E' questa una semplice rotazione, poiché, portando la misura su AC, si tiene ferma la seconda punta – quella più vicina a C – e si porta la prima su AB in maniera di poter allungare la punta del compasso fino ad A. Stessa operazione su detto 1/6 , che esige triplicate tutte le relative misure, tal quale l'esempio sopra descritto (il raddoppio).

Nel disegno in scala, statua cm.160:10 = cm 16; mentre il modello cm. 42:10 = cm 4,2. Scala 1:10 ( unità di misura uguale al metro ). Tavola 23.

Abbiamo considerato, precedentemente, le scale di proporzione per copie più grandi del modello, e dello stesso triangolo isoscele. Qui, ci occupiamo di un triangolo per eseguire una statua minore del modello. Il progetto ora è diverso, ma comanda ancora l'altezza della statua da farsi, che, pur assumendo il ruolo di variabile indipendente, mantiene comunque il quoziente del rapporto dei due numeri dati in un certo ordine (quelli di ogni proporzione). Il metodo è sempre quello dei triangoli simili, si segna l'altezza del blocco (statua da farsi) su AB, poi, apertura del compasso con ampiezza uguale a quella del modello (altezza), centrando prima in A e poi in B, trovo la loro intersezione che mi darà C. Di seguito, per ogni misura presa dal modello, una punta faccia centro in C, vertice del triangolo isoscele, l'altra disegnerà un arco, la cui corda, intersecando i lati AC e BC, sarà la misura DE da riportarsi sul marmo. Così si procede per ogni altra misura: centro in C, segno l'arco, poi stringo il compasso sui due punti di contatto, con le altezze del modello, misurando la relativa corda che sarà la riduzione voluta. Vedi tavola n° .Tutte queste operazioni raffigurano triangoli simili. Nella prima delle operazioni abbiamo la similitudine di ABC e CDE: per cui ad AC sta AB come CD sta DE (AC:AB=CD:DE).

Sul triangolo isoscele la riduzione, a stringere, è come quella da effettuarsi sul triangolo rettangolo. Per le statue di minore o maggiore grandezza è sempre l'altezza della statua che comanda,abbiamo dovuto ridurre il triangolo pari a un 1/3, e poi moltiplicare la misura, in scala, trovata per tre. Queste le operazioni fatte nei precedenti esercizi.

Continuiamo ora con un nuovo esempio, e operiamo sul David di Michelangelo, indicando già le misure, sia del modello sia della statua. Prendiamo di esso una copia in gesso o resina, che è cm. 408 di altezza, desiderando intagliare in marmo una statua di cm.102, quindi in scala di riduzione. Per far ciò, dovremmo disporre di compassi molto grandi ed allestire un triangolo avente un lato di cm. 408, mentre l'altro è di cm. 102. Ben si comprende che dovendo trasferire le misure di un colosso, i compassi dovrebbero aprirsi alla stesse grandezze del modello e del triangolo ( da cm. 102 fino a 408). Per questa misura maggiore, può essere utile dividerla per due, lasciando invariata la misura della statua che è di cm.102; quindi, 408 : 2 = cm. 204. Fermo restando il rapporto dei numeri del modello e della statua che è il quoziente quattro (408 : 102 = 4). Ciò significa che ogni misura rilevata verrà ridotta ad 1/4 (se una misura presa sul modello, ad esempio cm. 80, quella che verrà trasferita sul marmo sarà di cm.20, cm 80:4= 20). E cioè: 408 : 102 = 80 : X = cm 20. Questa è la proporzione nell'ipotesi che tutte le misure restino invariate ( cm. 408 e cm. 102 ). Altrimenti se riduciamo la misura che comanda che è di cm. 408 e la dividiamo per 2, abbiamo questa riduzione da recuperare. Infatti la proporzione è la seguente, sia 204: 102 = 80: X = 40, che è la riduzione da recuperare; e quindi, ancora 40:2= 20, misura reale del triangolo facilitato. Questi venti centimetri sono il corrispettivo della riduzione di una misura del modello, cm. 8O, nella proporzione della statua di cm. 102. Non dimentichiamoci che siamo in scala di riduzione e non di ingrandimento, verso la quale abbiamo l'obbligo della moltiplicazione.













IL BISOGNO ESTETICO DELL'UOMO.





Bisogno di arte.





Considerato il contesto primordiale nel quale si organizzò l'attività umana, non si esclude che essa si esplicò su innati bisogni essenziali: - nell'indagine sull'ambiente per assicurarsi migliori condizioni di vita ( conoscere per meglio corrispondere agli stimoli vitali ); - nello interrogarsi sulla propria esistenza, su ciò che ha dato origine alla vita; sul significato della morte ( all'aldilà ). Non è facile elencare una lista dei bisogni umani. “La psicologia caratterizza il bisogno nella carenza totale o parziale degli elementi di benessere innati e/o ambiti dalla persona. Alcuni fondamentali sono necessari alla sopravvivenza e sviluppo dell'essere individuale e sociale, quali l'alimentazione, la propria sicurezza e la miglior gradevolezza dell'esistenza; infine quella dell'affettività sessuale che costituisce l'essenza della prosecuzione della razza”.

Poiché l'uomo non è soltanto istinto e pura animalità, se così fosse non ci saremo mai evoluti, dobbiamo considerare come le straordinarie bellezze dell'universo mondo lo abbiano ispirato, quale grande protagonista e intermediario, abbagliato, tra l'immenso spettacolo della volta del cielo e la natura incontaminata circostante; quando non è il grande mare a stupirlo, con i suoi infiniti orizzonti. Quali emozioni estetiche avranno provato quei primitivi? Quali pulsioni e facoltà spirituali si saranno attivate? La vita di allora certamente non piana, da reinventare giorno per giorno, determinò la naturale reazione di alleviare l'esistenza con il bisogno estetico: sicuramente il godimento contemplativo originò l'attività artistica, avendo come prima fonte la natura che è in grado di impressionare i singoli esseri, elevandoli spiritualmente, così come tutti gli aspetti più belli ancor oggi ci rasserenano. “ Il bello è qualcosa che ha forma, quindi tra perfezione e armonia” E. Kant. Fu grazie a questo appagamento che l'uomo poté superare la barbarie e percorrere più velocemente il binario della civiltà. Oltre a ciò, nell'epoca considerata, le prime esperienze espressive orbitavano, tutte, nelle misere pratiche del ristretto gruppo della tribù. Quindi le prime forme artistiche nascono con l'uomo stesso; nascono dalla realtà e dalla vita stessa, stimolando una spiritualità contaminante in tutti i luoghi abitati. Lo provano i numerosi oggetti a carattere estetico, quantunque modestissimi caratterizzati, sempre, dalla funzionalità e utilità del manufatto. Di fatto però, “ il sentimento del bello non va confuso con il piacevole, che è invece collegato alla reale esistenza dell'oggetto”. E. Kant. E' ovvio che la potenza produttiva, come il concetto del bello, segue lo sviluppo delle civiltà, indispensabili per il maturare delle condizioni di istruzioni, esperienza e, in determinate condizioni socio-economiche, il genio della mente e l'intelligenza della mano. Infine, “ il bello è ciò che piace universalmente, condiviso da tutti, senza che sia sottomesso a qualche concetto o ragionamento, ma vissuto spontaneamente come bello”. E. Kant.

Nasce così l'arte come espressione di regole genuine, si è tentati di dire artigianali, in continua lotta con l'innovazione. Il bello si ha quando nelle cose si trovano armonia e giuste proporzioni. “La bellezza è qualità percepite che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell'universo osservato, che si sente istantaneamente durante l'esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi ad un contenuto emozionale positivo, in seguito ad un rapido paragone effettuato consciamente od inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale”. E. Kant. “....l'ordine e l'armonia , mimesi naturalistica, valutabili per il piacere visivo che producono , valgono in quanto ripetono rapporti e leggi della natura e del corpo umano”. .. ..G.C. ARGAN. Potremo dire che l'arte non è per gli occhi ma per l'anima: non è esclusivamente per ciò che uno vede, ma per come lo vede, rispetto alle sensazioni/emozioni che prova. È lo spirito che ognuno sa immettere nella materia preferita, anch'essa parte di una stessa appartenenza e sulla quale l'artista ha trasfuso la propria poesia. In questo senso la materia non è mai un elemento neutro, poiché sostanzia il legame tra funzionalità della cosa e senso estetico del manufatto. Lo sa bene l'artigiano che convive con la materia, che è per esso pane e companatico, un viatico quotidiano, nei cui confronti, ogni volta, rinnova un'impresa ed una competitività da intraprendere giorno dopo giorno: con tale impegno e sacrificio gli da vita e ne ricava il necessario per vivere. Diamo all'artigianato ciò che è dell'artigianato, che ha, da un lato, per sua destinazione e uso, almeno il privilegio di essere libero e affrancato da tutti quei condizionamenti che l'arte moderna impone, con tutte quelle sue astrusità espressive, che si nascondono dietro il nulla imposto dall'anarchia compositiva e “l'eccelso” materiale dello straccivendolo. Arte artigianale servile? Anche l'arte classica lo è, se comandata dalla religione, dal Principe, dal mercante? No! Perché l'artista puro non è mai stato asservito. È come il buon artigiano mantiene la capacità di trasmettere emozioni, che costituiscono un vero e proprio linguaggio. Poiché l'arte nel suo significato più ampio di espressione estetica, comprende ogni attività umana creativa, svolta singolarmente o collettivamente. Purtroppo, l'arte classica è la sola che è rimasta, in tutti i tempi, fonte inesauribile di emozione estetica. Oppure è considerata servile in quanto utile a qualcuno o a qualcosa nel risponde ad una precisa esigenza o rappresentazione di un ideale (“l'arte esprime la bellezza morale e spirituale mediante la bellezza fisica”. Cousin). Certo il pericolo è sempre incombente, quando un'opera è portata a buon fine con una tecnica impeccabile e rispondente alla commessa richiesta. Ma se il committente fosse appunto “quell'idea” nata dai lombi di quelle tante divinità, oggi imperanti, e liberamente prigioniere solo dell'oligarchia dei galleristi e speculatori vari, quanto del “vile danaro per ogni moccio” , obbligatoriamente dato a chi, politicamente corretto, è contro l'arte servile? Una cosa è certa, escludendo l'arte con la - A - maiuscola, “ l'artigianato rappresenta uno dei pochissimi attori di continuità culturale nella storia e nel costume di un popolo, nell'espressione di una creatività che si fonda sull'intelligenza della mano di cui la destrezza è parte, e che ancora dipende dall'approvazione del senso estetico” . È questa la crisi della nozione del bello? La dannazione per chi ha coltivato la monumentalità e l'arte celebrativa e retorica? Cosi interpretando, quanta sperimentazione alla elaborazione della tradizione va perduta, e quindi la riedizione di nuovi linguaggi. Se si escludono le radici di un popolo, a quali soggetti della vita reale si attinge; a quale realtà, quotidianità e concreto vissuto si contribuisce, collegando il prodotto arte ad una produzione diretta e moderna, significante, del senso in se stesso? A quale funzione artistica si potrà far riferimento? Certamente, a quella intesa a conciliare il mercato con il libero scambio e il valore aggiunto dell'opera ideata, maggiorata da quello dei materiali usati, con le preziosità e originalità della tecnologia. La tecnica è utilissima, per meglio governare la propria sensibilità ed ampliare la possibilità di riprodurre tutto ciò che è fonte di ispirazione, ma non sempre è essenziale, eccezionalmente la sola spontaneità costituisce la vera originalità di ogni artista nella sua personale distinzione. Distinzione e personalità per uscire da codici rigidamente determinati, frutto della trasmissione di un sapere artigianale rigido, chiuso in se stesso e ad ogni diversità. Troppo determinato e chiuso nella sua caparbia conoscenza tecnica. Questa ultima considerazione, che esprime un particolare squilibrio, può riguardare la purezza e la completezza di alcuni singoli, i quali, impadronitisi del mestiere, ed l'unico e solo loro vanto, ignorano quella sensibilità artistica ed artigianale,che è lo specchio delle sensazioni provate. Dunque potremo dire “ un'arte per l'anima non solo per gli occhi”. Ma senza un briciolo di tecnica, adeguata al proprio ego, come può essere difesa l'originalità dell'ispirazione?, è possibile generalizzare semplicità e autosufficienza creativa? Cioè una tecnica non imparata, autogena, valida ad esprimere universali sentimenti ( una particolare autogamia: una specie di parafrasi all'auto fecondazione artistica). L'esperienza e la storia ci raccontano altro, una sempre maggiore quantità di persone nutre una generale devozione verso i tantissimi capolavori che, prodotti con tecniche raffinate, catturano costantemente la loro ammirazione. Gli è che, nella modernità, si ha da “concionare” solo di riproduzioni, per lo più brutte, escludendo quell'abilissima tecnica che sa' perfettamente interpretare l'idea dell'artista e non ne mortifica né la libera espressione di lui né l'armonia e la sostanziale poesia dell'opera. La storia delle botteghe carraresi ne è una testimonianza storica inconfutabile. Il buon artigiano aveva ed ha questo compito interpretativo, anche se, all'interno del manifesto virtuosismo, nessuno può negare il sorgere di alcune rare genialità artistiche. Nel bene e nel male tutte le opere dell'uomo hanno un senso: la natura ed il godimento contemplativo che ispirano la creatività artistica; l'utilità del lavoro dell'artigiano estroso e le sue stesse modeste riproduzioni. Nel contesto delle attività umane, tutte queste rappresentano uno stile o la particolare realtà che le hanno ispirate, affidando loro la vocazione di rappresentare una funzione o di soddisfare bisogni, che esprimono i gusti di un'epoca e ne rappresentano una concreta testimonianza. E' innegabile, l'armonia e la perfezione sono pur sempre piacevolezza indotta.

Avanguardismo e astrattismo, nelle loro rappresentazioni di disordine e disarmonia, non rappresentano sempre un linguaggio compreso e condiviso; ciò non significa che non vi siano, in questi movimenti, anche opere pregevoli. Quindi, ritorniamo al punto di partenza, quando ci troviamo di fronte ad un codice incomprensibile e ognuno di noi può darvi la sua occasionale interpretazione. Riusciamo, invece, a condividere o comprendere quasi tutto, dei moltissimi studi del moderno linguaggio visivo, che sono studi della percezione visiva, del segno, delle superfici, il colore, il volume e la luce; e poi lo spazio la composizione, le tecniche, ecc. ecc.

L'anatema di oggi, è quello smisurato ego che disturba, quel “ solo concepimento dell'idea”, imperitura, universale, indiscutibile (perché, in alcuni casi, sfida solo i posteri); oppure l'emozione ed il godimento è solo del fautore. E l'arte della provocazione è un'arte al di sopra di tutto e di tutti: fuorché dalla pubblicità, che dà notorietà, che a sua volta dà successo; dal quale sorgono stima, onore, gloria e ricchezza. Gli Dei sono avvisati. La critica seria si adegui, il popolo pure.

E' quel Fiat, quel Deus: quell'attimo e quella luce Divina, che solo alcuni eletti possiedono, con lo “spotico” predominio delle idee: idee che però non si realizzano “ se non vi sono quegli stradivari che mettono a posto le loro, tante, magagne “. Tant'è che il mestierante e l'artigiano, con grande sensibilità e generosità, hanno saputo interpretare, spesso da piccoli modelli malfatti, grandiosi capolavori. E' questa la vera storia delle botteghe Carraresi.

La tecnica è indispensabile se ha il dono dell'umiltà e la capacità di immedesimarsi nell'idea dell'autore: ci riferiamo a quella sensibilità, anch'essa distinta forma d'arte, traccia, segno, di forti personalità artigianali, che sanno esprimere, con il linguaggio della loro poesia, l'originalità dell'ispirazione. Perciò non riusciamo a dimenticare l'idea del “bello obiettivo”, così diffuso nella natura e nella vita, che è nella composizione dell'armonia cosmica e nell'ordine della disposizione del creato. Avvertiamo che esso equivale a serenità e bellezza; è avverso ad ogni bruttura, al di là del tema religioso e dell'origine di ogni cosa. Al contrario l'arte moderna, in gran parte della sua infinita produzione, disdegna qualsiasi regola o canone compositivo. Disdegna altre sì ogni giudizio critico, quand'anche fosse quello che gli riconosce una piena libertà espressiva. Nel modo siffatto gli autori costringono l'universalità dell'arte a deformarsi, ad umiliarsi, spesso annichilendosi secondo le esigenze di fortuite e sgangherate originalità che rappresentano un eufemismo per non dire che trattasi solo di provocazione: o meglio un piegarsi della socialità universale all'opera di un LUI o di un LORO. L'individuo oggi ha la capacità di essere singolo individuo e contemporaneamente collettivo. L'uomo collettivo è giustificato a concepire l'arte come la nuova coscienza collettiva del nuovo mondo. Se avessimo la capacità di comunicare con un linguaggio comprensibile a tutti - un codice e realtà maggiormente condivise - oltre a migliorare le generali relazioni, avremo una coscienza globale nei confronti di comuni interessi. Il sapere collettivo consente di cogliere meglio ogni segno e movimento sociale o artistico. E' per questo che l'arte si gloria sempre del suo passato anche il più remoto ed è fonte inesauribile di emozione estetiche per tutti: archetipo e memoria a cui si ricorrere nei periodi di decadenza.

L'ammirazione extra arte verso l'artigianato è benvoluta nei confronti di un oggetto ben fatto, funzionale ( utilizzo e gradimento primario ).

Riflettiamo su un qualsiasi oggetto utile, e anche alla sua forma che si ripete più volte, modulo, alla sua applicazione nella composizione modulare, che può assumere valore connotativo in progettazione complesse ed eleganti design; ma può descrivere solamente l'oggetto nel suo uso comune, quotidiano, e quindi denotarsi. Abbiamo in mente il mortaio asservito al pestare, ma che il designer industriale ne ha colto tutte le suggestive forme elementari, riempiendo di stucchi colorati i vuoti e, giocando con l'accostamento delle forme, ha ben distinto la loro figura dallo sfondo, ottenendo le cosiddette figure ambigue, dove si percepisce ora una immagine ora un'altra, alternativamente. Questa costruzione modulare si è fatta per i pavimenti e per i rivestimenti esterni e/o interni.

E' sorprendente che Carrara, una città permeata da un'antica tradizione artigianale e con un passato artistico notevole, non abbia conservato una forte coscienza di sé, riducendosi ad una funzione marginale dell'arte e dell'artigianato d'arte: e quindi solo ad una appendice commerciale e mimesi meccanica. Salvo lodevoli eccezioni, si è passati dalle “botteghe” di un tempo agli odierni bottegai, venditori di brutte opere. Oltre l'innovazione, dove è finita quella cultura che sola è rappresentativa del futuro dell'artigianato. Consideriamo la diversità dei mezzi e modi di lavorazione che si confrontano e diversificano (scuole, botteghe?). Di certo una diversità nell'organizzare un gruppo strutturato di segni, intorno a strutture espressive. Diverse le personalità, lo stile, che reinventano la realtà, nella migliore interpretazione di un'idea, nel rispetto di ogni sensibilità. Artigianato come unico fattore di continuità culturale nella storia e nel costume di un popolo: di grande innovazione sì, ma contemporaneamente espressione di un creatività che tramanda di sé componenti etniche, sociali, estetiche, economiche e religiose; tutte espressioni di una società sinceramente rivoluzionaria e indomabile.

Nei momenti di grande sconforto non è facile ripensare “Carrara e la sua gente”, il ritmo materico dei laboratori sparsi nei vari borghi e ambienti (posti), veri luoghi della memoria ( quel ponte, quella chiesa, il particolare palazzo). Tutti ormai soggetti a mutazioni e monotonia e malinconicamente persi, persino dalle vivacità vocianti dei suoi “bardassi”. Serpeggia qua e là ombre di una solitudine uggiosa senza neppure il conforto dei vecchi lampioni scomparsi nel tempo.

Riemergono, a contrasto, come fantasmi della memoria, le consunte immagini dello stuolo degli antichi lavoranti: scalpellini, ornatisti, scultori...., via via che il tintinnio dei ferri scema dentro di noi. Forti si sentono ancora i lazzi degli “sfottò”, che maturavano i novizi portandoli alla padronanza del mestiere. La restante arte prova ad affacciarsi dai vicoli bui, oscuri perché senz'anima; ché devitalizzati e senza più identità: dove lo storico non è più storico ed il Centro non è più tale.

Allora lo sguardo volge lassù, verso quella montagna imponente e diafana che da sempre ha segnato il destino delle sue genti. Volge lassù verso quello storico compendio di blocchi sparsi: informi, abbozzati, squadrati, che ancora portano dentro di sé il risuonare di martelli e scarpelli. Una Carrara ricca dei suoi tanti mestieri, gelosa dei suoi saperi e delle sue scuole-bottega, è amata per la visibilità delle sue opere ben fatte (a regola d'arte). Una grande città perché ha dotato, di una superiore intelligenza, la mano di un esercito di artigiani.

Fuori dalle gelosie e dalla concorrenza, una risposta gli artigiani sono tenuti a darla: alla tradizione, al centro storico, alla loro sopravvivenza.

C'è bisogno di condividere esperienze, visibilità, minori costi ed un cartello che rappresenti le produzioni lapidee presenti nel territorio.

Una vetrina nel Centro Storico, con esposizioni qualificate e permanenti, abbinate ad un turismo selezionato, potrebbero essere una prima risposta.

Mi ha colpito un sunto di E.Repetti : “Nella maggior parte dei comunelli , il complesso dei quali forma la comunità di Carrara, i principali abitanti riunironsi in società sotto il nome di VICINANZA,

acquistarono in comune degli agri, frantoi, e molini, ne affidarono l'amministrazione ad un agente amovibile, e si obbligarono ciascuno verso tutti, e tutti verso ciascuno.....”.

L'inciso del Repetti suggerisce un legame con il territorio, partendo dai suoi bisogni e dalla sue particolari esigenze produttive più popolari e gradite, quale bene collettivo e preziosità insite nel patrimonio genetico comune, di una Carrara che brama riappropriarsi della propria storia e radici connesse. Purtroppo, questi orizzonti sono nascosti nelle pieghe, scivolose, di una tradizione e una innovazione, sempre più in contrasto tra loro, e storicamente lontane da un qualsiasi collegamento scolastico e di bottega. Lavori e manufatti, dell'oggi, che, nella quasi totalità, evadono da quella eccellente manualità e inventiva che era il vanto del patrimonio artistico Carrarese, peculiarità e grandezza dei nostri maestri. Oggi rimane solo il commercio spicciolo, frutto di modeste piccole vanità e spartizione di tutto ciò che si può spartire: alla barbarie non c'è mai fine. Perciò, in contrasto, l'associarsi presuppone un incontro sociale ed amministrativo, tra i primi attori di ogni attività artistica ( scuole, botteghe artigiane, Enti locali, Fondazioni preposte, singole personalità ). Ne abbiamo assoluta contezza, così ci è sembrato l'auspicio del Repetti richiamato all'inizio. Cioè costruzione di strutture organizzative predisposte all'uopo, per meglio lievitare la produzione artigianale Carrarese di eccellenza, riscoprendo e facendo leva sull'unicità e la sapienza tecnica del nostro patrimonio collettivo.

Domandiamoci, inoltre, rispetto a quale domanda si riparametra l'offerta locale, sul brutto dell'arte commerciale o funeraria che fa' degli sgorbi il proprio modello? Mentre gli innovatori non sono da meno. Sarà possibile un'offerta migliore?

Un orizzonte l'artigianato e l'arte Carrarese se lo può dare, attraverso un approfondimento degli aspetti più belli del localismo e dentro quel vissuto che ha consentito di respirare il piacere dell'armonia, della sapienza tecnica, coltivando fior di specializzazioni. Lo erano e sono manualità e innovazioni giocate, fin quasi alla soglia del Duemila, sul terreno della ricerca e sulla preziosità di un prodotto, reso insostituibile per stili di lavorazioni e di linguaggio; insomma, una ragione identitaria, il vero marchio delle scuole bottega. E all'interno di questi valori, la capacità di comunicarsi innovazioni, di contaminarsi a vicenda, di essere sistema e cartello, in un contesto europeo ricco di intellettualità elevate, costantemente alla scoperta di nuove ideologie. E nell'insieme, vicissitudini di una tradizione marmoraria non sempre fatta di cose belle e buone, sostanziata, spesso, dal dolore e dalla esasperazione, della miseria al seguito di un mercato e di una produzione non sempre generosa.

Ma il vero nodo gordiano da sciogliere ha la sua consistenza nei costi e nella concorrenza, accettare la sfida accampando l'unicità di una offerta internazionale. Dobbiamo riuscire a contrapporre la incomparabile bellezza di un prodotto, il marmo, nei confronti del quale non abbiamo saputo esaltarne la bellezza e la funzione, rispetto alla sua godibilità e autentica e rara e classica lavorazione. Ma come si approccia un simile risultato? Nel nome della scultura si è fatto di tutto e di più, utilizzando materiali diversi e anche spregevoli. La scultura originale nostra è un'altra cosa, ha la sua fonte in Michelangelo e nei grandi artisti del passato. Poiché i suoi natali sono le molteplici possibilità espressive, a principiare dalla scultura del “non finito” e del finito che ha un suo particolare codice e ritmo secondo le dimensioni che possono assumere i segni: cioè un messaggio, di per sé, compiuto, o gruppi di significati poeticamente organizzati ; oppure composizioni contrastanti e sequenze di significati. Tutto è possibile, persino un messaggio appena suggerito, incompiuto. In Michelangelo è la enucleazione di un'idea: la scultura come processo graduale di liberazione della forma dalla materia. E nessuno può negare che in tutto ciò vi è il godimento dato dal passaggio dei ferri, manovrati magistralmente e fautori di stupendi effetti plastici . Tutto sembra seguire i tratti di uno stesso disegno michelangiolesco, già compresso dentro di sé: e perciò segni che escono rapidi e sicuri, in linee, trame, chiari e scuri, senza tentennamenti, perché già posseduti da quel sasso. E' di questo prodotto che stiamo ragionando, della sua immagine, di farlo vivere nel suo habitat naturale, il centro storico, con le su botteghe, i suoi atelier, i luoghi tradizionali di ritrovo ( caffè, bar ? ), dove si possa discutere e familiarizzare, nel bel mezzo di un fiorire di botteghe d'arte e di presenze artistiche. Tutto nel rispetto rigoroso di una città che ha avuto e merita ancora nobili testimonianze all'altezza delle sue tradizioni.

Altro che arte meccanica che genera sudore, quindi grande riflessione sulla manualità dei nostri artigiani e sul loro passato. Certo, l'abuso dei tagli dati con il flessibile, come percussioni alla cieca, sono impossibili da recuperarsi e lontanissimi da quell'intaglio che fa' emergere gradualmente il modellato. E' sufficiente guardare I PRIGIONI di Michelangelo, oppure il San Matteo e le sue ultime Pietà: e osservare quei tratti di subbia accanto a rifiniture compiute, o la bellezza dei contrasti e delle texture; e nell'insieme la capacità di manovrare il ferro, martellato con colpi dati in giusta percussione e trasporto, che mangiano il marmo senza sbocconcellamenti, pestature o biascicamenti. Vi è tutto il passaggio di Subbie e subbiette, non a pizzicare ma a tracciate, a correre con un tratteggio allineato e parallelo. Non raramente si trova l'ugnetto nei sotto squadra e profondità. Cosicché il marmo viene mangiato unito, non zappato, e le figure acquistano le forme prefissate, già nella mente come nel modello. E di seguito vanno la gradine, e i vari e diversi scalpelli, prima di passare alla pulitura, levigatura, lucidatura, se prevista.

Il godimento dell'intaglio e dei volumi non emergono, se spiritualità e manualità non si completano. Non si può apprezzare questa abilità e intelligenza delle mani, se non si imposta correttamente il lavoro. L'un caso l'abbiamo dianzi descritto, un pasticciare la materia, prendendo inutili scorciatoia: sbassi e tagli traumatici, che tolgono sì molta materia, velocemente, ma non impastano il marmo con quella gradevolezza necessaria ad armonizzare e rendere puro un buon lavoro ( di questo si è già detto parafrasando il codice di un buon disegno e i molteplici significanti disponibili e organizzati dal tratteggio e sfumature). L'altro riguarda l'eccesso di trasposizione meccanica dei punti nella smodellatura: in questo caso il lavoro perde di freschezza, cioè quella caratteristica propria dell'intaglio diretto e della spontaneità. ( Come nel campo della recitazione, spontaneità e lettura pedante contrastano e fanno la differenza ). Se osserviamo le opere di Bistolfi, ad esempio nell'esecuzione dell'Armonia ( Città del Messico ),

notiamo sì un eccesso di tecnicismo, nel trasporto dei punti e nella esecuzione perfetta: Bistolfi è un virtuoso nell'esaltazione di ogni singolo passaggio, così preciso ed obbligato da stupire i migliori professionisti. Le Sue mani miracolose elevano la pasta del marmo aldilà di quella specifica qualità che appartiene naturalmente alla materia, donando ad essa il soffio della vitalità, che la fanno più bella, non ricca, e all'insieme, quel magistrale sentire che l'ottimo scultore cova dentro di sé, ingravidato dall'idea-soggetto-significato.

Sono questi i fenomeni specialissimi nel campo dell'arte, facenti parte del bello oggettivo. Ne consegue che l'idea sovrana è sempre pensata, e soprattutto sentita, in marmo o in pietra, perciò l'attore si immedesima nella più consonante delle materie, assumendo la particolarità del marmo di farsi duttile e di veicolare, con la sua lucentezza e colore, la forza istintiva e immediata delle passioni, espressa con poesia da quel poeta che, da essa e con essa, sa riconoscersi ed esprimersi.

Perciò l'ammaestramento ed il praticantato hanno da essere esercitati da quei notevoli artisti e mestieranti che si cimentano con il marmo quotidianamente nelle botteghe e nelle cave. Ecco! Una valida proposta che può dare sostanza e spessore all'insegnamento nelle scuole d'arte carraresi, soprattutto in quelle professionali. In questo contesto non può venir meno lo studio della litologia, in particolare dei marmi e loro giacimenti.





LA COMPOSIZIONE

FORME CHIUSE FORME APERTE.

A Carrara hanno lavorato e si sono formati in prestigiose botteghe e in un'eccellente Accademia, gran parte dei maggiori scultori di ogni epoca, educati all'affettività di un materiale vivente e di notevole personalità, il marmo! Un materiale che ha avuto la prima culla sulle falde del Monte Sacro ed è stato nutrito da una musa di nome Euritmia: “ la nascita di Euritmia avviene in Grecia, per indicare il bello soggettivamente condizionato, che non consiste nella armonica composizione delle parti di un oggetto, bensì nell'impressione di armoniosità che esso procura” . Non è chiaro cosa questo parto significhi, ma diamo per scontato che il verbo degli Dei è sempre enigmatico. Invece siamo certi che il bianco statuario di Carrara per sua natura si predispone, per le sue eccelse qualità, a rappresentare il bello ideale, comunque ad esprimere ogni cosa sublime. Sulle statue e sui monumenti scolpiti, nelle Apuane, desideriamo scrivere alcune pagine affinché si aprano al linguaggio dei sentimenti nelle arti figurative. Iniziamo con due termini a confronto, EURITMIA contrapposto a SIMMETRIA. E' evidente che la loro distinzione è molto sottile: la simmetria nasce dalla proporzione (accordo sulla totalità delle misure e giusta distribuzione dei moduli ); “l'euritmia è il bello e grato aspetto cagionato dalla disposizione delle membra”. Sembrerebbe che la prima sia riferita alla quantità e quest'ultima alla qualità. A parte che anche nel mondo antico i due termini tendevano ad assimilarsi; nel senso comune oggi per simmetria intendiamo una cosa diversa, siamo portati a concludere che due o più parti simmetriche sono uguali : spesso facciamo riferimento, tenendo conto della simmetria bilaterale del corpo umano, al piano sagittale mediano o piano di simmetria, utilissimo nell'avvio del lavoro di scultura. L'euritmia sarebbe un rinnovamento delle proporzioni del canone di Policleto. E' Lisippo che mette mano a correttivi parziali per migliorare il punto di vista dello spettatore e conquistare la profondità dello spazio (tridimensionalità). Nella veduta frontale dell'Apoxyòmenos, nonostante che dalla testa, più piccola, alle membra e a tutto il corpo, l'insieme sia più snello e sottile, rimane quel brutto scorcio del braccio destro. E' vero Lisippo tende al movimento e all'equilibrio instabile rispetto alla stabilità policletea: tutto il peso del corpo si sposta, bilanciandosi alternativamente sulle gambe (e quella destra si allarga un po' troppo), seguendo il movimento avanti/indietro dello strigìle, ma la visione che riassume tutte le altre, e rimane unica, è laterale anziché frontale. “ Una composizione sbilanciata, non da' un senso di sicurezza, di affermazione, trasmette casualità e precarietà ”. Siamo ancora lontani dal movimento di quelle linee forza dette serpentinate, che coinvolgono lo spettatore a girarci intorno e che si presenteranno come forme aperte: da “ Il Ratto delle Sabine a Il Mercurio del Gianbologna ”. L'Apoxyòmenos non è una forma chiusa, rompe il parallelismo dei piani anteriore e posteriore, ma la vitalità delle masse muscolari è presente solo sulla schiena; infine, quelle braccia protese in avanti non sono esteticamente gradevoli. La dimostrazione più evidente l'abbiamo nei cosiddetti “Bronzi di Riace”, che precedono di molto l'epoca dell'Atleta di Lisippo. Essi sono bilanciati e ponderati come il Doriforo, ma ben più alti e più saldi al suolo , con una maggiore accentuazione delle masse muscolari ( qui è evidente la grande differenza, a livello artistico, tra i bronzi originali e tutte le copie pervenuteci dalle statue in marmo in epoca romana ). I Bronzi di Riace con la loro bellezza e assoluta vivacità, già enucleano che l'intimo ritmo può portare alla nascita della poesia nel processo creativo. E tutto questo è merito della sintesi di Policleto nello studio sui Kùroi e di averli razionalizzati e tradotti in un trattato. “ Il ritmo ha un ruolo fondamentale nella creazione dell'opera espressiva. Al pari della proporzione ne è un elemento imprescindibile, fino ad assumere esso stesso un valore creativo autonomo”. E' specifico il riferimento al Doriforo, “ che rappresenta l'ideale greco di coerenza razionale ...”ossia l'ideale di perfetta proporzionalità”. Per il medico Galeno ( II secolo d.C.), la bellezza consiste nell'armonica proporzione delle parti, di un dito rispetto all'altro, di tutte le dita rispetto alla mano, del resto della mano rispetto all'intero braccio, infine di tutte le parti a tutte le a altre...”, cioè un gradimento estetico dato dalla ripetizione armoniosa e continua di uno stesso modulo che diviene ritmo modulare . Mentre il chiasmo lo riteniamo un ritmo alternato, alla pari di spazi pieni e vuoti di un edificio. “ Questa corrispondenza da' ordine e varietà. Perciò i retori greci la paragonavano alla struttura di un periodo armonicamente costruito con quattro frasi giustapposte, perché quattro sono gli elementi fondamentali messi in relazione fra loro”. ( Un piacere, come leggere A. Manzoni ! ). Se il ritmo è alla base di molte forme espressive dell'uomo, e ne scandisce la stessa organizzazione della vita quotidiana, l'equilibrio stabile di Policleto, detto “ponderazione”, è una postura che, mantenendo la figura ben salda sulle gambe e il baricentro dentro la sua base di appoggio, non può che esprimere un atteggiamento di coerenza nel mantenere ferme le proprie prerogative. Se l'Apoxyòmenos rappresenta con la tridimensionalità l'esistenza concreta dell'uomo sulla terra, il Doriforo ben saldo sui piedi da l'idea di difendersi bene dalla precarietà della vita, esponendo la sua verità: “ perché la realtà molteplice che noi vediamo quotidianamente è solo un'apparenza transitoria, è solo una copia dell'idea”. Quindi, è “ l'idea unica “ dell'arte greca che elevatasi dalla realtà perviene alla verità. In questo senso il ritmo è movimento, poiché è percepito come una successione di eventi: quando questi si alternano con una certa regolarità; in quanto un sentire primigenio può precedere le forme espressive anticipando la nascita dell'idea e l'immagine.

Il Doriforo nella sua bellezza statica si riallaccia all'arcaismo e all'idealizzazione greca, osserva la realtà ma è contro l'apparenza, e tutto relaziona all'uomo eterno, immutabile, perfetto: “ l'uomo è misura di tutte le cose.” Resta un interrogativo di fondo, sulla corrispondenza implicita del Chiasmo o Chiasma ( incrocio a forma di X ). Perché i greci la paragonavano a quattro frasi giustapposte?, mentre i latini parlano di “quadratio” per indicare che quattro sono gli elementi messi in relazione tra loro. Si esaurisce tutto in questo contesto “l'ideale greco di coerenza razionale “ o va oltre? “ Secondo la tradizione medica greca la salute è data dall'equilibrio di quattro umori o sostanze fluide : SANGUE, FLEMMA, BILE GIALLA, BILE NERA, collegati secondo caratteristiche fisiologiche e predisposizioni intellettuali. Per gli scrittori arabi, collegamento con i quattro umori i quattro temperamenti: SANGUIGNO, FLEMMATICO, COLLERICO, MELANCONICO; e i quattro pianeti principali: GIOVE, SATURNO, MERCURIO, VENERE. Nell'antichità, il numero QUATTRO ricorre insistentemente, sarà utopia rilevarne una qualche assonanza, insieme a molti sostanziali dubbi.





I Segni





Sulle tante opere dedotte dai testi d'arte, desideriamo fare alcune riflessioni sul linguaggio visuale. Anzitutto premettiamo una scheda didattica: “la figura umana ha una sua architettura espressa da forme standardizzate, organizzate da elementi geometrici e secondo le leggi della proporzione, in varie epoche stabilite. Sono figure geometriche derivanti dalle forme base, riconoscibili nel triangolo equilatero, il quadrato e il cerchio. Contestualmente, gli altri segni fondamentali del linguaggio e relazionati tra loro mediante la grammatica visuale, sono: il punto, la linea, la superficie, il volume, lo spazio, la luce, il colore” . Alcuni di questi, dianzi detti, possono sembrare accostamenti impropri con la scultura e molto più affini alla pittura e al disegno, ma non è così. Oggi il linguaggio è un sistema di segni condivisi, non più riferito esclusivamente a quello verbale, ma comprende tutto il sistema dei segni. E nonostante l'enorme portata comunicativa delle immagini è necessario acquisire tutti gli strumenti per interpretarle e leggerle se, gradualmente, si desidera scoprire la loro immensa potenzialità creativa. E' pur vero che ognuno di noi vede ciò che sa' e vi attribuisce un valore singolare, ma ci si può educare e imparare a saper leggere e interpretare. Nel contesto delle arti visuali si sappia almeno riconoscere le differenze elementari: ad esempio, per una scultura destinata agli spazi del territorio, si pensa che nella composizione si debba tener conto dei fattori esterni, quali la morfologia del territorio, il tessuto urbanistico, la preesistenza di vincoli naturali. Tali differenze sono da considerare, rispetto ad altre inserite in contesti diversi. Dunque, se i segni utilizzati dal linguaggio si strutturano e si relazionano in modelli espressivi diversi, “diciamo anche che un'opera d'arte non si preoccupa principalmente di indicare contenuti esterni, quanto identificare gli elementi che costituiscono il modello (forme, colori, superfici, masse, ecc..ecc..) e assegnare al loro assetto una significazione.” Tali segni hanno una validità compositiva plurima. Pensiamo solo alla linea come mezzo espressivo, e dei significati che può assumere retta rigida (stabilità), curva (movimento), spezzata (dinamica); linea mista, compendio delle precedenti (tensione), e cosi via. In una scultura l'impiego di “marcati andamenti lineari continui e fluenti, possono privare il marmo della sua consistenza di materia.” Sono alcuni esempi, non sottovalutandone altri: la linea di contorno, la linea che costruisce le forme e i volumi e la decorazione. Non desideriamo privarci neppure di superfici texturizzate, non potendo, qui, esaurire le ampie possibilità di comunicare dei segni. Non a caso le opere figurative stimolano in noi una forte emozione estetica. Proviamo, nella scultura, a tracciare alcune parti con la gradina e/o la subbia, contrapposte ad altre levigate o lucide, il contrasto è evidente e non è molto dissimile dal tratteggio di un buon disegno. Oppure ricavare delle ombreggiature scavando nel marmo e accostandolo al chiaro dei rilievi. “Lavorando e scavando la pietra in modo da catturare o rimandare la luce in gradazioni diverse, Bernini ha creato l'illusione di un continuo trapasso di superfici differenti”. Nei suoi stupendi ritratti, egli affermava che , lo scultore, più che copiare il modello, doveva creare una potente illusione di individualità, proprio per “far sì che un marmo bianco pigli la somiglianza di una persona che ha spirito e vita”. “ E talvolta per imitare il naturale bisogna fare ciò che nel naturale non c'è”. Citava l'esempio di come, volendo imitare l'alone intorno agli occhi, occorreva scavare il marmo nel punto dove si trova il livido. A questo legava un altra illusorietà: la vitalità di azione e il saper cogliere un atto caratteristico del modello ed imitarlo. Ecco!, come, per ottenere tutti gli effetti del colore, l'arte della scultura, deve poter contraffare il biancore del marmo. Così come le superfici si possono trattare in maniere diverse, e ottenere superfici texturizzate composte da segni organizzati, uguali o simili accostati, intrecciati in maniera casuale o disposti ritmicamente in modo da formare reticoli omogenei. Infine renderle morbide e sinuose, predisponendo linee sfuggenti, nel panneggio come in alcune o tutte le parti anatomiche. Il senso di questo nostro ultimo approfondimento è supportato dall'opera del ticinese Stefano Maderno, Santa Cecilia Roma, 1600. “Il marmo sembra privato della sua consistenza di materia, percorso in superficie da marcati andamenti lineari, continui e fluenti ( la Santa è coricata su un fianco, le braccia allungate lungo il corpo in linea con le gambe, seguono il panneggio ed il copricapo nel copioso defluire verso l'imbuto dei piedi, NDR ). I rilevi tracciati lungo i panneggi delle stoffe conferiscono all'insieme un senso di controllato dinamismo e sembrano segnare le linee di forza della figura.” Interagendo, arbitrariamente e fantasiosamente, solo da un punto di vista tecnico, sull'espressività della statua di Maderno, potremo interrompere detto fluire inserendo un tratto di plasticità, a contrasto, esclusivamente per dimostrare le molteplici possibilità segniche disponibili. Guai a farlo!, è brutto anche come paradosso. Tutto ciò a dimostrare come il segno nella scultura è la parola data alla mano intelligente, è il manifestarsi di un linguaggio attraverso il gioco dei riflessi della luce e dei volumi. Nulla avviene a caso quando si intacca la consistenza materica, altro è l'approccio tra la pietra ed un materiale nobile come il marmo, poiché diverse sono le affettuosità ed i metodi della lavorazione; come diverse e volute dall'artista sono le scabrosità, porosità e modulazioni della materia. Non è neppure da sottovalutare la bellezza e l'impatto estetico del materiale grezzo, ne la sue originali scabrosità e grumi, godibili e plasmabili da chi li sa leggere ed elaborare, che ramifica in essi gli arbusti della propria fantasia.

La scultura è un linguaggio a tutti gli effetti. E non mancano le convenzioni di segni e simboli che, nel loro valore connotativo, sono ricchissimi di sistemi segnici, “ che si addensano come a grappolo intorno al significato primario.” Non mancano le convenzioni di segni simbolici, riferiti alla storia, alla cultura, ad abitudini e usi regionali, all'umanità di un'epoca; alle figure retoriche ed altro.









Le forme base.





Le forme geometriche elementari sono state considerate depositarie di significati legati a concetti di equilibrio e di perfezione, assumendo per questo un elevato valore simbolico”.

Alle forme base, in vari periodi, hanno attinto varie figure professionali ( scultori, architetti, pittori, ecc. ). “ Poiché sentirono che le figure geometriche non sono soltanto astrazioni matematiche, ma che hanno una loro vita, un'intima dinamica estetica, perciò hanno affidato all'equilibrio di quelle il loro messaggio espressivo”. “ E soprattutto a quella perfezione formale che richiede rigorosamente l'uso della riga, squadra e compassi”.

La figura geometrica può essere considerata da tre punti di vista, per rispondere a tre diverse finalità: a) in funzione di calcolo matematico; b) ai fini della costruzione pratica di un oggetto, c) in funzione puramente estetica”. Poniamo l'esclusivo interesse su quest'ultima impostazione, interessati solo alla composizione, in particolare al movimento e alla forma. L'artista, lo scultore, quando progetta una statua, utilizza le figure geometriche sul piano estetico, seguendo delle regole compositive diverse, secondo la tecnica e la materia trattata: il marmo, il gesso, la creta ecc... Egli predispone, l'insieme, secondo la sua particolare personalità e sintonia. Cosicché le luci, le ombre, i volumi, sono organizzati aderendo ad una stessa logica e stile, in modo da consentire la medesima lettura organica della composizione visiva, tale da percepire la totalità dell'assetto dell'immagine e la genuinità del messaggio dato ( spesso prezioso e godibile anche nei particolari dell'opera: siano essi di movimento o staticità, di tensione e drammaticità o frutto di un equilibrio armonicamente costruito). Non è esclusa la grandezza o dimensione della figura umana in rapporto alla spazio stabilito che può dilatarsi o restringersi a seconda dei rapporti tra pieni e vuoti ( nicchia, facciata , pareti di interni organizzati). L'atteggiamento della figura, in questo contesto, ha il compito di affidare alle linee principali la definizione della struttura portante dell'opera, essenziale nel determinare l'impianto compositivo. Non a caso abbiamo inserito, per meglio precisare, il rapporto tra significato, la mera espressione geometrica, e significante, cioè i simboli universali: il cerchio = l'infinito; il triangolo=concretezza; il quadrato= doppio triangolo, molteplicità delle cose; i quali fin dall'antichità hanno ispirato l'impianto di grandiose decorazioni, di monumenti e templi. Perciò “l'atteggiamento del corpo umano ha un valore essenziale fissato da assi ( andamenti verticali, obliqui, orizzontali) da parallelismi e angolature”, nel contesto di un susseguirsi di regole compositive maturate nei secoli e secondo i costumi, le correnti e le mode, che hanno via via caratterizzato il messaggio visivo. Dialoghiamo con due esemplari pittorici (affreschi): - Giotto, San Francesco dona il mantello. “E' una sapiente costruzione delle principali linee oblique che hanno origine nel centro in corrispondenza della testa del santo, dove massima è la forza della composizione, e conseguentemente il suo centro virtuale nella confluenza dei crinali delle montagne” ; - Paolo Uccello, Giovanni Acuto. “La prospettiva è duplice: Il basamento è visto dal basso e il gruppo equestre ha il punto di vista all'altezza dell'osservatore. Tutto è sottoposto ad una rigorosa geometria: il rettangolo della composizione è diviso dalle diagonali e dalle linee di mezzeria orizzontale e verticale, che convergono al centro, separando il gruppo equestre dal basamento. Le forme principali del cavallo sono racchiuse in cerchi, mentre le zampe si dispongono secondo le direttrici diagonali.”

I valori espressivi hanno valenza universale, poiché il valore dell'armonia è comune a tutte le arti, nel linguaggio della scrittura, come nella musica, parimenti a quelli già citati. Ogni opera poggia sulla costruzione interiore degli artisti, oltre ad essere presente anche nella natura e negli oggetti o cose che provochino una sensazione. Queste sensazioni sono associate al movimento e all'armonia che proviamo nella vita quotidiana, insieme al ritmo che ha un ruolo fondamentale nella creazione dell'opera espressiva. E' sufficiente gustare i passaggi di un genio, Michelangelo, lo Stradivari Rinascimentale che, oltre a suonare meravigliose composizioni, fornisce modelli per arrivare alla perfezione costruttiva ed espressiva. Rivediamoci ogni tanto due rilievi marmorei, entrambi modelli rappresentativi: la Madonna con il Bambino e San Giovannino (il Tondo Taddei e il Tondo Pitti).

Al pari della proporzione, il ritmo dell'immagine, che è movimento, è dato da una successione di segni, o di colori, o di forme ( in musica di suoni, nella danza di gesti), che si ripetono ad intervalli regolari. Il ritmo che è alla base di molte delle nostre forme espressive, percepisce i segni di un andamento che può essere misurato o sfumare all'infinito ( una fila di alberi o di case dileguarsi in una strada; un colonnato che scorre in un ambiente ). Ma anche la facciata di una basilica, i bassorilievi di monumenti grandiosi, o gli ampi e lunghissimi corridoi dei palazzi d'epoca, possono ospitare opere scultorie di ragguardevoli dimensioni. Qui da un punto di vista estetico si può giocare con le composizioni, secondo l'armonia e l'estro: sperimentare L'ALTERNANZA, soggetti e atteggiamenti diversi. LA SIMMETRIA, tra le pareti opposte del corridoio, o intorno ad un elemento architettonico ritenuto importante. LA PROGRESSIONE, altezza, profondità e scorcio di un'opera. LA CONVERGENZA O LA DIVERGENZA, intorno ad un nucleo centrale ( di tipo statico o dinamico, come abbiamo più volte illustrato). La stessa fuga di piani che, nella prospettiva degradano verso l'orizzonte, sono una possibilità espressiva utilizzata anche da Michelangelo, nella Madonna della Scala con la tecnica del rilievo “stiacciato” e l'idea di un centro ( dalla torsione del giovane sulla scala incombente a quella del Bambino in grembo ); ma sopratutto ispirata all'altra idea geniale di Donatello, suo Maestro ideale, quella del rilievo marmoreo del basamento per il San Giorgio.

Oltre a questi, altri elementi concorrono ad aumentare il valore emozionale in ogni opera d'arte. Riconsideriamo quelli dianzi espressi, quali la “ripetizione, l'alternanza, la simmetria; la progressione e la convergenza o divergenza”. Non è necessario neppure uno sforzo di fantasia per intuire che in una statua la posizione delle varie articolazioni del corpo o il loro bilanciamento possono assumere tutte queste posizioni, compreso l'equilibrio di gruppi di figure intorno al personaggio centrale. Altrettanto lo è il segno quando vuole andare oltre il normale significato ed assumere un valore connotativo. E' il caso della molteplicità dei segni grafici e plastici utilizzabili, progetti di texture e di atteggiamenti amplissimi, compresi in incisioni variamente modulate. E' il caso di una ricerca accurata sulle potenzialità della materia, oltre il trattamento delle superfici, dove l'impasto della stessa ed il rapporto tra materia - luce - spazio è in grado di generare tutti i passaggi desiderati: vibrazioni e modulazioni, porosità o ruvidezze; e nel migliore dei casi il sempre armonioso segno dei ferri.

Ma in quanti modi (stili) si possono esprimere il movimento e la dinamica in un'opera, se molteplici sono gli atteggiamenti possibili della figura umana?, anche volendo definire solamente il carattere di una persona, la sua interiorità, nonché lo spirito; oppure la situazione spettacolare, partendo semplicemente dalla descrizione di alcuni degli atteggiamenti espressivi del volto, in sintonia con la conseguente motivazione anatomica complessiva? Motivare il dramma, la disperazione, il dolore profondo, significa contagiare la dinamica muscolare complessiva adeguandola a tale atteggiamento. Il migliore dei modi, per descriverli è senz'altro quello dell'osservazione e studio dei corpi viventi.

Eppure si parla da tempo anche di un linguaggio del movimento inteso come organizzazione di segni gestuali o motori o corporei: “ LINGUAGGIO MOTORIO, DEL CORPO, GESTUALE.





Il linguaggio del MOVIMENTO.





Se oggi il linguaggio è un sistema di segni condivisi, di tutti i sistemi, è bene chiarire di cosa si tratta: " il segno è un significante che si usa al posto del significato". Come già più volte asserito.

Ritornando alla poetica Michelangiolesca, proviamo ad interpretare quell'idea che vive eternamente e che l'artista ha il compito di liberare dalla materia: il David, simbolo della repubblica fiorentina, è l'uomo rinascimentale che combatte i tiranni, e, conseguentemente, è dotato di una grande superiorità e forza morale, datagli dalla ragione e dalla fede. Tutto questo come è espresso nella composizione? “Dai possenti rilievi anatomici del busto", dalla compostezza classica, da quelle grandi mani: l'una che sostiene la fionda e l'altra abbandonata lungo la gamba, che impugna il sasso. E' questa l'interpretazione? Diffonde, l'insieme, il senso di un grande movimento in potenza? Tutto interno, psicologico. Calma e padronanza anticipano l'avvenimento straordinario? La concentrazione intensa, la plasticità di quella meravigliosa testa dominante, pensierosa, ma consapevole della propria virtù, confortano positivamente? E' certamente un grande evento che sta' per effettuarsi, per mezzo di questo eroe nudo, "armato solo della sua spiritualità e ferma convinzione". Sono questi,consapevolmente, i significanti del medesimo significato. Lo stesso dicasi per le criticate sproporzioni della statua: è vero il canone di Policleto non è rispettato, per questo, le volute e mancate proporzioni, la rendono più espressiva. E opportunamente, dal busto partono rilievi anatomici accentuati in un forte movimento che, dall'attacco del collo, invadono la testa imponente, ampiamente contenuta in quell'arricciolato di capelli. Una similare simbologia la si può raffigurare nel meraviglioso San Giorgio di Donatello ( Bargello Fi. ). Del quale il Vasari ebbe a scrivere: " Fece figura di San Giorgio armato vivissima; nella testa della quale si conosce la bellezza della gioventù, l'animo e il valore delle armi, una vivacità fieramente terribile, ED UN MERAVIGLIOSO GESTO DI MUOVERSI DENTRO A QUEL SASSO" . È la traduzione poetica di quel movimento a spirale innalzato dal mantello, a partire da dietro la gamba destra; così esprimendo, rispetto ai tempi, una realtà segnica innovativa e moderna.

Mentre non lo è per niente il Mercurio del Giambologna, con il suo slancio atletico, in equilibrio sì, ma infisso come un palo al suo sostegno.

Più felice l'Apollo e Dafne del Bernini, nel suo "leggiadro atteggiamento, quasi ballettistico", con quelle foglie mosse dal vento del rapimento e dal crescere della metamorfosi, improvvisa, della donna in albero di alloro: c'è grande musicalità, e penetrazione nello spazio, in questa forma aperta, rispetto alla forma chiusa del parallelepipedo Michelangiolesco.

Di Michelangelo si è tenuto in grande considerazione il " non finito", che è anch'esso espressione di un significante usato al posto di un significato. Chi non è scultore difficilmente può provare il sentire dentro di se' la forza dell'impasto che preme, e la forma che si fa' ora virtù plastica ora linguaggio coloristico, mentre il ferro penetra nel marmo cavando, esattamente, quel tanto di materiale voluto; di poi, proprio queste tracce che, scolpite con grande godimento dall'artista, si arricchiranno maggiormente con il passar del tempo, pregnanti di eterno sapere mostreranno, sempre, una loro particolare bellezza.

Abbiamo considerato il segno come un significante che sta' per qualcosa di altro. In questo senso ci piace elencare alcune tecniche del movimento, purché siano considerate con indulgenza e beneficio dell'inventario: "vibrante modellazione, movimento in stasi, plastiche dinamiche e profilo lineare guizzante; nervosità del movimento muscolare affiorante sotto la pelle, panneggi svolazzanti, linea a serpentina vibrante. Sono tecniche utilizzate per rappresentare: - un tipo di texture, - la plasticità e il volume; - lo slancio atletico come la penetrazione nello spazio; oppure, la postura classica e l'armonia delle proporzioni, in quell'ordine che esprime l'idea di bellezza greca".





IL MARMO

La stessa estensione del significato della parola marmo, è usata a denotare i calcari che si dicono solitamente cristallini, cioè le rocce formate da un aggregato di grani di calcite, ma il vocabolo sta' per qualcos'altro: dalla qualità del pulimento che gli da' intensità e vivacità del colore; dal suo impiego greggio; o quando assume una lavorazione e/o lucidatura parziale a seconda della sua finezza di grana. Infine, se il significato e proprietà del marmo è quella di lasciarsi scolpire, segare e lucidare per mezzo di adatti strumenti, la sua connotazione è la diretta conseguenza delle molteplici espressioni e lavorazioni che può assumere la materia a seconda dello stile, del linguaggio e poetica dell'artista. Il marmo in se' già esprime notevoli eccellenze per la sua perfetta scolpibilità, ma ciò non nega ulteriori scelte per colore e venature. Infine, i marmi teneri e duri: teneri per delicati lavori di ornato; duri quando si devono ricavare stacchi fragilissimi. E' comprensibile, che la scelta dipende "dalla espressione " propria dello scultore.





SCULTURA: la poetica, le tecniche, il punto di vista.

Ragioniamo su alcune osservazioni, allorquando un artista si accinge a rappresentare un'idea.

Si da' per certo che si vuol realizzare ciò che si è già concepito nella mente: ossia l'oggetto preciso della nostra immaginazione. La differenza sostanziale tra opere fatte e finite è, nel confronto, tra la freschezza dell'una, nell'esprimere di getto l'idea originale, e un'altra troppo cincischiata e leccata, che può soddisfare l'occhio, essendo di grande pulimento, ma alla fin fine inespressiva.

Naturalmente, non vi è contrasto con l'adoperarsi a perfezionare il massimo di carica espressiva. Non vi è debolezza nel voler strutturare un messaggio più complesso, purché questa sia la vera intenzione e tensione iniziale: è giusto che l'idea sia fatta crescere, maturare, e sia precisata ulteriormente con uno studio ed una lavorazione sempre più raffinata, fino a portare le superfici anche al massimo di pulimento (lucide a specchio). Poniamo di assumere il tema del rapporto uomo – ambiente, uomo soggetto e/o protagonista; come realizziamo o consideriamo lo spazio in cui collocare tale figura? La pittura e l'architettura possono far ricorso alla prospettiva lineare dandovi profondità ed indicando spazi e oggetti umanizzati. Lo scultore lavora sul pieno e sul volume, non sul vuoto dello spazio. Ripetiamolo, per esso, fin dalla sbozzatura più che nella smodellatura, esiste il valore espressivo ed estetico della geometria, utile per meglio orientare l'opera. Già qui comincia a rendersi conto del volume, dei contorni e delle masse ( sporgenze e rientranze ); per mezzo delle quali, con lo scolpire per piani degradanti, si precisano meglio l'andamento degli assi ( orizzontali, verticali, obliqui ) che determinano il ritmo della composizione. Sono gli assi che suggeriscono la direzione dei piani da fissare con l'ausilio del trasporto dei "punti" nelle varie fasi della lavorazione. Viceversa nell'intaglio diretto è la buona conoscenza del disegno e lo studio accurato in tutte le sue parti dell'opera, che guida la mano dello scultore, anche attraverso varie simulazioni di un modellino in creta. Ci si riferisce, a mo' d'esempio, all'arte dei grandi: ( Donatello, San Giovanni Evangelista, Firenze ) - “ l'Apostolo si gira leggermente, collocandosi nello spazio sia con la sporgenza delle gambe, sia con il busto che vi si collega mediante la linea obliqua della mano e il passaggio graduale, verso la verticale, dell'avambraccio e del braccio...” ; - (Donatello, San Giorgio, Firenze ) “ Ha la sua radice nell'identificazione stilistica del moto, spazio e saldezza plastica. Lo scudo, oltre a segnare col suo spigolo l'asse della composizione , con l'obliquità delle sue due ali traccia confini sicuri nello spazio alla figura, abbracciandola completamente nella postura delle gambe e, attraverso la spirale avvolgente del manto, afferra ruotando il braccio sinistro per concludersi nel nodo quasi all'altezza della spalla destra.”

Queste citazioni ripropongono l'uomo e lo spazio in una antica dialettica classica dai termini noti: la composta staticità e la dinamica che esprime la continuità del movimento delle figure soggetto nello spazio. "Il contenuto spaziale della composizione in sintonia con l'accamparsi dinamico del volume , rilancia l'aspetto di una umanità rinata e fieramente armata di nobili ideali più che una immagine emaciata". Ma come vengono percepiti questi genuini tentativi di rinnovamento? Nel primo Rinascimento la postura esprime equilibrio e compostezza della figura, recuperando la bellezza Classica. Privilegiati due punti di vista frontale e posteriore: la figura è inserita in un perfetto parallelepipedo. I corpi sono quasi dei solidi geometrici. Nel tardo Rinascimento, l'abbandono dell'equilibrio e la figura tormentata, costruita sullo schema a spirale, moltiplicano i punti di vista. Perciò Il Mercurio del Giambologna anticipa un'identificazione stilistica più moderna: esprime una infinità di punti di vista, la sua struttura visiva è stata definita stellare o raggiata, proprio perché la figura costituisce il punto centrale intorno a cui si può girare. L'arte moderna inizia con il negare la frontalità per cogliere più superfici, sperando di rendere visibile “una quarta dimensione” , con la sovrapposizione di più immagini di uno stesso oggetto per proiettarne contemporaneamente l'insieme. Si può cambiare continuamente il proprio angolo visuale girando intorno alla statua, l'osservazione non esaurirà mai integralmente tutte le dimensioni prospettiche, e il risultato non cambia. Ciò che vale per il disegno tecnico teso alla realizzazione di un progetto, non ha alcuna valenza, se non per l'aspetto dinamico, il proporre infiniti punti di vista, intorno al tutto tondo o ad un qualsiasi altro oggetto. Un numero infinito di prospettive non rende migliore il possesso della realtà, che non è meglio rappresentata, neppure proiettandola in un solo tempo l'insieme, come fecero i cubisti, sovrapponendo le immagini di uno stesso oggetto. Con più efficacia, il Barocco mise in campo nuove capacità espressive volte a stupire, che non sarebbero state possibili con la postura classica e senza il rifiuto delle normali linee rettilinee, sostituite dalla spirale, e con il costante ricorso alla linea curva, spezzettata, contorta. Qual'è la differenza? Nella produzione impressionista di Rodin e Rosso si parla del migliore dei punti di vista, quello che riesce a farti apprezzare meglio l'opera e l'artista, elevando persino il singolo frammento ad opera d'arte completa. Già con il Barocco, un' opera la si può apprezzare gustando anche singole parti, una volta assimilato l'insieme ( lo stile, la forma, il significato segnico del contesto). L'effetto è la teatralità del Barocco, fondamentale per riacquistare i fedeli e punire i trasgressori, per riconquistare quelle verità divine che non è stato possibile dimostrare nella realtà dell'uomo contemporaneo. Se questi sono i contenuti, la struttura , tesa a stupire, va ben al di là di questi.

Quello che apparenta Rodin e Rosso è il senso della continuità dinamica dello spazio e l'intuizione della luce come mezzo per esprimerla”. Entrambi negano la frontalità: che non è una novità, come abbiamo visto fin dal tardo Rinascimento.

Medardo Rosso impone un rigoroso punto di vista; Rodin vuol essere espressione in tutte le direzioni dello spazio reale.





Poetiche in gioco.





La poetica e la tecnica fondamentale di Michelangelo è che dentro ogni blocco di marmo esistono infinite forme. Michelangelo parte da questa teoria: ciò che deve essere rappresentato esiste già nella mente dell'artista, l'esecuzione consiste nel levare il marmo superfluo: la scultura è quella che si fa' per forza di levare e non di porre. La statua in potenza già vive dentro il blocco. Tecnicamente e poeticamente “il processo creativo Michelangiolesco”, privilegia l'unicità del punto di vista centrale, cavando per piani, arretrando fino a quello posteriore, (in linea con il perfetto parallelepipedo). Si ritorna sull'esempio del San Matteo che tenta di uscire dalla materia con fatica dove tecnica e poetica concorrono insieme. Michelangelo è moderno in tutto: dall'uso della copia, per l'importante esperienza fatta nel “Giardino San Marco” dei Medici ( più simile all'insegnamento delle nostre Accademie e diverso dalle “botteghe” di allora); all'uso delle tecniche. Il punto di vista frontale, la concezione dei piani ( la sommità piana della vasca d'acqua che scende nel suo defluire ), è fondamentale per comprendere tutte quelle tecniche che, mano a mano, porteranno nell'Ottocento e oltre all'esplosione di sistemi e tecnologie innovative. Questo processo segnerà sempre di più la tradizione scultoria, moltiplicando l'uso delle copie, caratterizzando l'insegnamento nelle scuole moderne, per imparare le regole e la tradizione. Anche se l'utilizzo del modello, per una migliore riuscita del lavoro, Michelangelo lo considerava più un aiuto dovuto ai suoi allievi. Egli preferiva scolpire d'acchito disegnando direttamente sul blocco, rincorrendo quell'idea, che già preesiste nel marmo, che vive eternamente e che l'artista ha il compito di liberare dalla materia, lottando con essa. Qui, il confronto è radicale, “si fa' angoscioso problema dell'esistere, e sfida quotidiana nella ricerca di una soluzione religiosa, di salvezza, in un conflitto irrisolvibile e senza speranza con se stesso e con le grandi aporie dell'arte ( difficoltà o incertezza derivante da un eguale validità di due tesi contrarie: non l'imitazione in se stessa della natura o dell'antico – ma la mimesi come atto di servitù e di possesso ).” Non è il rapporto sereno del Brunelleschi: la virtù della ragione che domina le cose.

Nonostante la critica, è la poesia michelangiolesca che riflette preminente sull'idea dell'arte, sulla “fatica corporale che genera sudore”, sulle tante insoddisfazioni e amarezze: “Non ha l'ottimo artista alcun concetto c'un marmo solo in sé non circoscriva col suo superchio...”. Non è la copia fedele del modello, ma è l'ispirazione, quell'idea che solo in corso d'opera si precisa gradualmente e si perfeziona completandosi e realizzando ciò che è pur sempre dentro la materia e nei suoi contorni (circoscrizione). E' quantomeno ingeneroso il giudizio di Leonardo sulla scultura, qualificandola arte meccanicista che genera sudore, quando la scultura, rispetto alle altre è arte di grande ingegno e scienza sublime, tutt'altro che meccanica e rozza.

Dopo la morte di Michelangelo è iniziato un lungo processo di distacco tra modellatore ( cera, argilla) e colui che lavora la pietra, fino al punto di considerare la scultura subordinata al modello che è dell'artista. Una autentica frattura tra invenzione ed esecuzione: un tempo l'artista riassumeva in sé i termini antagonisti di Statuario (l'artista) e scultore (chi scolpisce con lo scalpello: l'artigiano).

Oggi lo scultore è solo il copiatore: un esecutore sempre in ombra e il mestiere ininfluente; così pure l'utilizzo delle tecniche e dei ferri. Ma chi sceglie la materia ed è a contatto con essa? Chi ha consentito di veicolare l'arte, i tutto il mondo, attraverso le innumerevoli riproduzioni?

Pensare la scultura sulla base di un piccolo modello non è la stessa cosa che pensarla in pietra. Siamo di fronte ad un contrasto evidente. Nel mezzo stanno tutti i passaggi relativi all'esecuzione, e alla sintonia necessaria per armonizzare collaborazioni, spesso, tra personalità ed esperienze tanto diverse. Un tentativo di vicinanza alla conciliazione, lo si ha quando si ricorre a modelli uguali al vero, meglio se perfetti e ben strutturati: accuratamente studiati e frutto di una costante collaborazione. Canova, già dalla tomba di Clemente XIV, introdusse questa innovazione, portando all'estrema perfezione il modello: non più come semplice riferimento, ma guida fedele per la smodellatura. Éi riservandosi l'ultimo strato di marmo, lasciatogli dalla lavorazione precedente, rifiniva e si riappropriava delle finalità dell'esecuzione, portando all'ultimo grado tutto il valore segnico dell'opera e dandogli una definitiva impronta di sé.

[(E' corretto non dimenticarsi di un'altra manualità che interviene immediatamente dopo il puntatore: è uno scultore che, spianando i punti, conduce la scultura all'ultimo grado di rifinitura, lasciando una piccola grossezza di marmo, alla magistralità del tocco di Canova). La manualità dello sbozzatore e smodellatore è importante; certo la direzione dell'artista deve essere presente e il loro concerto appropriato ed affidabile. La realizzazione “dell'idea” non è mai scontata e lineare, per possibili imprevisti insiti nel marmo o le relative difficoltà di lavorazioni. Torna alla mente un frase di Martini: “molti artisti mandano incompiuti modelli in gesso, fidando di trovare, a Carrara, i geni che rimettono a posto le loro magagne” ].





LA materia, LE TECNICHE, i ferri.

E' delittuoso lavorare il marmo e renderlo più brutto di quando era un semplice sasso, e quando, già al naturale, esprimeva molto di più.

Non si può disonorare e maltrattare una materia nobile: sottoponendola a spaccature e pestature, o snaturarla e snervarla, eccedendo nella pulitura con le smerigliatrici. Le sculture ne soffrono sia per i difetti indotti, che per l'appiattimento dei loro contorni, quando vengono alterati, fino a divenire insignificanti. I costi di mercato costringono a comprimere il fattore tempo, predisponendo che si avvii, con il fordismo, una produzione industriale e/o commerciale solo seriale, e tesa a menomare il mestiere con brutte e insignificanti sculture. Così il ricorso ad una lavorazione industriale rapida ( quanto squallore nell'arte funeraria! ), per le tecniche usate, elimina o rinnega il vero linguaggio della scultura. Un altro dileggio: non si comprendere perché il primo “Bischero” che capita a Carrara, carico di soldi e di raccomandazioni più che di “illuminate idee”, lo si debba osannare e super gratificare, e non si possa, cambiando referente, organizzare e finanziare la gloriosa tradizione scultorea Carrarese.

Le tecniche e l'uso dei ferri debbono, non solo essere appropriate , personalizzate e ideate sul campo alla bisogna, secondo il lavoro da farsi; ma anche tener di conto della qualità del materiale rispetto alla sua durezza e lavorabilità.

Questo ci ha insegnato il Canova che portava a perfezione la rifinitura, consapevole che la sua tecnica espressiva era cominciata da una eccellente qualità del materiale, dalla perfezione della smodellatura, da tecniche innovative sul finito , compresa la lustratura. Per avere una idea dell'affezione del Canova verso la scultura, pensiamo a questo : – intanto la cosiddetta ultima mano era tutt'altro che un sigillo formale; - spesso, lasciava e riprendeva il lavoro dopo un lasso di tempo, iniziando una rifinitura particolare: al lume di candela, per attuare le molteplici affettuosità delle superfici, studiandone i trapassi delle ombre e l'effetto delle luci proiettate dall'alto. Infine considerava l'opportunità delle rugosità e i riflessi da armonizzare con le tracce dei ferri, diversamente da quelli che lasciare all'opera del lustratore. Da considerare che tutte queste osservazioni e precisazioni erano già state anticipate nello studio del modello in gesso portato al vero .

Non sembrino meticolosità inutili, la pedante descrizione della luce di taglio dall'alto, che simile a quella degli scuri laterali (luce radente) evidenzia rugosità indisponenti. Nessuno si allarmi oltre il dovuto, perché anche questo effetto indotto ci consente da una parte l'apprezzamento del marmo e il suo essere trasparente, brillante e carnicino; dall'altra, per tracciare e lasciare segni voluti e sentiti, facendo apprezzare anche i più impercettibili elementi di uno stile: tant'è che la stessa verosimiglianza della pelle ha integrato l'idealizzazione dell'arte greca. “ Fra i diversi marmi che si estraggono dalle cave di Carrara il più prezioso senza dubbio è quello detto volgarmente statuario bianco. A fronte che assai densa ne sia la materia e grave il peso, ciò nondimeno la sua omogeneità, candidezza, traslucidezza e pulimento, armonizzandosi con la diafaneità dell'atmosfera lo rendono atto più di qualsiasi altra sostanza a rappresentare la leggerezza, e le forme quasi aeree di quegli esseri mitologici ed eroici, i quali si costumò essere celesti. Le statue di marmi coloriti e di metallo sono belle per convenzione ( il diaspro, il basalto, il bronzo), ma pesanti e compresse verso il suolo..... Apollo, Diana, Ebe, Mercurio nel sortire sotto lo scalpello dal bianco masso marmoreo non molto differiscono da quelle stesse divinità, sporgenti dalla nube alla voce di Omero per manifestarsi ai mortali.” ( Eman.le Repetti). Ombre, pieghe, semi trasparenze, il rosato della carne viva (qualità proprie del buon statuario), pongono gli scultori alla pari dei coloristi e dei pittori . Essi infatti si servono di tutte le risorse del rilievo: luce (forte) con ombre tenue si alternano,con gli scuri, quando non si coniugano in una sinfonia. Il colore è come il fare del bel modellato: veri passaggi, varie texture. E infine il linguaggio liberatorio del NON FINITO, non solo dalla materia, ma anche dalla perfezione di un modello: una scelta radicale, “per ciò che nel compiuto è immutabile in contrasto con l'incompiuto che si apre ad infinite possibilità di soluzione; a qualità infinite, impreviste” (Michelangelo).





ANALISI PARTICOLARI





Figure Intermedie

Non è di troppo neppure l'analisi e lo studio delle cosiddette figure intermedie ( singole attività lavorative parcellizzate ). Ciò che più ha fatto disgustare, anche per gli eccessi non virtuosi, il marmo di Carrara è l'abilità, o meglio l'insufficiente abilità, a ripetere, di mestieranti/specialisti, un lavoro industriale che ha suddiviso varie parti della scultura: mani, piedi, volti ( estremità curate dallo scultore); le vesti (pannista), fiori, capelli, ornamenti vari ( ornatista ). Allo scalpellino gli elementi architettonici ( capitelli, basi, ecc). Questi sono alcuni indicativi elementi di parcellizzazione che hanno disaffezionato nell'apprezzare le qualità vere del marmo, che piuttosto richiede più armonia nella lavorazione e originalità nelle espressioni: come ad esempio nella postura della figura, nel taglio e caduta delle pieghe, nelle tecniche dell'impasto come nella rifinitura. Insomma, è mancata la cultura della tradizione, quella preziosissima dei maestri delle botteghe carraresi, insieme al deperire di ogni apporto scolastico. Cosicché i manichini nelle loro rotondità asettiche e legnose sono meglio formati e vestiti. È mancato il modo della rappresentazione, tipica degli usi estetici del linguaggio: quella modellizzazione strutturale “ di un segno (significante) che mostri in se stesso il senso: cioè che costituisce una immagine concreta del senso”, nella sua organizzazione formale. E si preoccupa non di indicare realtà conosciute, ma di costruire in modo diverso i contenuti presenti nella quotidianità; quelli inediti!









Il Marmo.

La qualità del marmo non può prescindere: dalla lucentezza, pastosità, gradevolezza, sensibilità e trasparenza. Un marmo che sia anche consenziente: cioè suscettibile di ottimo pulimento e di plasticità notevoli e surreali. Tutto ciò è in fieri: un marmo la cui pasta finissima e tenace si presta ai lavori di scultura e di ornato, per i lavori più finissimi e delicati; che sia resistente agli stacchi e può tirarsi a capello, se vogliamo ricorre ad una espressione gergale.

Occorre aver respirato l'aria delle nostre cave, assaporato le sue abitudini lavorative, i suoi richiami, visto i camminamenti sui ravaneti, per immedesimarsi in quella tradizione che pregna di sé ogni atto e modi di dire, per intuire quanto questa identità possa aver influito, in passato, sulla produzione artistica e scultoria. Insomma il marmo è tante cose della nostra tradizione: nei termini dialettali come nell'esprimere con una certa durezza atteggiamenti. Sembra la nostra indole somigliante a quel marmo che tanti momenti avversi della nostra vita ha rappresentato: in sintonia con le sue sorti altalenanti, i suoi difetti e imprevisti. Sentirlo dentro di se', il marmo, lo si trova più docile e consenziente, soprattutto nello scolpire: una disposizione d'animo sensibile è importante e si colloca in armonia con un materiale prezioso e buono. Avversarlo lo rende ostile e caparbio: resistentissimo alla ottusità dei colpi mal diretti, non coordinati. Dal cattivo suono materico , con il ferro che via via si fa' più bolso, si evince la contrarietà del materiale all'insensibilità più che all'imperizia. L'artista, dal tocco malevole, che maltratta l'armonia degli strumenti, con eccessiva pesantezza di mano, non coglie alcun risultato propostosi, bensì il suo contrario. Non sente “il rude” che ben non iscaglia, con i colpi dati alla cieca pesantemente. Non sente che il suono non è ritmato e non segue trame ordinatamente dirette? Alla gradevolezza del suono ritmato corrisponde un marmo arrendevole e un tessuto omogeneo tracciato dal ferro. La forza va' calibrata, mentre i colpi possono essere virtuosi. Con il martello pneumatico occorre una mano miracolosa che sa' prendere il verso e deve esercitare una giusta pressione, tale da consentire al ferro di mangiare il marmo statuario gradualmente, o di penetrare segnando dolcemente quei passaggi di ugnetto, gradine, scalpello tagliente, e consentire al marmo di prendere lodevoli forme e tramare. Insulso anche l'uso, mortificante, di portare la superficie della scultura tirata a lucido, ad ogni costo, fino a far scomparire ogni traccia della lavorazione , che è la conseguenza del modo in cui ci si avvicina all'impasto della forma e alla texture desiderata.

Va recuperato tutto il mestiere, altrimenti rischia di isterilirsi: il praticantato nelle botteghe e nelle scuole è importante, perché vi è una osservazione diretta su tutte le fasi delle lavorazioni; occorre rispettare tutti i passaggi del modellare, le scorciatoie sono dannose, come impuntare eccessivamente il ferro, tagliare e trapanare in profondità. Il lavoro deve poter emergere gradualmente dalla materia, quasi liberandosene, sfruttando la scala dei piani e, mano a mano che si rendono più visibili le parti più sporgenti, parimenti, dar corpo da un lato e dall'altro, all'immagine già realizzata, completandola. La scalpellata deve essere lunga ed a correre, altrimenti le pestature e le scalette comprometteranno alcune parti dell'opera. E' impensabile spianarle con le macchine abrasive per porre rimedio ad un marmo irrimediabilmente squamato. Se senti che il ferro non morde adeguatamente, devi essere meno teso e meno rigido nel colpire, cercando una percussione tranquilla e meno nervosa, rilassata. Istintivamente, quando incontriamo una qualsiasi resistenza, si è portati a colpire con più veemenza, a forzare la mano; al contrario con la materia nobile occorre recuperare affettuosità e sintonia, lasciando alla intelligenza della mano di condurre il ferro ad un intaglio sentito, di ridurre la pressione - rallentare, se non fermarsi, per riprendere più dolcemente - affinché si morda lo spessore del marmo con quella gradualità possibile e consentita, portando percussioni a comporre una trama strutturata e unitaria. È questa la grande sensibilità richiesta, non facile stato d'animo ma consapevolezza della materia lavorata. Togliere spessore in maniera omogenea, significa impugnare adeguatamente i ferri, secondo l'angolatura richiesta, ora ferma, ora rilassata, per meglio mangiare, nella piacevolezza, l'impasto del marmo, assecondando il movimento della mano al ritmar dei colpi e calibrandone l'impatto. Niente impuntature ne scintille a correre. L'impugnatura del mazzuolo, così come il suo peso, la potenza e velocità dei colpi, non dovrà essere a casaccio, ma calibrata alla levità e profondità della traccia. Insomma, con garbo finché non senti la materia con te fisicamente, dandosi a quello scagliare voluto e consenziente. Lavoriamo pochissimo con la subbia per sgrossare, pensandola solo come momento di forte impatto, ma che invece ci dovrebbe aiutare ad essere vicinissima ed utilissima per ottenere quel modellato e quel geometrismo grezzo delle figure che, avvicina la somiglianza; e di subbie ne abbiamo di ogni misura, fino alle piccole utili per penetrare nei sottosquadra. Anche l'uso delle raspe e degli smerigli non può essere né anticipato né abusato eccessivamente nella rifinitura: ne l'un caso si pasticcia solamente; nell'altro si toglie incisività al segno ed i contorni perdono forza, mentre i chiaro scuri scemano nell'inespressività, afflosciandosi. Volendo attutire le asperità della pelle del marmo, negli incavi, è consigliabile strofinarlo con sabbia di mare, che non è purgarlo, perché, il termine, nel linguaggio carrarese ha il significato più di una operazione fatta anticipatamente e in profondità.





AFFETTIVITA' DELLA MATERIA

La luce bagna con dolcezza i volumi; dà risalto ai rilievi che si staccano rispetto allo sfondo o piano di base. La luce radente che spesso ignoriamo - oltre ad evidenziare difetti ed inopportune asperità, spesso nell'intaglio ostenta bruttissimi ematomi (squame) – consente di intervenire, adeguatamente, nei vari passaggi: dalla gradina allo scalpello, fino al raschietto. Anche la raspa può aggiungere dolcezza e morbidezza, donando carnosità al marmo. È l'abuso della raspatura o il suo uso improprio che rende le figure inespressive (afflosciate), togliendo incisività al segno. Al contrario, una rifinitura, una pulitura, con l'uso adeguato dei ferri soggetti ad una percussione misurata e sentita, oppure a schiacciare il ferro, con la sola pressione della mano, alla stessa maniera degli scultori in legno, mimando lo stesso movimento usato nella raschiatura e raspatura, che intagliano il modellato mentre corrono lungo il verso, donandogli il senso ispirato. Sono gli ultimi tratteggi che decidono il senso plastico, la linearità, gli scuri, che possono render palpitante o scabrosa la materia.

Se non è semplice l'uso del raschietto, più accorto dovrà essere l'uso della raspa: segnare trame di graffi sovrapposti, limando i tratteggi nel verso della trama e accompagnando il taglio del ferro fin nelle scabrosità più inaccessibili e difficoltose a spianare; ciò per esaltare quell'armonia che coordina le diverse parti, così come lo sono i suoni ed il ritmo nella musica, a seconda delle tonalità, rispetto al livello cromatico e della sua intensità ( chiara, scura, più marcata nei trapassi di ombre). Nella composizione il complesso dei legami armonici può, nelle rifiniture, legarsi al di là di esse, a diversi ordini di levigatura e lucidatura a specchio. A seconda dell'esaltazione di luci ed ombre, esiste un'amplissima gamma di interventi: dallo strofinare la sabbia di mare, con stracci e utensili adattati, fino sfregamento di diversi abrasivi.

Certo il magico tocco del ferro è altra cosa, in omaggio agli amanti della scultura, penso ai passaggi del trapano (violino), e alla magia di ricavarne quei chiari e scuri, quelle movenze nei capelli, in tutti i tagli, deliziose nei boccoli; non è minore l'esaltazione degli strafori nel floreale e in tantissimi altri ornamenti.

Non dimentichiamo la grande quantità e disponibilità degli strumenti, divisi in due grandi gruppi: a percussione o ripercussivi ed abrasivi. Se escludiamo vari tipi di martelli dalla mazza alla serie di martelline e bocciarde, abbiamo la disponibilità di una grande varietà di ferri, dalla subbia, gradina, che solcano la superficie, fino agli scalpelli dal bordo piatto ed affilato, di grande pulimento, capaci di lisciare le superfici. Il solcare ed il pulire dipendono dall'angolo, più o meno obliquo, del ferro che la mano tiene con movenze ritmiche sulla pietra; sia dalla forza e battuta effettuata dal mazzuolo, che può essere di vari tipi, ferro, legno, acciaio; sia dalla capacità di entrare in sintonia con il marmo e scagliare con la consentita gradualità, dovuta all'innato mestiere che guida la mano. Anche l'impugnatura del mazzuolo ha la sua originalità, grandezza e foggia, secondo i diversi tipi di lavorazione: la battuta può essere più o meno forte, impugnando il manico del mazzuolo all'estremità, vicino alla sua metà ed oltre, ma anche afferrando lo stesso massello di ferro; oppure con una presa appena sotto a questi che lambisce anche il legno. Così lo scalpellare ha la penetrazione voluta, fino al lisciare; “secondo la gentilezza, con dolcezza della mano, che arrotonda le pieghe ed i muscoli, tratteggiando la figura con grazia mirabile”. [ Se la lingua fatta di parole è il più potente mezzo di comunicazione, e nel linguaggio verbale, con il meccanismo dei suoni e delle parole, si possono formulare milioni di frasi, altrettanto lo può il segno incisore dei ferri, sia vecchio ( traccia, vestigia ); sia attuale, adatto a comunicare, nell'immediato, un pensiero, uno stato d'animo, il ricordo del passato o il presente di un nostro modo essere; e l'anticipazione del futuro. In sintesi, il segno dei ferri e gli elementi strutturali del modellato non sono altro che una funzione degli infiniti mezzi espressivi a disposizione dell'artista].

IL Canova è stato un esempio di armonia, di purezza e fedeltà al linguaggio della scultura, curando quella affettuosità delle superfici, l'insieme degli affascinanti riflessi e le varie profondità di ogni scuro. A contrasto, l'odierna uniformità della cultura commerciale, produce un'offesa alla nobile materia, con inanimate figure e per l'appiattimento dovuto allo spianare eccessivamente i lavori, che restano brutti ed anonimi perché privi di incisività segnica. Perciò anche la pulitura e lucidatura devono poter rientrare nell'armonia della composizione, comprendendo un uso adeguato degli agenti chimici e dei prodotti naturali.

- Lucidatura -

Alcuni in uso alla lucidatura: pomice umettata – pomice naturale e zolfo in polvere-; - anche acido ossialico – tintura in acqua di tabacco – bucce di cipolla e zucchero – infuso di caffè – alcool ed erbe grasse....

- Fordismo -

Qualche altro dubbio lo porta il processo di parcellizzazione del lavoro che vede impegnate diverse figure professionali, soprattutto se sono poco coordinate e di incerto mestiere. Il Repetti paragona l'esecuzione di una qualche statua al lavoro degli orologiai di Ginevra, nelle cui fabbriche usasi spartire i dettagli tra diversi operai, dove riescono in questi esperti ed esatti, cosicché ciascuno si applica ad un diverso meccanismo, con gran risparmio di tempo, di fatica, e di spesa, e alla fine conclude: “ ma l'artista solo è quello che le da' l'esistenza”.

Del processo di parcellizzazione viene criticata, soprattutto, la trasposizione meccanica dei punti, perché genera uno scadimento dal sapor di copia. Molte volte anche le vicende storiche giocano a contraddirsi: nella seconda metà dell'ottocento, dal Bonanni a Carrara, inizia la meccanizzazione ( torni e pialle), mentre nella stessa città, dal Nicoli, inizia il ritorno al taglio diretto e la ricomposizione del processo del lavoro e la riappropriazione, nelle mani di una sola persona, delle tecniche e dei trucchi del mestiere; ritorno come frutto di una intensa collaborazione tra gli artisti che frequentano lo studio, e la maestria degli scultori presenti. Sennonché nulla è esaustivo, poiché la bramosia di danaro è portatrice di molti scadimenti, non tutti giustificati, sia negli eccessi della divisione del lavoro, sia riscontrabili nell'imbellettare ogni parvenza delle figure, per poter guadagnare concorrenza e profitto, che è del tutto improprio rispetto al valore aggiunto.

Una certezza esiste, è che né la sbozzatura né la smodellatura possono compromettere, in maniera definitiva la scultura, salvo errori grossolani. È l'ora dell'artista modellatore che, nell'ultima fase della lavorazione, si dispone a recuperare tutta la forza della materia e dare un senso originale all'opera. Esso interviene, con gli eventuali collaboratori, per portare a compimento l'idea originale, quando vi è ancora quel margine e quello spessore (strato) di roba che può ancora tradurre, fedelmente, l'ispirazione. Tutto è recuperabile, se si evita l'automatismo e il troppo presto; nei fatti, se la separazione tra arte e mestiere ha lasciato l'esecuzione a diverse figure professionali nella lavorazione della pietra, non delude l'esclusivo l'affidamento alla specialissima bravura dei nostri numerosi artigiani. Bensì è ora di chiudere con la piattezza della lavorazione commerciale e ritornare al ciclo virtuoso scuola, bottega, apprendistato, qualifica di merito. Tant'è che i migliori tra gli anonimi banauso, esecutori in marmo, quale prodotto della grazia di una civiltà artigiana, sono portati allo studio e alla contemplazione degli stilemi e della personalità del modellatore: sono figure uniche di lavoranti, sempre più rare, adatte a comprendere il senso connotativo essenziale, a produrre una mimesi che entra nello spirito dell'opera, tramite una lavorazione, anch'essa consonante. Questa riflessione può stupire, ma non quando ci troviamo di fronte ad un lavoro di rifinitura, giunta oramai alla restante fitta punteggiatura delle gambe, come quello che ha fatto L. Bistolfi, durante l'esecuzione de l' Armonia e riprodotta in una foto dell'epoca. Dobbiamo solo aggiungere che la statua è, nell'immagine, la copia perfetta del modello; un modello studiato e rifinito perfettamente fin nei minimi particolari, che sarà ben realizzato e la superficie portata al massimo grado di finimento. Un'ultima considerazione su Bistolfi: quella restante fitta punteggiatura è già di per sé un gradevole capolavoro segnico, e già si intuiscono i susseguenti “ passaggi di come ci si avvicina alla forma, con quali attrezzi e con quali effetti, senza far scomparire qualunque traccia della lavorazione”. E la dice lunga, nella predisposta tornitura delle gambe, non solo sull'abilità tecnica di un grande artista/esecutore, ma di più sul rapporto di osmosi che ha con la materia e del suo sentito impasto. [ Osservazione già fatta, e sulla quale ritorneremo ]. È pertanto, esclusa ogni interpretazione meccanica del virtuosismo dello scultore Torinese, con gli utensili ben in mostra nella foto (Ottocento a Carrara). È la conferma e la dimostrazione di come i ferri possono essere usati nel migliore dei modi, e, per farlo, occorre uscire dal loro uso malverso e stentato, se è tal quale a tarli biascicanti. Lo scadimento si attua quando si prendono esecrabili scorciatoie. La ragione del malinteso è evidente: di solito, le figure sono levigate o lucidate ( alcune anche a specchio). È inevitabile che si arrivi a spianare ogni traccia dei ferri, se il fine è quello di ottenere un risultato definitivo di artificioso massimo pulimento, purché comporti un ampio risparmio di tempo e di danaro. Quindi, massima licenza al libero impiego di bocciarde, levigatrici e smerigliatrici e molto spazio alla moltitudine di mole abrasive, frese e fresette di ogni tipo e misura. Via avanti di questo passo, tecnica e scienze moderne permettendo. Nessuno può negare il progresso tecnologico, o l'insieme delle conoscenze razionalmente organizzate, purché si abbia ben chiaro ciò che si vuol realizzare, soprattutto con una materia nobile, e come rappresentarlo, in maniera chiara, condivisa e percepibile all'umanità presente. Ciò comprensivo della sua funzione o utilità nel tempo, se diamo ancora un valore all'importanza del lavoro e alla laboriosità dell'uomo, di oggi, di ieri, di sempre. Un'idea, una invenzione, non può essere lasciata alla libera interpretazione, considerata polivalente e onnicomprensiva. L'artista non è né onnipotente né onnisciente; e, forse, non è ancora risalito “all'idea unica?”.

L'idealizzazione è quell'ispirazione che spinge l'individuo a dar vita ad un'opera; in molte culture la si trova vicina al respiro di Dio e causata dal genio. Lo lascia intendere l'idealizzazione greca: “l'uomo è misura di tutte le cose, e seppur transitorio, la sua idea è eterna, immutabile, perfetta; mentre la realtà è apparenza transitoria e solo una copia dell'idea”. Qual'è la percezione che ne abbiamo nell'attualità? La percezione delle cose non è mai un atto univoco, meno che mai oggi, data la complessità dei tempi e dei messaggi, polivalenti e mutevoli. Mentre le tecniche di comunicazione possono diventare angosciose e chiuse, anche di fronte ad ogni esperienza piacevole rappresentata dalla poesia del bello, e coltivare un sentimento di avversione verso tutto e tutti. Le comunità non sono stimolate a nutrire una crescita vera, collettiva, ma solo promozioni individuali; comunque feticci autoreferenziali: dove tutto è giustificato e giustificabile; dall'uso di materie spregevoli ai marchingegni provocatori da sballo. Tale malverso è il risultato della cultura del politicamente corretto e degli amici solidali tra loro, mima solo gli effetti più deleteri del “fordismo” strettamente industriale e commerciale, che altro non è che l'impoverimento della materia, sottratta al suo naturale impiego usando mezzi meccanici eccessivi: nell'affettare, spianare, lucidare, togliendo, infine, quell'affettuosità del bianco marmo e quel valore aggiunto che è un'altra cosa; proprio per i doni che porta in grembo: il verbo dei rilievi, la creatività della luce, la timidezza od il rancore delle ombre, laddove la materia è carne viva e panno frusciante. Qui, non è rilevante il passaggio dalla civiltà fondata sulla scrittura a quella dell'immagine, al contrario è la continuità del segno e dei linguaggi, archetipi condivisi. Certo quando si scolpisce una figura non tutto è programmabile al cento per cento, vi possono essere margini di errori per difetti nella materia o inconvenienti. L'uomo non è un automa, la lavorazione non è paragonabile alla filiera degli orologiai di Ginevra, dove ognuno si applica diversamente ad uno stesso meccanismo. Diversamente, si è detto che ogni artigiano o lavorante acquisisce un proprio modo di plasmare la materia, i segni si possono comporre o ricomporre, come si fa con la lingua parlata, articolando le tracce dei ferri. Non è la stessa cosa nel combinare tra loro le parole per formare le frasi, o intrecciare, nell'intaglio, tracce di trame; ma il senso anche qui è compiuto, l'espressione strutturata, ben oltre il legame ai modelli e alle cose. Non è necessaria una dettagliata teoria dell'arte, per certificare che il segno è l'espressione più immediata per comunicare un pensiero o uno stato d'animo; può essere un messaggio semplice o complesso, suono, parola, incisioni multiple sulla pietra, disegno. La sua naturalità visiva, immediata, può raccontare di grandezze e di povertà, essere lontano o vicino all'osservatore, nel tempo reale come nella profondità prospettica; essere una voce narrante esterna ma dentro le vicissitudini, o percepire lo spazio, anzi viverlo negli illimitati modi occupazionali dei suoi pieni e vuoti. Ed altro ancora, accogliendo le variabili dello svolgersi dei fenomeni fisici. Il rapporto è con la sostanza culturale di ogni essere umano, alle esperienze che ogni gruppo vive nel territorio, alle cose che vede intorno a sé, a come le vede e le descrive e le esprime usando codici comuni.

La tradizione, il tramandare i sensi di una evoluzione, attuata attraverso vari processi di trasformazione, sono sempre più uguali, nella mimesi, alle diverse immagini della natura, al suo essere modello formale nella realtà data, con processi simili alla struttura delle griglie di trasformazione civile e sociale, anch'esse presenti in forme modulari organizzate, regolari/irregolari. Tutto questo non può essere banalmente superato. Noi non siamo altro, siamo quel che siamo. Penso a Carrara permeata dall'esperienza delle cave, sfidate da intere generazioni, dove, dentro l'anfiteatro maestoso delle Alpi, hanno inscenato uno spettacolo unico al mondo: piccoli uomini, con la tenacia del loro vissuto, hanno affrontato le immani masse marmoree implementando le particolarità di essere del territorio e la sua organizzazione sociale. Ognuno si è abituato a vedere e subire una tradizione preponderante, contaminata da un originale modo di essere del paesaggio ed il suo sbocco alla marina. Tradizioni, dialetti, l'esperienza di tutti i gruppi umani e la loro particolare cultura – intaccata da lavori pesanti e debilitanti – hanno reso un popolo unico ed orgoglioso nel rispetto delle proprie radici. Oggi dové tutto questo? Cosa è rimasto di un patrimonio dedito alla laboriosità e al sentirsi parte identitaria di una particolare comunità? poco o nulla! Al centro pur sempre il lavoro, simbolo e dignità dell'evoluzione.

Ma ritornando al tema della scultura, possiamo affermare che la sua resa ed abilità può essere maggiore o minore nei vari momenti delle prestazioni: è ovvio che il lavoro meccanico, del riporto delle misure a punto, possa ingenerare uno scadimento, dovuto a movimenti ripetitivi sempre uguali, per questa via il mestiere rischia di isterilirsi, sennonché scolpire è un mestiere. È prassi, per molti modellatori cambiare la lavorazione in corso prestandosi, o portandosi, al servizio di un'altra opera, sia per non soffrire della “cotta”, restando troppo stanziali; sia per sveltire il lavoro. Se, confidare nel mestiere e nell'importanza della tradizione ci consente di motivare meglio una riflessione, nel contempo potenziare l'apporto scolastico e la ripresa e sviluppo degli Istituti Professionali è una realtà ineludibile, che va incentivata, poiché trascina con sé esperienza e avita professionalità. Nei fatti, si pone il problema, oggi rilevante, di un'unica direzione che coordini la scomposizione del lavoro in molteplici e indefinite figure professionali; perciò l'apporto scolastico è fondamentale, se vogliamo gestire e soddisfare quelle eccellenze artistiche, che ci consentono di superare la trita commercialità.

Ritorniamo alla criticità del mestiere, al suo essere meccanico, per riconsiderare anche le minori e diverse prestazioni dell'uomo nel tempo, che possono incidere, eventualmente, nella sua resa, la quale può essere maggiore o minore a seconda degli stati d'animo e degli eventi. Ma questi alti e bassi nulla possono di fronte alla genialità delle mani ed alla padronanza del mestiere, alla fantasia e inventiva, allorquando la professionalità è altissima. Non è esclusa l'improvvisazione; e neppure la sostituzione dell'idea originale con un'altra, in corso d'opera: Arturo Dazzi disegnando sul marmo stesso la figura, si lasciava ispirare dai movimenti del volume, dai rilievi, dai giochi stessi delle asperità e sinuosità offertegli dal blocco. Detto questo, almeno ad un livello dignitoso della professionalità, sconfessiamo chi considera lo scolpire arte meccanica, che genera solo fatica e sudore.





L'Anima.

Nulla può essere lasciato al caso: la scultura deve poter aver un'anima che è la spiritualità dello scultore, il senso e l'espressività della sua personalità: non altro. Lo scolpire è questione personale, anzi personalissima, un cimentarsi a tu per tu con la materia, un patto a compenetrarsi. Perciò nulla è lasciato al caso: non lo è la plasticità, in omaggio alla quale alcune parti si debbono considerare in rilievo rispetto ad altre più scavate; perciò va' stimato quale armonia riservare a ciò che deve essere lasciato in piena luce, dandogli più o meno forza e ombra; e quali altri risalti dare agli effetti di superficie, con una linea più morbida e delicata, oppure rimarcarne le tracce e tormentando le stesse linee con profondi scuri, spezzandole. Questi ed altri effetti, dalla ruvidezza alle tracce ordinate di ogni scalpello, fino alla pulitura, sono contrasti e parti di un linguaggio ricercato e semplice nello stesso tempo, e, nell'insieme, esteticamente piacevole. Particolari rifiniture delle forme, effetti di chiaro scuro e particolari ombreggiature, si ottengono con una impugnatura del ferro morbida e con un angolo perpendicolare (vicino 90° ); oppure, impugnatura rigida con lo scalpello sfuggente, più a lisciare. Tra gli utensili, l'ugnetto per particolari sottosquadra e intagli fini, virtuosamente anche in parti delicatissime ed in superficie, molto più spesso in profondità, a scavare.

Ritornando alla diatriba iniziale tra l'ideatore (artista) e l'esecutore (scultore), entrambi sono obbligati ad incontrarsi a un preciso crocevia: il requisito fondamentale di un opera è che deve corrispondere all'idea per la quale è stata concepita, o a qualsivoglia soggetto, somiglianza o rappresentanza per la qual cosa essa è stata pensata e originata. Due secoli fa' quando l'arte a Carrara seduceva con l'armonia della creazione e della bellezza naturale, l'imitazione attingeva ad una fonte di perfezione e l'ispirazione riusciva a far vibrare i nostri sensi. Mentre la commozione ed il piacere non era semplice svenevolezza e supino consenso.

Ai nostri maestri “ non era bastevole copiare ed essere considerati copisti di un'arte meccanica: essi dovevano impadronirsi dell'arte del comporre con maestria, come i più grandi poeti e musicisti, altrimenti nulla si saprebbe dell'estro proprio, della poesia e dell'armonia, così come in molteplici altre espressioni seducenti” . Artisti ed artigiani dovranno rientrare in possesso di questa grande passione. “ E con i nostri più bravi maestri istruirsi nel solco di una grande stagione, far leva sul genio dei Carraresi, per uscire dalla banalità delle imitazioni attuali e scoprirsi originali inventori”.

Fondamentale: la casualità non potrà mai essere una facile scappatoia, affinché il tutto si possa giustificare banalmente, sia con l'incidente occasionale, sia omaggiando lo strafalcione miracoloso. Gli è che il segno, in libera uscita, può essere qualsiasi cosa o qualsiasi processo di identificazione; sfacciatamente null'altro che marketing per vendere al meglio nel variegato mondo del “politicamente corretto” e corrotto. L'artista gode di un ottima pubblicità e consenso? Bene. Ne ha tutto il diritto se ha anche un buon conto in banca oltre che amicizie potenti. E l'arte, beh! l'arte è un altra cosa.

Resta una sola considerazione: i sentimenti genuini restano tali nella loro immediata e libera espressione, cagione nostra dello scambievole godimento e assorbimento, che non è mutabile in una qualsiasi valuta.





UN PUNTO DI VISTA DIVERSO

Quante sculture sono concepite con un unico punto di vista, frontale o laterale? Il buon senso ci induce a pensare che ciò dipenda dalla loro funzione o significato; dallo spazio che si è voluto occupare o corredare. Perciò è ingiusto negare la validità di un solo punto di vista, che lascia le altre parti in ombra; altresì la possibilità di esprimere il dinamismo come un prolungamento di continuità nello spazio, attraverso una sequenza stilistica. Si pensi anche alla funzione ancillare rispetto alla architettura e al suo uso modulare, ritmico, o di supporto (cariatidi). Il problema di uno scultore è quello del rapporto con l'ambiente, di organizzare una collocazione e farla vivere ed essere protagonista in quel determinato spazio. Spesso gran parte della figura sono nascoste alla vista: la parte posteriore, se collocate in una nicchia, non è neppur rifinita; la stessa cosa avviene per la loro collocazione nelle facciate delle chiese e dei palazzi, ma anche negli stessi ambienti interni. Perciò lo studio del posizionamento dell'opera non può che seguire un preciso significato, anche coreografico, se desideriamo progettare altri punti di vista. Non dimentichiamoci della luce, sempre determinante nella scultura, il cui protagonismo e la gamma di gradazioni meritano uno studio attento e non superficiale, essendo il principale artefice con il precipuo compito di modellare, definitivamente, la struttura delle superfici, scivolando o incuneandosi dentro esse. Va da sé che ogni scelta soggettiva è la più efficace, ma non quando si vuole stupire in ogni modo e in mille modi insignificanti, spacciandoli per le nuove frontiere espressive. La questione, sempre, attiene alla progettazione, stile e funzioni attribuite all'opera. E forse anche la committenza avrà, con diritto, dato indicazioni.

Nel merito, osserviamo la bellezza classica del Davide di Michelangelo, anche qui la critica si sofferma sull'eroico simbolo esclusivamente attraverso una visione frontale: “la figura gigantesca è tesa, concentrata, compressa come un elastico che accumula tensione per poi liberarla in un solo gesto, nella statua ancora implicito”. Segue la descrizione su di un movimento imminente, in potenza, che sta per esplodere; ma tutta la descrizione si sofferma sulle parti anatomiche anteriori (frontali).

Il senso poetico è compiuto, anche se in ombra il posteriore, ben fatto, completa il capolavoro senza la benché minima stonatura. Infatti, il Davide è il simbolo della repubblica fiorentina. Ciò conferma le osservazioni sulle funzioni soggettive della figura e sui diversi modi di organizzare lo spazio e, conseguentemente, sulla scelta del punto di vista: quando si trattò di trovargli una collocazione, Leonardo propose la nicchia all'interno della Loggia della Signoria; mentre Michelangelo e la commissione proposero il piano di appoggio del grande muro del palazzo nella stessa piazza.

La questione della scelta del punto di vista attiene più ai proponimenti progettuali e ideali e non può essere affatto occasionale; certamente può corrispondere, semplicemente, a una scelta estetica o modulare, eppure anche in questo caso esprime un senso compiuto.

Non è possibile dimenticate il tema del “non finito” di Michelangelo: la tecnica eccelsa che diventa essa stessa linguaggio e poesia, nei modi del plasmare, nei passaggi gustosissime tracciati dai differenti ferri. Così è, almeno per chi ama la scultura, quella vera. Sul problema del non finito, di Michelangelo, occorre operare una distinzione, nel contesto delle opere non portate a termine: tra quelle incompiute per cause accidentali da quelle effettivamente non finite, ma poeticamente concluse in maniera definitiva per volontà dell'artista. Per alcuni critici, “ l'improvviso arresto del lavoro è stato causato dalla soddisfazione di aver raggiunto il termine della propria visione, che in questa tecnica vedeva il completamento supremo della propria opera”. Ma quanto è bello il contrasto plastico tra le parti abbozzate e quelle finite!, se improntate da mani virtuose; e quanto movimento esprime una forma che levitando tenta di liberarsi dal blocco. C'è chi, invece, apprezza “ la maggiore espressione di pathos che balza da una sintesi estremamente rapida e ardita”. “Da parte sua l'ARU dava nuova validità alla tesi celliniana dell'unicità di visione per cui, Michelangelo si sarebbe, nella sua pratica di scolpire “per forza di levare”, fermato allorché, nel processo in cui la scultura prende forma a poco a poco, la sua eccellenza plastica sarebbe stata attenuata dalla creazione di altri punti di vista”.

In definitiva, nella pratica di scolpire, Michelangelo avrebbe privilegiato l'unicità del punto di vista frontale ( secondario il posteriore e tutti gli altri ).

Ma, questa visione è, grossomodo, in sintonia con la tecnica dell'arretramento del piano anteriore ( di partenza o inizio lavoro ), verso altri piani, rendendo mano a mano visibili le parti più sporgenti, che saranno rifinite, in contrasto con la materia che tiene prigioniera l'immagine. Perciò, gradualmente, gustiamo sequenze e parti opposte, in tempi diversi, così come si esprime un qualsiasi linguaggio, che si fa' sentimento e/o pensiero, e poi parola, gesto, umana socialità: poiché è sempre di noi che si parla.

Michelangelo, alla pari o ancor più dei grandi artisti carraresi, conosceva il verso del marmo che è il segreto con cui i cavatori, a colpi di mazza decisi e sicuri, sbozzavano l'opera. Entrambi possedevano la magica capacità di liberare dal blocco meravigliose sculture. Un illustre visitatore così dipinse il carattere dei carraresi: “ la loro indole è assai somigliante al bel marmo in mezzo al quale sono nati; la materia ne è preziosa e buona, renitente bensì ai colpi mal diretti, ma altrettanto suscettibile di prestarsi alle più lodevoli forme sotto la mano, che ne sa' prendere il verso” ( E. Repetti).





I CARATTERI CHIMICI DEL MARMO





I caratteri chimici dei marmi risultano composti dalla loro composizione mineralogica.....I calcari, detti puri, sono costituiti da carbonato di calcio a cui si associa sempre una quantità più o meno grande di carbonato di magnesio......Questi marmi sono tanto più facilmente attaccabili dagli acidi quanto minor quantità di magnesio contengono. Si sciolgono nell'acido cloridrico ordinario o diluito a caldo. Siccome non sono mai puri, lasciano sempre un residuo insolubile dovuto a varie sostanze: al carbonato di magnesia è meccanicamente mescolato una quantità variabile di sostanze argillose (caolino) che rimane insolubile. Una parte importante di detti marmi appartiene ai calcari marnosi”.

L'esempio che segue inerente alla lavorazione del marmo non è di quelli calzanti; ma in senso lato chiaro e pratico. “ Riportiamo qui come si fanno le mine, alla francese, nella lavorazione ordinaria, quando si vogliono staccare grandi blocchi. Descriviamo esclusivamente come si ricava la cavità da riempire con la polvere esplodente. Siamo interessati, esclusivamente, al solo processo di scioglimento del marmo, traendo partito dalla proprietà che hanno gli acidi (Muriatico) di scomporre il carbonato di calcio: nell'esempio delle mine menzionate, vien fatto un foro con il trapano e successivamente, dovendo allargarlo, vi si versa, con un tubo di gomma, l'acido , il quale attaccando il marmo fa' sviluppare l'acido carbonico e forma poi del cloruro di calcio solubile, che può essere prosciugato e tolto. Si viene a formare una tasca per la polvere esplodente”. Lo scultore non ha certo bisogno di far esplodere delle mine, ma di utilizzare un processo simile per scavare in profondità e rilevare stacchi delicati senza far danni.

Acido cloridrico.

Non sempre il ferro è sufficiente per l'intaglio, fosse anche ricurvo e ben forgiato, in tal guisa da poter penetrare dentro inaccessibili sotto squadri o trafori nelle profondità del marmo; e neppure il trapano o fresette smerigliate, anch'esse sagomate all'uopo, possono essere determinanti per delicatissimi stacchi. In questi casi si ricorre all'acido: con le dovute cautele si intinge un pennello, delle dimensioni adeguate, nell'acido e si passa ripetutamente sulle parti da eliminare; poi si lascia riposare e ponendo la massima attenzione sulla quantità di materia da asportare, si smette quando si è tolta quella grossezza che è ritenuta sufficiente. Indi, con l'acqua, si annaffia abbondantemente la parte coperta dall'acido, ben lavandola e badando che l'effetto della formazione del cloruro di calcio solubile sia concluso e che tutto è stato prosciugato.





EQUILIBRIO DEL CORPO UMANO





La Ponderatio.

Nell'arte Egizia, Assira e Greca primitiva tutte le figure posavano i piedi simmetricamente allineati. La linea di gravità cadeva in mezzo ad essi. E' merito di Policleto (V secolo A.C.) la posizione naturale di equilibrio, detta della gamba libera, la quale concludeva le ricerche delle sculture arcaiche (Koùros). Policleto, oltre al canone (il trattato sulle giuste proporzioni), eseguì il Doriforo detto appunto Kànon che è la dimostrazione visiva del suo trattato nell'illustrare bene i principi della ponderazione ( la precisa distribuzione del peso nella posizione verticale asimmetrica ). La figura non è più sostenuta dalle due gambe, ma poggia su una sola, la destra, detta portante o tesa, sulla quale grava tutto il peso. Mentre la sinistra detta flessa o libera, leggermente arretrata, bilancia il corpo, posando in terra, senza compiere sforzo, solo le dita del piede”.

Da questa posizione naturale di riposo, mantenendo l'equilibrio prevalentemente sopra un solo piede, la linea di gravità scende lungo l'arto destro; ne nasce una diversa articolazione delle parti superiori del corpo: il bacino è inclinato scendendo sulla gamba flessa, invece il torso, riequilibrando, volge in senso opposto seguendo la linea delle spalle, che è inclinata. Il braccio destro è libero, mentre è portante quello sinistro e il collo e la testa piegheranno verso destra. Sono una serie di relazioni, quelle inverse della gambe e delle braccia, che danno luogo ad una struttura armonica (determinata da un incrocio a X detto chiasmo). La gamba sinistra è a riposo come il braccio destro, mentre la gamba destra è portante come il braccio sinistro che tiene la lancia. E' un sapiente gioco di rapporti detto ponderazione perciò immutabile: il Doriforo rappresenta un modello di equilibrio che esprime l'ideale greco di coerenza razionale; insomma l'ideale di perfetta proporzionalità”.





STATICA





Quando una scultura è sbilanciata rispetto al suo centro di gravità, si dice che non pianta, poiché la sua posizione è errata e fa' l'effetto di cadere da una parte o dall'altra. Nel posizionare una statua, gli scalpellini sono particolarmente accorti nell'intaglio della base (piedistallo). Solitamente, nel metterla nella posizione eretta, utilizzano, per la perpendicolare, il filo a piombo e la livella: lo scopo è quello di segnare, nella base di appoggio, a mo' dei praticanti, la linea di un equilibrio stabile, partendo, in alto, dalla fossetta giugulare verso il basso, a traguardare (come se fosse un ipotetico piano sagittale). Detta fossetta, seguendo una esperienza tramandata, rappresenta il punto di corrispondenza nel quale va' posto il filo, la linea a piombo deve cadere, sempre, sul piano trapezoidale costituito nella base di appoggio dalla posizione dei piedi ( tale configurazione lineare del trapezio, è costituita dalla posizione dei due piedi, con i talloni ravvicinati e le piante leggermente divaricate). “ In ogni postura rileviamo: - che il centro di gravità o baricentro di un corpo è il punto sul quale si bilanciano, da tutti i lati, le parti del corpo stesso, ed è la zona più grande e pesante, il bacino; - che la linea di gravità è una perpendicolare tracciata da questo punto al suolo” . Consideriamo inoltre che nella stazione eretta simmetrica questa cade in mezzo ai due piedi. “Si utilizza il filo a piombo come linea di riferimento (linea a piombo)... perché rappresenta uno standard che si basa sulla legge naturale di gravità e ci permette di utilizzarla”. Ovviamente, vanno seguite alcune posizioni mediante le quali si compie il passaggio dalla stazione eretta simmetrica alla stazione eretta asimmetrica. In ogni posizione asimmetrica il divaricarsi delle gambe produce un inclinarsi del bacino e un conseguente spostamento del tronco per riportare la linea di gravità sulla base di sostegno.

La linea del filo a piombo per seguire tali spostamenti deve fissarsi su un punto preciso: crediamo sia quello della gamba portante o tesa, puntando direttamente il filo in corrispondenza del malleolo mediale della tibia.

Sappiamo dalla meccanica che il centro di gravità di un corpo è un punto sul quale si bilanciano esattamente da ogni lato le parti del corpo stesso; e che la linea di gravità è una perpendicolare tirata da questo punto al suolo: quindi si conviene che “il centro di gravità di un corpo è corretto quando la linea di gravità scende al suolo entro i limiti della sua base di sostegno”. Tale piano viene definito base di appoggio, e si ottiene unendo i punti di contatto del corpo con il suolo: la stabilità di un corpo sarà tanto migliore quanto più la base di appoggio sarà grande e il suo centro di gravità sarà basso. ( Spesso, gli artigiani utilizzano anche un piccolo accorgimento: secondo alcuni atteggiamenti, danno alla statua pochi millimetri di leggera pendenza in avanti, poiché la tradizione suggerisce che adottando una perfetta perpendicolarità, si ha la sensazione che la figura cada all'indietro). Nella “postura normale in veduta laterale, la linea di gravità passa attraverso il processo mastoideo, la metà della clavicola, l'acetabolo e le articolazioni metarso-falangee. Nelle posizioni atletiche o militari la linea di gravità si sposta dietro l'acetabolo”. Naturalmente, dobbiamo confrontarci con diversi atteggiamenti: ad ogni figura appartiene una propria postura e un diverso punto di vista, con il cambiare delle posizioni e collocazioni. Permane una regola immutabile: “nei vari spostamenti, simmetrico e/o asimmetrico, cambiare la posizione anche di una sola delle parti del corpo, significherebbe cambiare, contemporaneamente, tutte le altre, fino a raggiungere un nuovo equilibrio”.

L'equilibrio raggiunto da Policleto, detto ponderazione, è un equilibrio stabile, ottenuto con un gioco sapiente di rapporti. C'è dunque una serie di relazioni, la più evidente è quella, inversa, delle gambe e delle braccia”. “Se la gamba destra è portante, sostiene tutto il peso, il bacino è inclinato scendendo verso la gamba libera, di convesso il tronco per contenere tale spostamento, e per riportare la linea di gravità sul piede destro, si inclina lateralmente dal lato opposto, producendo una linea concava verso destra. Il centro di gravità è sempre in un punto all'interno dei piedi. Nell'esempio detto, è più aderente alla gamba tesa e coincidente con l'interno del piede di appoggio”.





LA POSTURA

Appunti dal Prof.. F. Perrotta.





Si definisce postura la posizione che il corpo, o una sua componente, assuma grazie alle proprietà passive dei legamenti e dei vincoli articolari ed alle proprietà attive dei muscoli tonici, in armonia con la forza di gravità (Caradonna).

Con postura si intende qualsiasi atteggiamento, definito dai rapporti che si stabiliscono tra i vari segmenti corporei, che possiamo assumere nello spazio (Boccardi).

La postura può essere considerata l'insieme dei rapporti esistenti tra l'intero organismo, le varie parti del corpo e l'ambiente che lo circonda (Tribastone).

La postura è l'espressione somatica di emozioni impulsi e regressioni...riflessione inconscia nell'atteggiamento esteriore della propria condizione interiore, la propria personalità (Cailliet).

E' bene chiarire che non esiste una postura ma un numero infinito di posture: esse corrispondono a qualsiasi posizione in equilibrio. Quando parliamo di postura ci riferiamo ad un'idea, rappresentante quella condizione strutturale e funzionale del corpo umano che permette l'acquisizione di ogni posizione normale per l'espletamento delle funzioni motorie, statiche o dinamiche, con il massimo di equilibrio (stabilità), la massima economia (minimo consumo energetico), il massimo di comfort (minimo stress sulle strutture anatomiche). In pratica la postura è il modo di stare in equilibrio del corpo umano sia esso fermo che in movimento, e tale equilibrio è il risultato dell'adattamento delle varie strutture del corpo: S.N.C. (sistema nervoso centrale), colonna, arti e loro interconnessioni con il mondo esterno”.

Ci rendiamo conto che lo studio e la documentazione del presente elaborato preso dai vari AUTORI può sembrare superfluo: gli è che ampliando le conoscenze si padroneggiano maggiori possibilità di espressione e rappresentazione. Migliorare il proprio bagaglio segnico può essere positivo, per molti, aiutandoli ad aprirsi a nuove possibilità poetiche; oltreché evitare rappresentazioni del corpo inanimate (prive di sentimenti), squilibrate ed ingessate tal quali le mummie o pencolanti manichini, che nella loro specifica caratteristica ben rappresentano il loro essere (N.D.R.). “Consideriamo esemplare che ogni corpo o forma occupa uno spazio e in qualche modo ne è occupata. E contemporaneamente non si può considerare la luce un elemento di casualità, casomai quale evento sopranaturale che ha “ il potere di svelare il mondo naturale e di dare una definizione alle cose: la luce, materia tenue che scivola sulle superfici, indaga, rivela, da risalto agli oggetti e descrive la realtà. Oggetto di studi fin dal Rinascimento, essa misura lo spazio e il tempo, modella e forgia gli oggetti, suggerisce la tridimensionalità e la profondità spaziale”.

La postura eretta è caratteristica dell'uomo. Essa dipende dall'attività integrata di tutta una serie di meccanismi riflessi e coordinati che la determinano, la mantengono, la ristabiliscono (Houssay).

La stazione eretta è un riflesso (risposta) posturale ampio e composito nella cui attivazione è di importanza fondamentale la contrazione dei muscoli ANTIGRAVITARI che si contrappongono all'azione di gravità che altrimenti causerebbe la flessione delle articolazioni e la caduta del corpo (Sherrington,1940).





BIOMECCANICA: IL CENTRO DI GRAVITA'

(di Cristina Urbisaglia)





.La forza di gravità è il risultato dell'azione terrestre sui segmenti (parti) corporei. Possiamo considerare un corpo solido come un insieme di particelle pesanti, legate rigidamente le une alle altre. Poiché l'attrazione terrestre si esercita su tutte le particelle, il corpo si può ricondurre ad un insieme di forze parallele che agiscono simultaneamente, le quali possono esser sostituite dalla loro risultante, che è la forza capace di effettuare da sola il lavoro dell'intero sistema di forze ed il cui punto d'applicazione è detto centro di gravità (punto G) o baricentro. Praticamente tutto accade come se l'intera massa del corpo fosse concentrata in quel punto G che, soggetto alla gravità terrestre, diviene il punto di applicazione della forza del peso del corpo.

Nella posizione eretta, il baricentro cade a livello della 3^ vertebra sacrale. L'asse del corpo è ortogonale a quello trasversale, che collega le articolazioni dell'anca, e la loro intersezione avviene a livello della 3^ vertebra sacrale. L'asse del corpo interseca , inoltre, l'asse trasversale delle articolazioni del ginocchio e quello tibio-astragalica. Riferendoci alla statica umana, il corpo, nella postura verticale, ha la necessità fisica di far cadere il baricentro del peso corporeo su un piano trapezoidale, costituito dalla posizione dei due piedi con i talloni ravvicinati e le piante leggermente divaricate. Tale piano viene definito base di appoggio, e si ottiene unendo i punti di contatto del corpo con il suolo: la stabilità del corpo sarà tanto migliore quanto più la base di appoggio sarà grande ed il suo centro di gravità sarà basso ( ...” tanto minore quanto questi lo sarà rispetto all'altezza del soggetto. Quindi il baricentro può variar da persona a persona, in base alla distribuzione del peso, all'altezza, all'età e sesso. Inoltre esistono automatismi posturali che consentono alla linea di gravità di cadere sempre all'interno della base di appoggio”.. N.D.R.).

Perciò, nella posizione eretta, con i piedi uniti, le parti del corpo, sovrapposte le une alle altre, risultano in equilibrio poco stabile, poiché il baricentro cade all'interno di una base di appoggio ristretta compresa tra le proiezioni delle teste dei femori sul suolo. Il corpo, quindi, tenderebbe a cadere in avanti se il tono muscolare non lo tenesse continuamente fermo nella posizione eretta: divaricando le gambe la base di appoggio diventa più ampia e l'equilibrio più stabile.

Alla perfetta posizione del baricentro del corpo collaborano le curve fisiologiche della colonna vertebrale...” . “ Esaminando la stazione eretta, vista posteriormente, il punto fisso di riferimento si trova a metà tra i talloni e rappresenta il punto del piano medio-sagittale del corpo in allineamento ideale che si ha, secondo Kendal, quando la linea a piombo si estende iniziando a metà distanza tra i due talloni, verso l'alto a metà strada tra gli arti inferiori ed attraverso la linea mediana del bacino, della colonna, dello sterno e del cranio”.





CONTINUA POSTURA (Perrotta)




Il baricentro è il centro esatto della massa di un soggetto, ossia il suo centro geometrico, quando tale soggetto possieda una massa simmetricamente distribuita e sia omogeneo. Se la massa come nel corpo umano, è distribuita in maniera asimmetrica rispetto al piano orizzontale (trasversale), il baricentro sarà collocato proporzionalmente più vicino alla zona più pesante”. E, nella simmetria, il centro può considerarsi il bacino, così come è comparabile nell'esposizione dell'uomo Vitruviano?, dal quale Leonardo accettò la regola del quadrato degli antichi, proponendo, in questo studio, anche il canone delle proporzioni del Rinascimento: “L'uomo con le braccia aperte può essere iscritto in un quadrato formato da due lati perpendicolari agli arti superiori e da altri due lati, dei quali uno passi a livello della pianta dei piedi e l'altro alla sommità del capo. Se le braccia sono alquanto sollevate oltre la posizione orizzontale e gli arti inferiori sono divaricati, la figura umana si può inscrivere in un circolo il cui centro corrisponde all'ombelico”. (Vedi disegno).

All'idea di eleganza e di animazione risponde il canone di Lisippo, che ci è stato tramandato da Vitruvio. Le regole sono le seguenti:

  • l'altezza della faccia si divide in tre parti uguali: una compresa fra il mento e la base del naso; una seconda tra la base e la radice del naso; ed una terza fra la radice del naso e l'impianto dei capelli
  • l'altezza della faccia, dalla base del mento alla linea dell'impianto dei capelli, è uguale alla decima parte del corpo ( purché sia un uomo di m. 1,80 e m. 2, n.d.r.)
  • l'altezza totale della testa è uguale all'ottava parte dell'altezza del corpo ( in un uomo di m. 1,80 n.d.r.)
  • l'insieme dell'altezza della testa e del collo corrisponde alla lunghezza del piede, e ad un sesto dell'altezza del corpo ( sempre m. 1,80 )
  • l'ombelico si trova al centro del corpo
  • l'altezza del corpo è uguale alla dimensione delle braccia aperte in croce.




Gli artisti del Rinascimento adottarono, in preferenza, i canone di Lisippo, tramandatoci nell'opera di Vitruvio.

I canoni sono molteplici, sia quelli moderni, sia quelli classici, preferiamo impiegare un modulo semplice, che utilizza l'altezza della faccia anziché quella della testa. Tralasciamo i trattati di composizione del corpo umano, esclusivamente a scelte di specializzazione individuale. Per chi desidera approfondire la materia, IL MORELLI, ANATOMIA DEGLI ARTISTI, è un testo scolastico esaustivo. Qui desideriamo segnalare un procedimento pratico, che utilizza la nostra mano aperta, con le dita unite, come modulo equivalente. Constatiamo che essa ha la stessa all'altezza della nostra faccia. Lo possiamo accertare, provando a coprire la faccia con la mano sovrapponendola ad essa, partendo dall'attacco del polso, sopra la base del mento, fino ad arrivare con le punte delle dita all'impianto dei capelli.

Il modulo della faccia, come già detto, si divide in tre parti uguali: mento e base del naso, da questa alla radice del naso, dalla stessa all'impianto dei capelli. Perciò è utile comporre altre divisioni simili per meglio proporzionare il viso: - una di queste corre dalla proda (radice) del naso, per tutta la lunghezza dell'occhio; - l'altra, dalla fine dell'occhio alla fine delle orecchie; - invece, dall'uno orecchio all'estremità opposta dell'altro, un viso di lunghezza. La gola una delle tre misure: sotto il mento, è la parte anteriore del collo, fino alla fossetta giugulare. A partire da questa, dal manubrio dello sterno, fino alla sommità dell'omero un viso, sia a destra che a sinistra. La lunghezza totale della mano corrisponde all'altezza della clavicola e della scapola; ma nella metà dell'omero è contenuta una volta e mezzo nella lunghezza dell'avambraccio: una mano dall'inserzione del deltoide (articolazione della spalla) al gomito; e da questi al nodo della mano una corrispondente altezza del viso e una delle tre misure.




La statura è uguale a sette volte e mezzo il modulo.

Con la mano aperta è possibile misurare il nostro corpo: dalla fossetta giugulare ai pettorali, dai pettorali all'ombelico, dall'ombelico al pube e da questi a metà della coscia; dalla metà della coscia al ginocchio e da questi a metà delle gambe, dalla metà delle gambe alla caviglia; dalla caviglia alla pianta del piede. Il piede è lungo quanto la faccia, più una delle tre misure. Se l'uomo, in posizione eretta, distende le braccia con le mani aperte arriva a metà delle cosce.

Nelle donne le misure sono leggermente inferiori: diversità sostanziali si rilevano nel tronco dell'uomo, più largo in alto. Mentre nella donna, per il maggior sviluppo del bacino, è più largo in basso.

Queste empiriche nozioni possono aiutare nel lavoro di scultura, molte altre sono degne di menzione, ne citerò solo una, relativa a presunte sproporzioni, rivelatesi, ad uno studio più attento, intelligenti accorgimenti. Sono quelle correzioni di proporzione dovute a particolari vedute di scorcio e a taluni effetti prospettici: sono principalmente punti di vista, frontali o laterali, talvolta seminascosti, che realizzano o collocano delle figura in certe altezze o distanze che possono mutarne le apparenze. In questi casi si evade da alcune lunghezze per compensarne l'effetto ottico. Un esempio di correzione, nei templi Dorici, che mi preme comparare, a mo di esempio e merita di essere studiato, è quello del rigonfiamento, nell'ordine Dorico, delle colonne (èntasi), utile a correggere l'effetto ottico di un suo assottigliarsi, negli spazi maggiori, insieme ad altre correzioni per contrastare le convergenze prospettiche.


CONSIDERIAMO LO SPAZIO IN CUI SONO POSTI I SOLIDI.





Lo spazio è una estensione di superficie non occupata, l'ambiente del mondo sensibile dove si muovono gli uomini e le cose: un immenso vuoto limitato/illimitato nel quale si muovono i corpi, libero e disponibile, che pertanto può essere occupato, nel movimento del suo perenne ampliamento. Perciò concepiamo lo spazio come volume che si sviluppa lungo le tre dimensioni: altezza, larghezza e profondità. Misurare lo spazio si può se misuriamo quello occupato da un corpo nelle tre dimensioni. Osservando un oggetto cominciamo ad avvertirne una dimensione, una grandezza, la paragoniamo e separiamo da altri corpi, e ne misuriamo, rispetto a questi, le dimensioni e la massa; a tal punto da sentirli in maniera anche tattile. Perciò un corpo occupa lo spazio, ma anche esso ne è occupato; fino a percepirsi reciprocamente : un oggetto finisce dove un altro comincia, si intersecano, si contaminano vicendevolmente, rendendo sensibile e plastico il loro prolungamento. Perciò potremmo, anche, affermare, che sono forme di movimento o dinamismo diversamente espresse.





IL MOVIMENTO come sostanza.

Tutto ciò che noi pensiamo e facciamo si traduce in attività emotiva e movimento, il quale è sempre l'espressione di una pulsione interiore. Dunque, il movimento è sostanza: è il primo effetto di un bisogno, di una esperienza subitanea o già vissuta; di emotività. E' tutto quanto i sensi trasmettono direttamente alla nostra mente, che si traduce nell'impulso di produrre un determinato sforzo fisico. Quindi, movimento fisico e psichico come manifestazione di una stessa realtà: ed è " il mezzo per trasferire un qualsiasi messaggio estetico alla coscienza di un individuo osservatore o spettatore". Il corpo oltre ad avere una propria musicalità interna è lo specchio del nostro pensiero e conseguentemente della nostra vita. Sono le necessità del nostro fisico ad imporre i ritmi al nostro organismo. Perciò gran parte dei movimenti del nostro corpo nascono da un pensiero cosciente, che può essere astratto o far parte di un codice condiviso e trasmettere un'idea, un pensiero. Ma, inopinatamente, può anche manifestarsi il contrario, non essere forma e rappresentare alcunché. E' impensabile un movimento totalmente privo di intenzione: i Greci chiamavano questa astrattezza metacinesi, gli armonici del movimento fisico (cinesi), in una correlazione tra fisico e psichico. Però, tutto questo sforzo, diciamo interiore e psicologico, che ci lega alla realtà e ad una moltitudine di attività umane, nella scultura e in particolare nelle opere classiche, sembra molto sopita, tal ché sembra poter assumere quella rigidità e inespressività tipica dei manichini. Ma non è così!

"Ancor prima del periodo Arcaico e dell'età classica, lo stile geometrico esprimeva i primi fondamenti dell'arte Greca. In questa epoca c'è una volontà costruttiva, la ricerca della perfezione nell'assolutezza geometrica. Detto stile, oggi rivalutato, è la riproduzione di forme esatte (perciò non transitorie), la ricerca dell'assoluto, la perfezione della forma e la proporzionalità: il rapporto reciproco tra le varie parti in funzione del tutto, invitando ad una infinità di soluzioni lo schema geometrico accentuato dalla ripetizione del modulo. Si definiscono così i principi dell'arte Greca: la ricerca dell'uno, del principio generatore, l'ordine (còsmos ), in contrapposizione al molteplice, al relativo, all'apparente. Se i pensatori ricercano le cause di tutte le cose, gli artisti cercano di rappresentare non ciò che è transitorio, mutevole, mobile, ma ciò che è perfetto e, come tale, immobile e immutabile. Cioè la causa di tutte le forme che vediamo, ossia L'IDEA. Così, dall'uomo eterno e perfezione di tutte le cose, nella Statuaria, ci si avvia verso altri periodi storici: si va' verso il mutamento dell'espressione e contro l'immobilità degli atteggiamenti e movimenti reali, si attuano gli intervalli tra i gruppi e lo spazio tra gli arti che, liberi, si immergono nel vuoto. Mentre ritmano e si esercitano, equilibrio, simmetria, mimica, ricordano, spesso, una diversa e più bilanciata articolazione del corpo ( similmente alla ponderazione). Non vengono trascurate neppure le regole e l'ideale di una perfetta proporzionalità, consone alle tecniche dell'intaglio, e la forza di astrazione stilistica del chiasmo (l'incrocio e inversa corrispondenza degli arti che esprimono varietà e coerenza razionale nel rapporto tra le varie parti).

Ricordiamoci sempre che la maggior parte dei movimenti è dovuto a necessità psico-emotive, e possono essere stimolati da un pensiero cosciente o istintivo, più o meno intenzionali. La figura, il nostro corpo, ha una sua particolare architettura, stabilita da forme geometriche umane e dalla sua proporzione ( o canone ), costruita in maniera da assumere atteggiamenti e posizioni sempre più evolute, a seconda delle civiltà o difficoltà riscontrate nell'ambiente; ma anche conseguenti alle necessità del comunicare rispetto all'avanzare delle specializzazioni umane. "Perciò nella rappresentazione scultorea, l'atteggiamento assume un valore essenziale fissato da assi ( andamenti verticali,obliqui, orizzontali), da parallelismi e da angolature: elementi necessari per l'intelaiatura della figura. Conseguentemente, il rapporto - tra testa, tronco ( articolazione dello atlante con l'occipitale fino al sacro vertebrale ), con l'anca e l'insieme degli arti - dovrà essere tracciato con assi, i cui rapporti varieranno secondo le proporzioni naturali del modello o canone corrente" . Cosicché ogni corpo mantiene un suo ritmo interno, ed i movimenti si compongono posizionando le braccia, le gambe, la testa, secondo l'espressione che desideriamo comunicare e il tipo di fisico proprio della figura rappresentata. Di più, secondo le interpretazioni dei volumi, degli spazi e del rapporto tra i piani, delle rientranze, degli scorci ecc... Ne consegue che il movimento si può esprimere nei più svariati modi: con le linee, il colorismo plastico del Bernini o i chiari e scuri; con sequenze di immagini , il contrasto di masse e vuoti, la composizione modulare, la profondità e le superfici texturizzate. La linea come il colore è un potente mezzo espressivo: un protagonista che, privando della sua consistenza la materia, sostituisce la massa, può creare lievi ondulazioni o dinamiche scarnificazioni, formare rigidi contorni o ferme campiture. Secondo le articolazioni e l'andamento la linea può rappresentare: la retta (rigidità e stabilità), curva (delicata, morbida, movimento), la spezzata (nervosa scattante dinamica), mista (cambiamento movimento tensione); mentre l'orizzontale (calma stabile e fredda), la verticale (slanciata dinamica, spiritualità e leggerezza), l'obliqua (instabile dinamica, va verso il cambiamento). A tal guisa si possono avere: un mordente profilo lineare, guizzante o nervoso; può concorrere al dissolvimento di forme plastiche e atmosfere luminose (incisiva texture); la statua si chiude in se, con raccoglimento, seguendo un modulo ovalizzante suggerisce sentimenti calmi e sereni; drammaticità e movimento espressi in potenza, oppure attraverso uno scatto repentino, conquista più spazio uno slancio violento fuori di equilibrio. Il movimento di solito suggerisce la drammaticità, ma vi possono essere movimenti scomposti che suggeriscono una calma compositiva. Possiamo avere notevoli astrazioni stilistiche o magnifiche trasfigurazioni, a seconda dei canoni interpretativi. Nelle diverse articolazioni tra le varie parti del corpo si possono ricercare le relazioni più opportune nello spazio e con altre figure o costruzioni. Importante è trasmettere un intenzionale (voluto) messaggio estetico.





LO SPREGIO DI MOLTA ARTE MODERNA E COMMERCIALE.

Certo oggi la produzione della scultura va di fretta ed a risparmio ( solo problemi di costi, di mercato e di cattivo gusto ). Perciò occorre uno sforzo immane per recuperare all'esperienza del banauso quell'impulso interiore, libero di esprimere la forma estetica data. Le difficoltà di molti artisti, in gran parte tecniche, di scolpire direttamente una qualsiasi statua o soggetto decorativo, sia astratto, sia di altro genere, menomano l'idea o il modello originale. E' la rottura di un tradizionale rapporto tra l'artista (modellatore, statuario) e l'artigiano che assume in sé la fatica dell'intagliatore (scultore): al primo che ha originato "l'idea" viene a mancare il particolare ritmo, dato dalla tensione e sforzo muscolare del mestiere, che è tecnica, cioè vita e armonia di movimenti, espressione di una pulsione interiore, non trasmissione di un qualsiasi sforzo fisico. E' il sentire dentro di sé tutta la spinta emotiva di una tradizione secolare, vissuta con uomini, luoghi e suoni della memoria, portando dentro di sé tutta la pastosità della materia, e vivere dentro questa sua tridimensionalità, sfruttando l'espressività dei volumi, per ottenere diversi livelli di piattezza e variazioni di rilievo. E nella sua forma più pura, intagliando e ancora intagliando, per catturare e rimandare la luce, quel gioco o rapporto tra le parti, nel trapasso dei piani, ora accentuando, ora muovendo finzioni di movimento lineare; oppure contaminazioni e relazioni con altre parti, innovando le idee attraverso l'antico linguaggio dei segni per continuare a creare. Per mantenere questa fedeltà alla forma della scultura, occorre superare lo scadimento del mestiere e la sua eccessiva industrializzazione. Lo lo si può fare solo con un contraltare di forte tensione e ricerca di unità, tra l'artista (modellatore) e lo scultore (artigiano), portato al livello delle più alte professionalità e/o personalità. Unione che preferiamo ricomposta in una sola persona. Sempre nel caso che il lavoro dello scolpire sia assunto da una persona diversa dall'artista, non sono del tutte estranee le tecniche - neppure l'uso di particolari "ferri" e procedimenti di esecuzione - nella buona riuscita di un'opera, rispetto agli effetti voluti.

Le macchine moderne sono ultra veloci, la nostra mente non ne padroneggia il ritmo ed il braccio non sente l'impatto ambito. Anche se, con il loro apporto, l'effetto ed il fine dello spianare, tagliare, smerigliare, è perfettamente ottenuto. Manca , in tutto questo il gusto nello scolpire, il sapore dello scolpire, l'amore dei ferri e della loro manualità, quell'intima soddisfazione creatrice di forme e di segni, che porta a mirabili effetti. Riporto un esempio scomodo: vi è la stessa differenza, tra questi ultimi e le prime, che passa metaforicamente tra il masticare il cibo (con i ferri) correttamente, e il trangugiare (le macchine) velocemente, rigettandolo. L'effetto, non solo estetico, è agli antipodi: difatti di un marmo mal intagliato si dice “chi iè biascicat” (biascicare, rimasticare, ruminare).

Perciò, non è sufficiente un frequente sentirsi, con l'ideatore, se il solo intento è quello di comporre una comunissima copia fedele, poiché rischia di isterilirsi l'autentico linguaggio della scultura: si mette in primo piano il risultato definitivo e non le qualità artistiche. Se il messaggio estetico ed emozionale non passa dalla coscienza del primo (modellatore) a quella del secondo (scultore), non si ricompone la frattura fra invenzione ed esecuzione. Entrambi devono essere portati a compiere una profonda immersione nella forma concepita, proprio immedesimandosi nella particolare materia della lavorazione: cioè dentro al crescere di quella particolare empatia muscolare e meccanica, nelle su mutevoli espressioni, che passa dalle difficoltà tecniche ai trucchi del mestiere. Comunque, sempre dentro quel respiro che dall'idea originaria deve poter emanare, nella sua qualità e stile, fin dai primi colpi dati al blocco di marmo.

Fino dall'Ottocento lo scopo delle arti figurative è stata l'imitazione della realtà: e, nella misura in cui veniva raggiunta, lo scopo e la riuscita dell'opera da parte dell'artista. Una imitazione assai difficile per il bianco e uniforme candore del marmo. Bernini, sulla resa della somiglianza in marmo, affermava che: "per imitare bene il naturale faceva (modificava) ciò che nel naturale non c'era". (La distorsione come idealizzazione, cioè uno staccarsi dalla norma naturale). E " lavorando e scavando la pietra, in modo da catturare e rimandare la luce in gradazioni diverse, Bernini ha creato l'illusione di un continuo trapasso di superfici differenti". E affermava che: nell'imitazione è “tutto diletto dei sensi nostri", poiché per lui " imitare aveva un senso più largo e più profondo: produrre un singolo essere umano in un blocco di marmo, non significava solo scolpire un volto che avesse il maggior numero di tratti in comune con il modello, ma creare una potente illusione di individualità, di presenza reale e di vitalità". Sembrano, questi, concetti senza senso: riferiti oggi nello scadimento più commerciale che industriale, con la cancellazione quasi totale della cosiddetta "filiera" che rappresentava le lavorazioni in loco. Allorquando la nostra stessa scultura - negli impieghi di produzione monumentale, funeraria, la cosiddetta commerciale, ma spesso anche ritrattistica - è priva di una qualche naturalezza, vuota di passioni, perciò fredda, e priva di quei caratteri tipici della sfera umana. Ci siamo dimenticati che l'arte è conoscenza ed espressione di un sentimento. Da tempo, si producono solo stereotipi, che, nella migliore dei casi, vengono alla luce nel vago ricordo di una qualche tradizione artigianale o scuola che dir si voglia: solo produzione di brutti prototipi, testimoni scomodi di una inespressiva rigidità. E non è il solo dramma vissuto dalla scultura carrarese: hanno valore solo gli stracci e l'impiego di materiali diversi da quello, ahimè! nobile, il marmo. Infatti in tutto il Comune non è stanziale un solo atelier degno di questo nome, ma solo botteghini pieni di bigiotteria. Ad onor del vero, non poche botteghe artigiane mantengono alto il prestigio di Carrara nel mondo, ed avrebbero mantenuto la loro verginità e naturalezza se non fossero state sedotte e abbandonate dalla cattiva politica, tradite anch'esse dal frusciar dei soldi. Così nuovi ed insipienti soggetti, sempre di passaggio e sempre ben pagati, hanno insterilito il territorio, lasciando poche ed insignificanti opere, quanto meno a disonorare la storia della scultura di Carrara. Sono ciurme di impostori avidi, con modi da vecchi e untuosi "bottegai", sempre ben protetti e divinizzati.

E' importante che le idee in campo profumino di soldi, all'uopo, sempre gli stessi, ammantati solo di una qualche prosopopea da genietto ambulante o da "corretti politicamente", possono aprire tutte le porte. Mi sia consentita una sola domanda ai compratori: tutti questi materiali poveri, assurti ad arte direttamente dalla raccolta differenziata, ma venduti a costi altissimi, quanto pensate varrà (avrà valore) un domani non lontanissimo". Auguri ai vostri eredi.



LA PIETRA RACCONTA IL LINGUAGGIO DEI SEGNI.

Ognuno di noi ha percorso un comune cammino insieme ai suoi simili, ha arricchito le proprie conoscenze e il proprio linguaggio; ha vissuto in più luoghi e accumulato esperienze, ricevuto impressioni, nutrendosi di nozioni e sensazioni, spiritualmente, dentro una infinità di cose e luoghi. Eppure, ognuno è diverso: nell'esaminare un oggetto, nel selezionare un suono. Alcune voci o suoni ci sono familiari, alcuni li selezioniamo per la loro musicalità, altri li ignoriamo o allontaniamo con fastidio perché solo rumorosi. Così è per i colori, linee, plasticità e spazialità. Siamo distratti da altro, o non possediamo una sufficiente educazione per ascoltare buona musica, saper vedere un'opera d'arte, leggere un buon libro? Qual'è il nostro status, quando siamo abbagliati dalle novità del diverso, indolentemente diverso, e, in pigrizia, da una infinità di luoghi comuni? L'ostacolo principale, il culturalismo, è nascosto dietro la parvenza del fare e del supermercato delle idee, assunto senza fatica e senza impegno, purché vi sia quella visibilità e quella possibilità del far comunella: uniti nel fare liste di proscrizione con gli amici dei miei amici a suggello del sodalizio, contro l'odiato nemico. E vai con il dazebào che è il miglior viatico artistico riconosciuto, efficace quanto spensierato, perché alla ricerca di un facile consenso, in linea con l'opportunismo corrente, dove tutto è banalmente stereotipato. Suvvia, una bella firma! Ma una ratifica genuina, che coglie i frutti migliori dalla pianta dei tuoi sentimenti, non c'è,

qui, ora, né appare all'orizzonte della dialettica codice-messaggio. Quand'è l'astio e l'odio a ritmare la socialità, la contemplazione, l'idealità, l'ammirazione, si cementa il perenne contrasto verso tutte quelle attitudini che sono parte integrante della nostra capacità di essere soggetti, liberi, della comunicazione. Perciò, in quel contesto, “ non possiamo ambire a leggere né proporci la realtà conosciuta in modo diverso, per rinnovare la nostra visione del mondo, in modo da avvicinarci a realtà altrimenti inconoscibili. L'intervento artistico attua questa ricerca e questa trasformazione operando appunto sui segni, sui mezzi linguistici, dei quali esplora nuovi assetti e nuove configurazioni, attraverso la modellizzazione espressiva. ” Eppure una moltitudine di segni, linguaggi (codici) sono comuni, sono parte di consuetudini consolidate che, storicizzandosi, ci hanno coinvolto quotidianamente: stupisce il contrasto con molta della attività sociale e della produzione artistica, quando si vuole solo stupire o provocare brutalmente, aprendo ferite dolorose, esclusivamente volte a lacerare e impressionare; a fissare personalismi liberticidi, a comprimere attitudini e comportamenti espressivi . Tutto ciò è sconcertante.

Amare La Pietra.

Questa amarezza l'ho subita, proprio riflettendo sulla mia, non ricca, attività di scultore, ispirato anche dalla passione nel ricercare pietre particolari, che solo nella mia mente assumono strane configurazioni ( nel sasso Michelangelo vede la forma e nell'opera incompiuta infinite possibilità di soluzione: dentro ogni blocco di marmo esistono infinite forme); è la ricerca di un senso che non riesco a comporre. La nostra sensibilità è in gioco e si beffa di noi. La burla accompagna la nostra miopia, osserviamo tutto per non vedere nulla: ad esempio, in molte pietre, ignorate dai più, ognuno vi può trovare molteplici significati; un segno, che può essere arricchito con poche o molte modifiche, a seconda dell'estro. E' possibile dire che la storia si respira in ogni pietra; molto spesso tra quelle che si trovano nel corso dei fiumi, nei dirupi, interrate, perfino nelle discariche, soprattutto se i suoi materiali di risulta provengono da case vecchie. Il linguaggio è fatto di tanti simboli: la presenza di una scaglia di marmo, ordinario, statuario, grezzo e ricco di impurità minerarie, venato o spaccato, come tutte le pietre, costituisce un'immagine concreta del senso; cioè mostra già il senso in se stesso, e lo dimostra in maniera più o meno ricca a seconda dell'esperienza di ogni individuo. Si ripropone l'iniziale dilemma: il contemplare è diverso dal semplice osservare, perciò di fronte ad una ispirazione, un'intuizione, cosa diciamo (con le idee chiare); in che modo lo diciamo (quale linguaggio usare), come innervare intuizione e spontaneità; ben sapendo che la percezione visiva e l'elaborazione sono legati all'intuizione al pari dell'esperienza personale: ognuno vede ciò che sa' ed esprime ciò che gli è più caro negli intimi pensieri. Quando noi osserviamo un disegno o una qualsiasi forma, lo misuriamo con un nostro modello personale, poiché tale modello è la forma più semplice da noi interiorizzata ed a questa facciamo derivare tutte le possibili varianti. Quindi, non osserviamo passivamente un soggetto, ma facciamo riferimento a modelli preesistenti in noi, affidando ad essi, la riconoscibilità delle cose esterne; e se nelle forme vi sono mancanze o elementi di disturbo tendiamo a riorganizzarle o a riconfigurarle in un processo di unificazione. In quei modelli stanno le radici della spontaneità.

Poniamoci il dilemma riguardo al nostro tema : se le immagini ( le cose come si presentano ) hanno un'enorme portata comunicativa, quando, l'artista, le può rendere più esplicite, universali, caricandole di una forte creatività? Escludiamole da ciò che è sciocca provocazione ( insipide performance ). Lasciamo piena libertà all'artista, che “ reinventa l'esperienza delle cose, e concreta in significati la sua particolare ricerca”. Solo così è possibile interpretare ogni immagine e renderla disponibile per una naturale lettura: gustarla, superando la semplice somiglianza di significati nella sua descrizione denotativa. Escludiamo le banalità dal momento creativo, poniamo più attenzione alla forza delle idee: escludiamole dalle speculazioni, almeno nell'attimo del concepimento e/o dall'intuizione genuina. Attenzione alle varie tribù dei mercenari, che corrodono anche i sentimenti più puri.

Impariamo ad osservare le cose intorno a noi, i sintomi estetici che esse promanano e costruiamoci dei modelli, semplificando ciò che abbiamo osservato: spesso, facciamo finta di vedere, ma in realtà guardiamo tutto senza recepire nulla. Creiamoci un nostro punto di vista principale: un nostro saper vedere. Penso ad un sasso, che porta i segni di un suo particolare percorso, dovuti all'usura in una località o al tempo trascorso e all'utilizzo che ne è stato fatto. Molte persone vedono solo una comune pietra abbandonata. Mentre altre notano dei segni particolari che eccitano la loro fantasia. E' pur vero che ognuno vede ciò che sa ed esprime ciò che meglio sente e conosce; ma con quanta capacità sappiamo esprimere tanta o poca spiritualità? Un segno può essere qualsiasi cosa o stimolare qualsiasi.....idea. Gran parte dell'arte moderna ne è maestra, spesso cattiva! Invece, quanta spontaneità e semplicità nei segni di un bambino, e in quelli degli uomini primitivi; fino alle illustrazioni simboliche delle icone marmoree (Maestà): dovute all'ostensione dei simboli sacri, in immagini confortanti e rassicuranti, che propongono linguaggi semplici, di getto, permeati di un profonda spiritualità. Non lo sono, altrettanto, quelli che fingono di assumere a modello la nostra realtà, spesso la nuda ma imbelle quotidianità dei rassegnati. Sono i modelli dei soliti noti, caricati di populismo e dai quali ci lasciamo imbellettare, nella garanzia di una aspettativa di indipendenza, e di liberazione dalle assurdità pubblicistiche. Siamo immersi in questa mondanità, a tal punto che quasi ignoriamo le naturali bellezze dell'ambiente circostante; e ci complichiamo la vita, la intristiamo e, nel comunicare, usiamo codici perversi, oggetti-immagine, “ for sale” , nelle prostrate prestazioni dei "notori" di oggi, sempre in fieri, padroni dell'idea onnipotente: compiuta, eterna e immodificabile, effimera. È l'immortalità che va' oltre l'uomo e la sua ragione di essere. Lo ribadiamo!, più semplice è il segno meglio viene colto e visualizzato (memorizzato): la chiarezza della composizione e dello stile rappresenta il massimo della espressività. In fondo in fondo, non è così? Ogni forma, in natura e/o nella nostra mente è riconducibile a forme geometriche elementari, archetipi.

È di Michelangelo, sull'arte pregiata sua, la più sconsolata abiura alla figurazione, né pensava come arte l'architettura, ma essa come la poesia aveva propri codici: insomma nell'architettura, come nella poesia vi è la rottura della tradizionale proporzionalità; è un continuo conflitto tra l'osservanza e la trasgressione.

L'abiura è esplicita : “ che giova il voler far tanti bambocci, se mi ha condotto al fin, come colui che passò 'l mar e poi affogò ne' mocci ? ….” Ma si sarebbe redento, se avesse visto le rappresentazioni dell'oggi, gli stravolgimenti, i tradizionali rituali, con gli insensati gesti taumaturgici? “ Michelangelo, dopo la conversione, sente la necessità di nuovi valori espressivi nei componimenti, e, pur all'interno di forme canoniche, esprime nuovi elementi lessicali, partoriti da un conflitto vissuto e vero: l'esasperazione del dramma tra osservanza e trasgressione. La sua sostanziale unità delle arti mirava ad una profonda, indissolubile unità di arte, esistenza, salvezza. Unità ma superamento dell'arte come imitazione, mimesi di una realtà esterna, la natura o l'antico, dati come modelli; ma la vera difficoltà non erano tanto gli oggetti dell'imitazione, quanto l'insieme costituiva un atto di servitù e di possesso, una contraddizione assurda, in quanto obbedienza e rottura liberatoria rispondevano agli stessi principi con uguale valore”. Per Michelangelo concetto e immagine erano la stessa cosa, avevano la stessa concentrazione e la stessa chiusura; e l'identità si estendeva alla parola che doveva essere definita da una propria struttura fonetica e sillabica, come l'immagine del proprio contorno. Così come il contorno lineare delle figure aveva un senso finito, circoscriveva l'immagine, tal quale la parola definiva il concetto. E certo anche qui c'era contraddizione di finito e infinito, la stessa che sboccherà nella contraddizione per cui il non finito era oltre il finito, quindi il vero finito. Questa rara “coseità” della parola consisteva nella fermezza del contorno, nella forza timbrica, nello smalto lucente, come di pietra dura, che acquistavano le singole parole...” in contraddizione per la loro nessuna associazione in quel contesto.... “ parole che pure avevano un senso comune stanno nel contesto poetico come i volti, i corpi, i panni dei Profeti e delle sibille: nulla più che schermi per intercettare e comunicare messaggi altrimenti inafferrabili”. In tutto ciò “Non contava la portata dei concetti, ma la dinamica della loro contraddizione....” Siamo, qui, di fronte ad una particolare modellizzazione strutturale, in quanto già mostra il senso in se stesso, cioè costruisce un'immagine concreta del senso: il senso perciò è inseparabile dal significante”.

Tutt'altro i travisamenti dell'oggi, con la perdita espressiva e l'esasperazione di significati dissociati ormai da un qualsiasi senso logico e lirico. E tutto questo ci porta a incomprensibili immagini, alla devianza di simboli importanti, distorsioni linguistiche insulse nella funzione della comunicazione. Perciò abbiamo imparato ad usare tecniche approssimative, abborracciate, mentre il buon gusto consiglierebbe una più appropriata osservazione, seguita da una comunicazione comprensibile ed una tecnica espressiva più armoniosa. Certo una buona padronanza tecnica non si trova per la strada, costa fatica, studio e lavoro, non solo per copiare, ma anche nell'impegno laborioso che si concretizza nella parola magica della creatività. Bene il mestiere, ci si può perfezionare nel copiare o tradurre opere, anche di grande valore, da piccoli modelli o altro. Diverso è avvertire l'intaglio come un personale sentire segnico, che è dentro di te, che è il tuo modo di dire le cose stilisticamente ed espressivamente e ti guida, quasi inconsapevolmente, nella scelta dei materiali e degli strumenti di lavoro. Le parole in questo caso chiariscono parzialmente il concetto intagliare, levare il superfluo: non è solo un corpo a corpo con la materia, è quel qualcosa di più che fa la differenza, tra la fredda e razionale esecuzione, rispetto alla espressione di un sentire che cova dentro di te. Osserviamo attentamente, studiamo, le opere dei grandi maestri (in Michelangelo anche il non finito è già un linguaggio). Così come in GL Bernini, le stesse preziosità tecniche e lo stesso virtuosismo consentono un utilizzo dei ferri come se vi fosse una organica comunione, un filo diretto, con la materia. La mano che guida sapientemente la subbia grossa nella trama e nell'ordito di profonde rigature, così come la subbia piccola scava e modella particolari, già sagomando e sfumando, anticipando il passaggio al ferro successivo. Cosicché l'uso delle gradine ad una o più tacche delineano la plasticità di un corpo o di un tessuto nel migliore dei modi, che di per se' sono già gustosissimi e ricchi di musicalità.





IL LAVORO DELLA SCULTURA.





Solitamente, si inizia il lavoro di una scultura mettendo mano all'abozzatura (sbozzo) e scandaglio dell'opera, per superare difetti ed impurità. Nel contempo si verificano misurazioni e si mettono alcuni capi-punto, affinché dal blocco vi possa uscire quel modello, preso a campione, nelle proporzioni desiderate e programmate in scala. ( I capi-punto, ripetiamolo, sono punti CHIAVE: punti strategici per la buona riuscita di un lavoro ).

Lo sbozzo ( sgrossare ) si inizia con la subbia e l'accapezzatore (scapezzatore), per far saltare grosse scaglie. Poi, calcagnoli o dente di cane (oggi in disuso); a seguire altri ferri detti gradine, che lavorano sempre più finemente, a seconda del numero delle tacche e della loro sottigliezza. Questi, se adoperati magistralmente, gradinando il marmo, possono dare un modellato, una texture, sia nelle parti anatomiche, sia nei panneggi, che raggiungono effetti di straordinaria bellezza e pastosità. Sono sufficienti alcuni esempi per tutti: i virtuosismi dello scalpello di GL Bernini, in particolare i famosi ritratti; e di Michelangelo, il S. Matteo, i Prigioni, le ultime Pietà, che andrebbero studiati attentamente. (A ben osservare, le superfici texturizzate, nella scultura, non sono molto diverse da un buon disegno: tratteggio e ombreggiature, dimensionalità e accostamenti. Queste superfici sono composte da linee ravvicinate, sono segmenti organizzati uguali o simili, a volte intrecciati anche in maniera casuale; ma nel nostro esempio sono disposti ritmicamente in modo da formare reticoli omogenei). Quindi i solchi della gradinatura sono funzionali per catturare la luce o effetti di vibrazione luminosa per chi guarda da lontano (nel San Longino); ma sono gustosissimi anche alla distanza giusta dell'osservatore.

La gradinatura spesso è tolta più o meno con lo scalpello piatto, dritto e tagliente, il quale può lasciare rigature e modeste irregolarità non volute, che vanno eliminate con il doppio scalpello, detto raschietto e usato con le sole mani, senza mazzuolo. Abbiamo detto scabrosità non volute, vi sono anche colpi di scalpello o di gradina volutamente lasciati a correre, dati con grazia, premiando effetti di rara bellezza, verosimiglianti al traslucido; nessun tratteggio dei migliori disegni gli sta alla pari in finezza di trama. Molte sono le opere esemplari, in fatto di pulimento e morbidezza. E' sufficiente citare alcune opere di Michelangelo e del GL Bernini: del primo il Bruto del Bargello e il David; del secondo, San Longino (in Vaticano) e la Costanza Bonarelli (Bargello) ed Apollo e Dafne. Eliminare la gradina è fattibile e possibile, se la finezza di grana del marmo lo consente, anche con l'uso di buone raspe, ottenendo una reale carnosità, ad imitazione della migliore naturalità, espressività e vitalità di un soggetto. Successivamente, i passaggi della pulitura a lucido, se voluta e secondo gli effetti desiderati, possono essere fatti con smeriglio, carte abrasive, pomice e via via sempre più finemente fino alla lucidatura a specchio (con acido ossalico); infine, la patinatura con colori o con la cera vergine. Con il traslucido si gioca sul contrasto nelle diverse parti della scultura voluta, intenzionalmente non casualmente. Alcune parti si possono maggiormente lucidare (a specchio o a pelle d'uovo), altre a contrasto, mantengono passaggi della precedente lavorazione: a subbia, gradina, altri scarpelli; infine raschietti, raspe, smerigli, ecc..





La qualità del marmo.





Prima di continuare a dialogare sulle tecniche, corre l'obbligo di conoscere meglio la materia che ci accingiamo a lavorare, IL MARMO. Da tempo, associamo alla parola marmo il significato di maggiore o minore lavorabilità: " è la proprietà che ha il marmo di lasciarsi segare, scolpire e lucidare per mezzo di adatti strumenti, che lo riducono alle forme richieste. Nel linguaggio comune, in origine, era considerato marmo qualunque pietra suscettibile di ricevere un pulimento. Ma coll'andar del tempo, il significato che il vocabolo aveva nell'antichità, subì una limitazione, cosicché si esclusero pietre che presentavano una durezza notevolmente maggiore (graniti, porfidi)". Per le scienze, la parola marmo denota calcari che si dicono solitamente cristallini: " Il saccaroide più facilmente si presta allo scalpello, quanto più la sua grana è fine, cioè consta di individui piccoli di calcite (FINEZZA DI GRANA). In linguaggio comune i marmi si distinguono in crudi o fieri, deboli o fragili, a seconda della loro resistenza, ossia della maggiore o minor coesione della loro grana. Il marmo crudo è molto resistente alla lavorazione" ( e si mantiene nel tempo, per secoli, anche all'esterno, soggetto agli agenti atmosferici ). Ma la troppa durezza non sempre è un pregio ( freschezza ed eleganza nell'intaglio ): se non è lavorato con la dovuta abilità può schiantarsi in maniera non voluta, ma il peggio sono i contraccolpi dei ferri, difficili da eliminare e che si vedono bene quando il marmo è pulito o ancor meglio lucidato. Nulla toglie, al gradimento di alcuni scultori, di scegliere un marmo duro e bianco-chiaro di 1^ qualità, per lavori di scultura e ornato, dove l'abilità dell'artista si gioca tutto nell'uso virtuoso del ferro tagliente, con approcci d'acchito e freschi ( non cincischiati ), ma che conservano tutta la loro vivacità e bianchezza. Il marmo rimane pesto (si chiamano squame) e se le pestature sono diverse l'effetto è bruttissimo. "Il marmo debole o tenero ha il difetto di non sopportare né spigoli vivi né rilievi isolati di qualche finezza che, anche se fatti con maestria, non possono reggere a lungo( soprattutto se alle intemperie ). Il marmo leggermente debole ma non cotto, poiché questi si sfarina alla lavorazione, è il più indicato per l'intaglio". Insomma, il marmista deve tener conto della destinazione d'uso che sarà attribuita al prodotto finito. Da qui, " anche della durezza il marmista deve tener ben conto.....così sceglierà tra i duri quelli che devono sottostare a sfregamenti continui (scale, pavimenti) e fra i teneri quelli per la scultura, l'ornato, ecc. I marmi si distinguono in Teneri, Mezzani e Duri, secondo il loro peso specifico". va' da se' che a maggior peso specifico, per i Duri e Mezzani, corrisponde un maggior grado di coesione. Ciò che fa' la differenza, in un'opera finita, è la sostanziale freschezza del lavoro che deve esprimere di getto l'originalità dell'idea, evitando troppi ripensamenti.





Tecniche.





Le precedenti argomentazioni mantengono una loro validità sia che si adotti una lavorazione con modello, utilizzando i compassi o il pantografo, sia che si utilizzi un disegno, una stampa o una fotografia. In tutti questi casi le misurazioni sono importanti e vanno diversamente prese. Per queste ultime, le immagini su carta, va predisposto un disegno sul marmo, in pianta (figura supina) e di fianco nel profilo di tutta la figura. Naturalmente, in tutti i casi occorre aver presente il concetto di piano: nell'iniziare il lavoro o partenza, lo stesso scandaglio della figura che deve uscire dal blocco scelto. Susseguentemente lavoriamo su dei piani, consideriamo i solidi e i loro innumerevoli piani variamente posizionati, come sull'esempio della vasca di Michelangelo e della visibilità del modellino che in essa vi si immerge: adagiandovi detta figura, noi la contrapponiamo al velo o pelo dell'acqua, a livello del suo orizzonte, mentre gradualmente sommergono le membra supine; se facciamo l'operazione contraria, noi osserviamo come pianamente, di volta in volta, le varie membra o parti del corpo sporgono in fuori, emergono, ora le ginocchia, poi le mani, la faccia e via via, a seconda della loro distanza dal piano del dorso. Ognuna ha la sua particolare sezione o posizionamento ( dipende dalla postura della figura ). L'insistenza sull'atto tecnico del levare, nulla toglie all'afflato del plasmare, che è padronanza della materia, piacere che scorre nelle vene. Il tutto in tre versi famosi di Michelangelo: Non ha l'ottimo artista alcun concetto c'un marmo solo in sé non circoscriva col suo superchio. " Cosicché, le rime non di rado tradiscono, nella mente dell'artista, la gravità del problema esistenziale e le idee di Michelangelo su qualsiasi evento; ma la novità consiste nel porre sullo stesso piano scultura e scrittura, nella normale trasformazione dei costrutti e nella tessitura di un nuovo intaglio. E con le rime e il disegno che le lega, si riflettono le stesse idee su l'arte, sul bello, sull'aspra fatica del lavoro artistico, l'insistenza dell'atto tecnico del levare ha più un valore spirituale, unico, che va' ben al di la' dello scalpellare via la pietra; ciò vale anche per la poesia: è indifferente se la penna sostituisce lo scalpello, è la mano che genera la composizione, purché non sia mediocre, secondo che 'l sa trar l'ingegno nostro. Scomporre, trasformare, lo scoprire gradualmente elementi che sembravano nascosti, il piacere di scovarli con i ferri in mano, per far nascere dal nulla, nel marmo, quei piani o quelle parti che compongono un tutto. E' il gusto di sfidare la pietra. Il gusto di far emergere ciò che sporge o rientra: adiacenti o complementari, siano figure o costruzioni, nel gioco dei volumi e degli scuri; in movimento o in stasi. E si ricavano gli uni dagli altri in sequenze conseguenti. Ricavare, è come ripulire una superficie ingombra di materiale, denudarla piano piano, per conseguire il piano naturale suo. Sentite il Vasari: "... Si piglino le misure da quelle del modello, quanto sportano le gambe fora e così le braccia; e si va spignendo la figura in dentro con queste misure, riportandole sul marmo dal modello; di maniera che, misurando il marmo et il modello a proporzione, viene a levare della pietra con li scarpelli".... e la figura misurata esce dal sasso. Qui fa' l'esempio della vasca d'acqua: se è si pigliassi una figura di cera o d'altra materia dura, e si metessi a diacere in una conca d'acqua, la quale acqua essendo per sua natura nella sua sommità piana e pari, alzando detta figura a poco a poco del pari, così vengono a scoprirsi prima le parti più elevate ed a nascondersi .. le parti più basse... Viene a uscire: " ché prima verrebbe il corpo e la testa e le ginocchia, et a poco a poco, scoprendosi.... si vedrebbe poi la ritondità di quella fin passato il mezzo, e in ultimo la ritondità dell'altra parte ".

Nel San Matteo ( Michelangelo Galleria dell'Accademia Firenze ), che sembra prigioniero del sasso dove è scolpito, visibile con chiarezza l'opera incompiuta. IL NON FINITO michelangiolesco ha un significato preciso: inizia il suo pessimismo ed una profonda riflessione sui grandi valori della vita, della ragione, della fede; sulla perfezione, irraggiungibile perché divina fra la purezza della ragione e delle idee e lo squallore della vita. La sua fissa è che lo sbozzato/smodellato lascia solo intravedere la scultura che sarà, mentre si libera dalla materia: toglie alla statua la perfezione del modello e l'immutabilità del significato, che è proprio dell'opera finita, e l'incompiuto si apre ad infinite soluzioni. Emerge qui con assoluta certezza un dato tecnico rilevante, l'unicità del punto centrale: cioè si toglie il marmo parallelamente, per piani, anteriormente e di fianco, scoprendo, di volta in volta, le parti più sporgenti, lasciando emergere le parti basse ad esse complementari. Così, nel San Matteo, il piano del ginocchio, che è quello più alto, lascia intuire e porta alla luce gli altri piani: a sinistra, si scopre quello della mano con il libro; mentre il profilo del volto, reclinato a destra sulla spalla, segue il piano del braccio disteso fino alla coscia; in mezzo, gli indumenti del torso e del bacino, leggermente sollevati, sono allineati con la gamba di appoggio ( ponderazione e chiasmo ). Con pochi colpi di gradina emerge il particolare del viso, ben delineato e, nell'insieme, la luce che scorre sulle superfici abbozzate, già traccia e lascia, solo immaginare, come dovrà essere in futuro l'opera finita.

Nell'osservare i due rilievi marmorei tondi, rappresentanti la Madonna col Bambino e San Giovannino, Tondo Taddei (Royal Accademy Londra) e Tondo Pitti ( firenze, Bargello ), si avverte come il gioco dei piani di risulta della figura principale siano complementari e raccordati. Pur nella torsione diversamente orientata, i due busti esprimono, l'uno, dolcezza ed armonia nella composizione, adeguando la propria linearità dentro lo spazio dato; L'altro, esprime compattezza nelle due figure principali e forza: la testa della Madonna fuoriesce dalla costrizione oppressiva del bordo.

Nel Tondo Taddei la gambe del San Giovannino sono collegate a quella del Bambino, che a sua volta è disteso sulla Madonna e sull'ampio movimento del suo braccio sinistro fino alla testa, accentuato dal cordolo ( il bordo ). Infine, il braccio destro della madre ritorna a collegarsi con la figura del San Giovannino, nell'alternarsi dei volumi e degli scuri all'originale movimento rotatorio. Come faremo noi, se volessimo scolpire lo stesso "Tondo" ? Inizieremo a disegnare l'insieme dell'opera sulla faccia della formella in marmo, e, con lo scalpello piccolo e tondo, vi tracceremo i primi contorni; proseguiremo gradualmente con gli sbassi per ordine di rilevanza. Continuiamo la seconda parte dell'abbozzo, con la ricerca dei volumi e delle linee definitive, cominciando a fissare sempre più finemente i particolari, solitamente nelle parti più alte; e si ritorna a tracciare, in maniera definitiva i contorni delle figure e l'assetto generale, fino a trovare il piano ultimo della formella (fondo). Michelangelo è un virtuoso dello scalpello: è stupefacente come arriva in maniera diretta a ridosso della figura, alla prima (non gradualmente), togliendo la pietra soverchia: più questa scema più la figura cresce e si realizza. E' sufficiente notare come con ordinati colpi di subbietta, nel Tondo Pitti, in uno spessore bassissimo, riesce a far emergere il San Giovannino che sembra annegato nello sfondo marmoreo, dietro le spalle della Madonna: lo scalpello disegna le figure, mentre gli sbassi a subbia e/o gradina danno una plasticità mirabile al bassorilievo, dove all'interno del bordo marmoreo si stagliano, elevandosi e rivelandosi alla luce, buona parte dei corpi. E nella perfetta geometria della composizione, ora sfumano ora emergono, panneggi e volti relativi a particolari nascosti, che escono dall'ombra o rimangono appena accennati, attendendo infinite possibilità di risoluzione. Sono gli effetti di come l'artista approccia e definisce la composizione racchiusa in una sua logica (idea), dove nulla è lasciato al caso. E' sufficiente notare come riesce a stanare il braccio di Gesù dal fondo, ribadendo la grande intuizione dell'abbozzato e su tutto ciò che è suggerito, ma tutt'altro che definito.





STRUMENTI DELLA LAVORAZIONE A MANO

Il mazzuolo di ferro, con cui si battono, sulla testa i diversi scarpelli; il mazzuolo di legno, più grosso di quello di ferro, ma assai più leggero, che non da' perciò colpi tanto secchi sugli strumenti, e quindi meno facili a produrre le squame che stanno tanto male e diventano anche più appariscenti quando il lavoro deve essere impomiciato, o tirato a lucido.

La subbia, scalpello terminante a punta acciaiata, con cui si abbozzano i marmi, e che a seconda della maggiore o minore acutezza della punta prende il nome di fina, mezzana e grossa.

Il dente di cane o calcagnolo, scalpello col taglio spartito in due (con una tacca nel mezzo), che serve a togliere i tramezzi (tra le rigature) lasciati dalla subbia. La gradina, col taglio a denti acciaiati, che serve a gradinare o rendere fine le superfici del marmo; la martellina che opera come la gradina e, con il lavoro di martellatura, si hanno uguali superfici.

Lo scalpello tagliente acciaiato diritto, con cui si tolgono le scabrosità della gradina e si rende il marmo liscio; ma anche tondo di diverse misure che serve per impastare, delineare, rifinire.

La gorbia o sgorbia con tagliente semicircolare, simile allo scalpello tondo, per incavare e scanalare.

L'ugnetto scalpello lungo dal taglio spesso e stretto, quasi a punta, per lavorare nelle parti profonde, il suo uguale è adoperato con il martello pneumatico, non sostituisce pienamente la subbia nello sgrossare, anche se, nel levare, aiuta molto. Moltissimi scultori lo adoperano per disegnare parti della figura, segnandone il contorno, fare incisioni profonde, eppure delicati ritocchi.

Il raschietto, doppio scalpello con taglienti smussati e acciaiati, che si usa senza mazzuolo, ma premendo fortemente con le mani, per togliere dalla superficie le più piccole irregolarità rimastevi.

Le lime e raspe, dritte o torte, piane o rotonde, che servono a pulire la superficie.

TUTTI QUESTI UTENSILI, tranne i mazzuoli e martelline, raschietti e raspe, possono essere usati con il martello pneumatico.





I PUNTONI NELLA SCULTURA.





I "PUNTONI" in edilizia sono un elemento architettonico delle capriate (le due travi inclinate ). Nella smodellatura il termine è riferito a listelli più o meno alti, proporzionati, rispetto alla grandezza del lavoro, sia nel marmo sia nel modello. Questa tecnica è usata di solito per alti-bassi rilievi, o “stiacciàto”. All'apice di ogni puntone è contenuto un capo-punto, da trasportarsi, dal modello alla statua in marmo. I listelli si innalzano, sopra il modellato di entrambi, nel rispetto delle proporzioni, in scala, prefissate. In dialetto sono detti anche "piri" . La parte in basso, opposta al capo-punto, è attaccata al marmo e/o al modello ( più precisamente, alla superficie dei loro modellati o sullo sfondo, a delineare piani di riferimento che si ergono sopra entrambi ).

Dobbiamo considerare anche la quantità di puntoni da installare: saranno numerosi tanto quanto l'estensione del lavoro e dei campi utili alle proiezioni; quindi non molti, ma sufficientemente adeguati ad un sistema modulare per tempestare di punti la riproduzione, e più questi saranno fedeli ed in sintonia tra loro, più la riproduzione sarà soddisfatta e perfetta.

Il listello, elemento rettilineo in marmo o in legno, può raffigurarsi, dalla capocchia al piano, come una retta perpendicolare che lo interseca: è il piede della piramide sulla quale è fissata la bulletta, con il capo punto in posizione ottimale per proiettare, su una porzione di piano, le misure necessarie. [Dobbiamo avere l'accortezza di collocare i puntoni, sia del modello, sia del marmo, in modo tale che ciascun ordine si possa conformare ad una loro altezza data e livellata. Nei fatti i due insiemi sono uniformati a costituire piani paralleli superiori a piani sottostanti: questi materialmente tagliano gli spessori del modellato; gli altri virtuali, aerei, sono il livello dei puntoni (piano delle altezze), dove è agevole poter sovrapporre un righello sui predisposti capi punto, e, da sotto, un invito a concepire le cale, usando il compasso a punte rovesciate, aperto in alto, sotto la riga e, in basso, sul modellato: diverso è l'uso del compasso dai puntoni al piano (compasso con una sola punta rovesciata)]. Disponendo le punte del compasso, una ferma sul suo punto di testa, l'altra, secondo un'apertura prescelta, con la possibilità di ruotare di 360° intorno al detto puntone, si può cogliere e riportare, dal modello alla statua da eseguirsi, tutti quei punti necessari e uniformemente proporzionali, soprattutto le "cale", per una buona e fedele esecuzione. Le proiezioni dei puntoni si possono raffigurare come una rotazione che ha forme piramidali: immaginiamo di appoggiare una squadra al puntone (angolo possibile a 90°), avremo un cateto verticale, e l'altro a contatto con il piano di lavoro ( del marmo o del modello ).

Se pratichiamo virtualmente, con la squadra, le stesse rotazioni intorno al puntone sperimentate con i compassi, avremo chiaro che le misure da prendersi sono riferite a segmenti di obliqua, e cioè alle distanze del capo punto dal modellato; migliori quelle rilevate nella massima pendenza, date dall'ipotenusa (lato opposto all'angolo retto). Perciò si dovrà contenere, la gittata del raggio entro collocazioni non troppo distanti dal piede della piramide. Anche se raramente sarà prefigurata una piramide regolare, con le proiettanti più disparate imposte dalla distanza dei capi punto. Per cui nella distribuzione dei puntoni, sul piano, si dovrà tener conto di una regia che individua campi di azione praticabili. Queste intersezioni indicheranno quel particolare intaglio da farsi che, mano a mano, plasmerà tutte le espressività dei vari soggetti : nel geometrismo della buona smodellatura abbiamo già i prodromi di una plasticità o profondità spaziale; e, sommariamente, il manifestarsi di ogni effetto plastico/pittorico che si intenda realizzare, coi volumi o con le perforazioni. Trattandosi dell'intaglio di rilevi, il marmo, more solito, deve poter contenere agevolmente il modello: “ lo spessore” dalla lastra al massello ( da cm 2 a cm 8 ), ma anche di maggior o minor spessore a seconda del lavoro da farsi: alto rilevo, basso rilevo, schiacciato. ( Quando indichiamo le misure del marmo dobbiamo aver presente questa rappresentazione: la dimensione maggiore viene denominata lunghezza, quella intermedia larghezza; la dimensione minore viene denominata spessore). Il punto di partenza è sempre un piano perfetto, sia del modello sia della statua, piani che formano lo stesso angolo con “l'orizzontale”.

1^ ipotesi:

Iniziamo il lavoro prospettando di incidere, sulle coste dello spessore del marmo – nel verso della larghezza e della lunghezza - le stesse linee, a livello e in proporzione, rilevate dalla cornice del modello (nel gesso o sul piano lastra). Tali segmenti sono i lati che costituiscono il perimetro, ed è su di esso che concentriamo la massima attenzione. IL problema è come costruire angoli uguali a quelli del modello; oppure, viceversa, da quelli del marmo al modello, se non è tagliato perfettamente e debbasi troppo penare a rifilarlo. Procediamo: tra i lati che hanno gli angoli in comune si mettono due punti equidistanti dal vertice di questi (ad es. una misura intermedia che, fissata la partenza dal punto “1”, sul lato AB, apre il compasso fino a lambire l'angolo). Da qui, con l'identica apertura, operiamo il suo riporto nel lato consecutivo BC il “2”). Di seguito, apriamo il compasso sui punti estremi “1 e 2” per registrare l'ampiezza dell'angolo del gesso. La medesima operazione va eseguita nel marmo. La congruità di entrambi è legata a poligoni equiangoli. Le intersezioni vanno fatte su tutti e quattro gli angoli ad iniziare, segnando sulla cornice del gesso e sulle coste del marmo, i primi punti rilevati all'interno dei lati ABC (in AB il punto “1”, il<3> nell'angolo, al vertice; ed il “2” BC nel lato adiacente), al fine di praticare il pieno utilizzo dello spazio perimetrale. Stiamo conformando un piano che taglia, da sotto, i rilievi del modello, in tutta la sua larghezza e lunghezza. Mentre sopra il perimetro del marmo, nel suo spessore reale, ha sufficiente materia atta a contenere la riproduzione stabilita (alto/basso rilievo o altro). Apriamo i compassi dai capi punto intermedi “1e 2” ed il <3> nell'angolo - passaggio nel triangolo di proporzione - per installare il primo puntone all'interno dello spazio operativo (AC). La collocazione del puntone è nel mezzo dell'ampiezza dell'angolo , ed il suo capo punto è trasportato dalla intersezione degli omologhi “1” “2” e <3> cala. Fissato il primo, va studiato l'inserimento degli altri puntoni: quanti e dove. Subito una prima affermazione: definito il poligono equiangolo, sui lati del medesimo è possibile riportare sui relativi perimetri, dal modello al marmo, i punti che consideriamo utili. Una prima opportunità è data dai capi punto intermedi, ad es.: il “2” e il suo opposto, per tutta la larghezza, nell'altro lato del perimetro, il “2”bis. Questi possono fungere anche da cale, perciò l'utilità di installare due capi punto, con dei puntali di media altezza e minori dei “piri” - che superino le varie parti emergenti del modello-, è una possibile operazione da sfruttare. Li fissiamo sul piano prospiciente, che è volto verso i capi punto dianzi detti, affinché possano esercitare un controllo di conformità degli sbassi, “nell'arte del levare”. Al meglio, vengono utilizzati per facilitare i compassi a prendere le misure lunghe, lasciando ai puntoni quasi tutto l'onere delle cale. Il loro ruolo fondamentale è favorire le intersezioni dai e sui puntoni; così come i vari punti segnati sul piano, e tutti quelli che possiamo disporre, liberamente, sul perimetro, hanno funzioni polivalenti. I puntoni, i puntali e tutte le bullette vanno forati in testa, incuneandoli e cementandoli, con il mastice o con il gesso, negli insediamenti predisposti nel modello e nel marmo.





PUNTONI ALTRE TECNICHE ipotesi secondaria, per lavori di media grandezza.

Illustriamo, per maggior praticità, altre due tecniche. Diciamo che un rilievo è ciò che si stacca dallo sfondo, che è la parte prospettica più lontana dalle figure di primo piano. Abbiamo già accennato alla diversificazione dei vari spessori ( alto/basso rilievi ), perciò se teniamo conto delle loro grandezze e forma, possiamo sperimentare anche altre tecniche, e relative partenze. La seguente è molto simile a quella dianzi descritta, sfrutta lo spazio del piano libero, quello tra il modellato e, intorno, nella cornice, per potervi inserire alcuni capi punto, in modo da governare tutta la superficie. La tecnica che illustreremo differisce, dalla precedente, solo nella scelta del piano di partenza, simulando la proiezione di un piano su tre punti sul MODELLO. Piano che deve superare l'altezza dei rilievi, cioè si staglia sopra la composizione come se fosse un tetto immaginario. Per formarlo sono utili i canonici tre capi punto, 1-2-3, per la formazione di un piano, sia nel modello che nel blocco. Nel modello si predispongono come solitamente avviene nelle figure adagiate: in basso i due capi punto (1-2), in alto il “3”. Questi, si fissano con chiodi o “bodete”, in modo da sovrastare, coi capi punto, lo spessore del modellato. Nel marmo tagliato o spianato adeguatamente, riportandoli dal modello, in scala, i capi punto sono ospitati nei fori fatti col “punteruolo”. I piani sia del modello sia del marmo dovranno essere livellati e traguardati per avere la stessa angolazione con la linea di terra. Il volume del marmo conterrà sia la tavola del gesso che le parti in rilievo. Perciò sotto questo piano, nonostante l'espressione di esiguità, vi è pur sempre una tridimensionalità da rispettare: comprendente sia lo sfondo che il modellato e lo spessore della tavola. Ne va trascurata la cornice, i cui angoli vanno riprodotti fedelmente nella loro ampiezza; mentre i relativi perimetri avranno i lati uniformemente proporzionali. Su questi verranno segnati, tutti i capi punto di servizio necessari e fondamentali per il riporto delle cale, e delle lunghe. Iniziamo dal piano che ospita i capi punto 1 e 2, del modello: traslati nello spessore sottostante, con la stessa aperture del compasso - al limite, a risicare lo spigolo di base-, vanno a segnare l'ultimo segmento utile, praticabile, nella cornice del gesso. La stessa operazione va fatta nella costa del marmo, con maggior facilità. Il massello, ha una migliore agibilità nel contenere tutto il gesso. I segmenti dei punti “1 e 2” saranno traquardati con la livella, e prolungati fino agli spigoli dei vertici del particolare poliedro, come nel piano soprastante. IL punto “3” è soggetto allo stesso prolungamento, e il suo segmento sarà predisposto secondo “l'orizzontale” stabilito dalla livella. Tutti i lati, (adiacenti, opposti e consecutivi, assumono la stessa direzione datagli dalla comune ampiezza, obbligati ad incontrarsi. [Nota: i punti “1 e 2” , oltre alla loro proiezione ortogonale, confermano la loro posizione, anche incrociando le distanze dei punti - “1 e 2” - dagli angoli]. Dopodiché dal piano i capi punto 1-2-3 si possono incrociare le misure in tutte le direzioni, in alto e lateralmente. È tempo di insediare i puntoni e programmare le campate utili al lavoro preparatorio della smodellatura. Dai capi punto nel piano, dal perimetro e dagli spigoli, si incrociano le lunghe e le cale per mettere i primi puntoni e, da questi, i primi capi punto nei rilievi.

IL PLINTO ANGOLI CARTESIANI.

Il plinto nell'architettura è un basamento a pianta quadrata, figuriamolo anche come un poligono rettangolo; è il nostro massello. Ne rammento l'immagine, per proporre una particolare idea, quella che raffigura lo schema degli assi assonometrici, con le intersezioni dei tre piani di riferimento, che servono a definire le tre dimensioni spaziali: larghezza, profondità, altezza. Applichiamo, anzi ricopiamo, questo sistema di misurazione sugli assi utilizzando gli angoli e gli spigoli del nostro massello ( quelli di base e quelli laterali ). Sui tre spigoli uscenti da uno stesso vertice identifichiamo gli assi, quello laterale, perpendicolare ai due della base ( larghezza e altezza ). Sono le dimensioni del parallelepipedo rettangolo, aventi origine in un angolo della base, dove si intersecano. È il nostro blocco, un poliedro che ha lati ed angoli comuni, perciò al vertice di questi possono essere determinati tre assi coordinati ( intersezione di tre piani di riferimento) utili alle nostre particolari misurazioni. Lo schema è assunto come pretesto e solo per la comprensione della tecnica che si intende adottare. Per questo dobbiamo prospettare le dimensioni del particolare poliedro: le sue facce sono i poligoni; mentre i lati ed i vertici sono, rispettivamente, gli spigoli ed i vertici del poliedro; dai quali le tre dimensioni assonometriche: per valutare una parte della larghezza, una maggiore data dalla lunghezza ed infine mettere un punto ( misura ) nell'altezza reale dello spessore, che è lo spigolo laterale (perpendicolare), al confine tra il modellato ed il piano che lo contiene. Questo confine, parallelo ai lati di base (spigoli ), sarà tracciato sugli assi cartesiani, per inserire più facilmente i capi punto, su un perimetro che è a delimitare le facce laterali; sempreché modello e marmo siano dianzi predisposti. Si procede riportando dal modello un misura sulla larghezza ed una sulla lunghezza, convenientemente calcolate come capi punto di servizio. Si riparte dall'altezza, riportando un'altra misura dal modello: è l'altezza del rilievo - lo spigolo che delimita, in contiguità con altri, il fondo del modello e la tavola del gesso. Sullo spigolo va conficcata una bulletta ( chiodo a testa larga ) al limite con l'elaborato. Abbiamo insediato un'ottima cala, che ci consente di costruire, sul modello, il primo dei puntoni indispensabili alla smodellatura. La cui altezza corrisponde all'estensione dei campi di proiezione. Uguale altezza avranno gli altri puntoni, in modo da coprire il piano di lavoro. A seconda di come emergono le composizioni, possono essere inserite, in campi strategici, asticelle metalliche (chiodi), per meglio punteggiare e controllare il modellato. Abbiamo dato per scontata la perfezione, massima, del modello che di solito è in gesso. Se lo è come i tagli del nostro spessore predisposto, tanto di guadagnato. Altrimenti, nell'impossibilità di aggiustamenti si cambia tecnica.

Comunque, tutte le composizioni in rilievo hanno un fondo dal quale emergono. È sui bordi della lastra in gesso, al vertice degli angoli, che è possibile inserire i capi punto. Se non lo hanno, un piano lastra ben perimetrato e spessorato, lo possiamo sempre predisporre.

Sperimentato questo sistema non è detto che non si possa applicare ad un blocco per delle statue. Il piedistallo a base rettangolare o quadrangolare si presta moltissimo a questa operazione, se abbiamo l'avvertenza di utilizzare il piano lastra del gesso per disegnarvi la dimensione della lunghezza e della larghezza della figura, poiché per l'altezza, lo spessore, è pensabile che si possa utilizzare la base del modello, che normalmente contiene la figura. Non cambia nulla se alcune sue parti svettano più in alto del piano del piedistallo. Il marmo, naturalmente, dovrà essere segato corettamente ed assumere la forma di un parallelepipedo rettangolo.





CONTEMPLARE IL LAVORO, GUARDARE NON è SUFFICIENTE

Ogni lavoro da farsi manifesta una propria originalità, non presenta, in tutto e per tutto, le stesse identiche soluzioni. Stiamo esaminando un qualsiasi rilievo, in gesso, e la sua possibile riproduzione con i puntoni. Può presentarsi come una “crosta” (lastra in marmo poco e male segata), e non perfettamente perimetrata e squadrata. Oppure un perfetto modello, i più, riprodotto a regola d'arte, con un fondo perfettamente stampato e incorniciato regolarmente. Nel primo caso se le sue dimensioni sono modeste lo si dovrebbe fissarlo su un piano lastra come si usa con molti altri modelli.

Il secondo caso è disponibile, per la sua regolare geometria ad essere usato con più risorse tecniche in maniera polivalente.

Iniziamo con il modello imperfetto: se è sovrapponibile su un piano lastra, è agevole porlo all'interno di un perimetro regolare (rettangolo). Altrimenti occorre sfruttare gli angoli, insediando abilmente al loro vertice dei capi punto, con bullette, in modo da formare un poligono regolare e poterlo riportare , debitamente proporzionato, sul marmo; o in scala 1:1 se è dal “vero”.

Nel caso di una produzione maggiore o minore del modello, si usa il triangolo di proporzione, cominciando a disegnare, fissandoli, perimetri simili. Abbiamo descritto alcune tecniche, altre precisazioni seguiranno.









Precisazioni sui PUNTONI.

Le triangolazioni debbono essere strategiche funzionali alle zone dominate dai puntoni, per aumentarne l'efficacia delle misure, sia delle lunghe sia delle cale e la loro precisione ( è giusto sfruttare le coste del marmo e del modello, ed anche le sporgenze del modellato ). Poi è consigliabile insediare dei capi-punto, sempre sul piano, alcuni prossimi ai lati del lavoro, per effettuare agevoli triangolazioni, e semplificare il riporto delle misure lunghe, lasciando ai puntoni solo il compito delle cale. Soprattutto se il lavoro è di notevoli dimensioni, insediare capi-punto di servizio, che interfacciano con quelli dei puntoni, è una logistica che semplifica il lavoro. L'altezza del puntone, dall'intersezione con il piano ad angolo retto, può avere una distanza variabile, per cui le misure proiettive dal capo-punto al piano possono essere più lontane o più vicine. L'operazione effettuata con il compasso misura l'ipotenusa, di un virtuale triangolo rettangolo, del quale un cateto giace sul piano e l'altro si identifica con la verticalità del listello/puntone. E' facile prevedere ( v. Teorema di Pitagora ) che, aumentando le misure dei cateti, si aumenta contemporaneamente anche l'ipotenusa. Nella sua semplicità questa considerazione ci porta ad indicare il seguente accorgimento: le altezze dei puntoni vanno previste già sul modello, scandagliando bene le zone di dominio e il loro limite ( orizzonte proiettivo ), per adottare misure più esatte. Va' da se che quando queste sono più vicine al piede del listello la loro misura è più garantita. Ne consegue che la gittata del compasso privilegia la linea più breve che unisce fra loro due punti dati. Per questo motivo, trattasi di individuare il ragionevole limite di campi o zone di ogni puntone per operare in sicurezza.

E' opportuno chiarire cosa si intende per LEGAME DELLE TRIANGOLAZIONI NELLA SMODELLATURA, adottiamo una logica riadattata alla nostra tecnica: " operazione topografica (mappare: figurare un luogo nelle tre dimensioni prospettiche). Abbiamo preso in prestito questa definizione, con lo scopo di chiarire il nostro intento: individuare, sul piano diverse posizioni date nel modellato, legandole a quelle di numerosi punti ben collegati tra loro. Questo sul piano, ma noi siamo interessati a trovare un punto nello spazio, cioè un piano, come se dovessimo individuare, tutte le volte, il vertice di una piramide, a base triangolare. Per questo motivo il lavoro preparatorio dei capi-punto va fatto a regola d'arte, partendo sempre da un piano di riferimento.

Nello smodellare con i puntoni, indicare il vertice di una piramide può trarre in inganno, poiché le cale sono a spingere ( e qualche volta anche le lunghe ); dobbiamo considerare, come in questo caso trattasi di trovare una piramide in posizione rovesciata ( misure a spingere, dall'alto in basso come nell'operare su un oggetto concavo ). Mentre negli altri casi, i più comuni, sono a stringere verso il basso: il termine è sempre riferito al togliere roba cioè marmo per arrivare alla misura del punto da riportare.





PRECISAZIONI

L'esempio sopra citato, riferito ad una immaginaria rotazione delle squadre intorno al puntone, è stato fatto anche per mettere in risalto un'altra configurazione: " per trovare ogni nuovo punto sul marmo bisogna riferirsi almeno a tre altri punti analoghi già preventivamente stabiliti sul modello non disposti su una stessa linea: insomma, precisamente come si farebbe per determinare p. es.: il vertice di una piramide solida da costruirsi, mettiamo a base triangolare, e che dovesse risultar simile ad un'altra piramide data ed egualmente disposta", quella del modello. Ritorniamo su questa non sintetica regola, in maniera ortodossa, per sottolineare come, con le misure prese dai e sui puntoni, si può dare l'idea di un interazione che, con i movimenti dei compassi, consente di ottenere una percezione immediata delle intersezioni medesime, e come ogni punto corrisponde ad un piano trovato nello spazio. Qui, è il capo-punto al vertice del puntone. Difatti, la stessa postura dei puntoni, installati inizialmente dai tre capi-punto di partenza (1-2-3), spesso con l'ausilio di ( 4-5 ), rendono bene l'immagine di una piramide a base triangolare, e come le misure identificate negli spigoli laterali della stessa (linee di obliqua), possono ben rappresentare le misure che partono ed arrivano ai capi-punto dei puntoni. Impariamo dal mestiere e dal ragionamento nostro, come e fin dove, nel riporto dei punti, ci è consentito spingere l'apertura dei compassi e l'incrocio degli archi: tracciamo le intersezioni angolari vicino a 90°. Evitare che i tre capi punto siano troppo allineati, poiché non “tirano”, non sono più precisi. Abbiamo così definito il concetto di campo ragionevolmente utile, la cui estensione è più provata dall'esperienza che da un imposto limite teorico.

Diversa e complementare funzione è quella che assume il concetto di modulare: “ formato da elementi uguali o standardizzati, aventi dimensione multiple o in proporzione tra loro”. Impropriamente e spesso, ci riferiamo ad un altro semplice concetto: " non esiste una forma complessa che non possa essere ridotta a un'altra più semplice ". Un gruppo di persone può assumere una forma trapezoidale, oppure come La Pietà del Michelangelo quella piramidale; un mazzo di fiori la conica, e così via. Cosicché nei nostri campi o zone di lavoro si propone l'intaglio con quella schematizzazione delle forme e semplificazione che, nella scultura, prende il nome di sbozzatura, ed è una prima assestata al marmo con il riporto dei punti principali. Poi, lo smodellatore scopre e definisce sempre di più, nel prosieguo, le forme nei dettagli.





CHIARIMENTI

Alcune osservazioni utili.





Recenti pubblicazioni sostituiscono arbitrariamente, scambiandole, il trasporto delle misure effettuate per mezzo dei compassi, con quelle del pantografo o come esclusiva del triangolo di proporzione; e, riferite a quest'ultimo, dichiarano: “ che permette di considerare di volta in volta tre angoli o tre punti come i termini necessari per individuare il vertice di una piramide”. Ma non è così ! Il triangolo di proporzione “ permette “, esclusivamente, di riprodurre nella scala voluta il modello, operando poi, con il sistema delle triangolazioni e delle intersezioni. Il pantografo invece è utilizzato dallo smodellatore, per il trasporto dei punti dal modello al marmo e quando debba effettuarsi una statua di uguali dimensioni al modello, “ a ritratto “ o in scala da 1:1. Diversamente, come già osservato, è il metodo dei compassi, sia negli ingrandimenti sia nelle riduzioni, che prefigura per il trasporto di ogni punto, la piramide. La tecnica è completamente diversa dal pantografo. Pur lavorando sulle stesse figure geometriche solide, solo con i compassi, lo smodellatore, osserva la regola delle tre misure ( lunga, profondità e cala ) per individuare un piano ( un punto ) nello spazio, anche nel caso di un medesimo lavoro a ritratto. Nell'opera di smodellatura sono migliaia i punti necessari ad una buona riproduzione; è qui che, per ogni punto, si determina, prefigurandola, il vertice di una piramide a base triangolare. Lo scolpire è un concepire, individuandoli e metabolizzandoli, piani nello spazio.

Diversa è la copiatura di un disegno sul foglio, rappresentando, per mezzo delle intersezioni, delle figure geometriche piane, le cui linee e punti sono contenuti sullo stesso piano. Rammentiamo alcuni presupposti: a) per due punti passa una sola retta e da essa infiniti piani ; e per tre punti, non allineati, un solo piano. Proviamo ad immaginare una porta o sportello girevole i cui cardini coincidono con i due punti di una retta: il loro movimento è di 360°, in qualsiasi piano di proiezione verticale/orizzontale e obliqua, come individuiamo una loro posizione ( grado di apertura ) presente in una stanza, se non abbiamo una terza misura di riferimento? Lo smodellatore, con l'ausilio dello sbozzatore, scandaglia il blocco, mettendo i primi punti guida ( capi-punto ), riportandoli dal modello, in maniera che possa realizzarsi la statua nelle volute dimensioni. Vi è sempre, nella partenza, un piano di riferimento, ottenuto con tre punti non allineati: due alla base, uno in cima alla testa della statua (argomento ampiamente trattato nelle tecniche di lavorazione ). Vediamo come si opera con il pantografo. Immaginiamo il blocco come se fosse un contenitore: una stanza è un esempio maggiorato del nostro parallelepipedo, c'è il piano del pavimento ed il soffitto, oltre le pareti; così, in maniera più appropriata e ridotta , una vasca da bagno lo è, se pensiamo ad un corpo che vi si immerge totalmente e sopra di esso si chiude il velo o il piano dell'acqua, come se fosse un tetto. Poiché nella riproduzione, il marmo deve poter contenere completamente la figura, si inizia individuando i piani del modello e del marmo, che sono il detto velo dell'acqua, in modo che i tre punti di ciascuno lo rappresentino e formino, con la linea o piano dell'orizzonte, lo stesso angolo visuale ( a livello ). Si comprende facilmente che la nostra partenza utilizza il piano in alto del blocco per contenere tutte le forme della figura sottostante. I tre capi-punto non allineati, che indicano il piano, sono posti alla superficie, due alla base ed uno in cima alla testa della statua e del modello. Sopra di essi, adeguatamente combacianti, sono i tre puntali posti all'estremità della croce, che sono la base portante, e piano virtuale, di tutto l'apparecchio ( detto pantografo o macchinetta). Le misure si prendono trasportandole dal modello al marmo, muovendo in blocco tutto lo strumento: dopo aver fissato - tramite un morsetto, al regolo verticale della croce, sempre all'altezza voluta - un altro regolo, alla cui estremità è innestata un'asta di ottone, che può muoversi sia in senso verticale che in senso orizzontale e sorreggere un braccio di ottone manovrabile in tutte le direzioni. Il braccio comprende una punta di acciaio scorrevole, che viene fermata quando tocca un preciso punto del modello, così si ricavano tutte le misure desiderate.

Inizia così lo scandaglio col fissare i punti principali, ricavando le larghezze, le altezze e le parti basse; poi lo smodellatore, lo scultore e tutte le altre figure proseguono l'opera. Talvolta è necessario abbassare i tre capi-punto del marmo, se quelli del modello – cioè il piano da loro prefigurato – lasciano sporgere fuori ( al di sopra ) gambe, braccia o altre parti della statua. L'intaglio e l'arte del levare è possibile quando c'è materiale, in dialetto “ roba”, per scolpire le parti esistenti nel modello. Ricordiamoci della vasca d'acqua, se un parte anatomica sporge fuori, è anche fuori dal blocco. Significa che ci siamo “mangiati” il lavoro.

SBIANCARE IL MARMO:

(1) Per renderlo nuovamente bianco creare un composto di 1 bicchiere d’acqua – 1 bicchiere di succo di limone – 1 cucchiaio di bicarbonato. Applicare sul marmo e con una spazzola a setole rigide (non di ferro), strofinare con cura, sciacquare con cura ogni gradino, prima di passare allo scalino successivo.

(2)Una volta finito, mettere del bicarbonato sui gradini di Marmo e bagnare (non in modo abbondante), così da fare una sorta di poltiglia, spalmarlo con uno straccio sui gradini e lascia agire per circa 15-20 minuti (il bicarbonato pulirà la porosità del marmo) successivamente sciacquare con cura e asciugare con uno straccio, possibilmente di lana.

Essendo un Marmo esterno, è consigliato ripetere la procedura del Bicarbonato (punto 2) almeno due volte al mese, così da tenere pulite le porosità del marmo, che sono le più difficili da pulire con una sola passata di straccio imbevuto in acqua e sapone di Marsiglia (utilizzare questa pulizia nelle settimane alterne a quella del Bicarbonato).Altri rimedi da provare per la Pulizia del Marmo:

Rimedio1: Pulizia generale marmo - l’acqua migliore per pulire il marmo è l’acqua distillata, con dell’aggiunta di sapone di Marsiglia. E’ consigliato non usare né l’aceto, né dei detergenti, considerando il loro contenuto “acido” che potrebbero rovinare i marmi, se non fossero puliti immediatamente.

Rimedi 2: Il marmo bianco - Preparare una soluzione di 1/2 tazza di perossido di idrogeno (acqua ossigenata) e tre cucchiai di succo di un limone. Applicate su tutta la superficie del marmo con una spugna umida. Lasciate agire per qualche ora e successivamente lavate il marmo con acqua e asciugate con un panno di cotone. Infine, applicate un velo di cera. Rimedio 3:Macchie sul marmo - Per rimuovere le macchie, imbevete uno straccio con del perossido di idrogeno (acqua ossigenata al 3 per cento) strofinate con cura le macchie e lasciate riposare per un paio d’ore e poi risciacquate con un panno umido.







SCULTURA

1. Precisazioni

Una illusione si espande, come una coltre di nebbia nel mondo accademico e scolastico e più in generale sull'ambiente della scultura, è l'uso rigido del robot, l'apparecchio automatico programmabile che con il suo cincischiare lavora giorno e notte. Ciò aggiunge alla meccanizzazione ulteriore tecnologia rispetto al recente passato, artisticamente non utile, perché mortificante, accettabile solo per taluni lavori standard e al cospetto di uno scarso valore aggiunto, che, in seguito, la manualità dovrà ripristinare. Questo è il debito sovrano, sia nei confronti della bellezza artistica di un'opera, sia nei confronti di una perfetta esecuzione di tutto ciò che si vuol rappresentare. E ci fermiamo qui, non andiamo oltre: nell'affermazione di uno stile, di una personalità, di un sentimento. Con il robot, siamo dentro o abbiamo superato l'antico conflitto tra lo scultore ( che lavorava la pietra ) e l'intellettuale che creava? Ci riferiamo ad un servizio meccanico, dato a coloro le cui idee, spesso, taluno rappresenta, in modo sbrigativo e superficialmente, in creta o con altri materiali. Oggi gli sarebbe sufficiente un disegno o una compagine di vario genere, per aumentarne lo spaccio. Dietro questa tendenza si nasconde un grave impoverimento della cultura del marmo. Fino a snaturarne le qualità del comunicare della cosa o qualcosa. Si è lacerato un rapporto, in primo luogo, con la qualità e la resa della materia, dimentichi perfino della finalità esecutiva dell'opera e la sua primigenia destinazione. Una rottura consumata industrializzando il rapporto tra arte e mestiere; i quali un tempo, convenivano e si miglioravano nella loro capacità di mutuarsi, fino a consumare il mestiere prima della formazione accademica, dove si saldavano in questa sfida, in quel corpo a corpo, che vedeva l'artista ad essere artefice e realizzare le proprie opere. La tecnica non è mai ininfluente, rispetto alla realizzazione di un'idea o di un sentire; non lo è per la necessità di comunicare, tra umani, precisamente quella cosa e non, occasionalmente, altro. È come la percezione anch'essa legata all'esperienza, e fissata nella nostra mente mediante alcuni percorsi psicologici che li unisce e li mutua, mano a mano, mediante il gioco di umori, e del sentire che cancellano o richiamano alla memoria immagini ed oggetti completandoli, secondo il sapere di ognuno. Tutto ciò è influente nei confronti del contesto e del linguaggio usato, e non è indifferente sull'utilizzo della materia e dei ferri ( utensili ) adoperati. Non sono la stessa cosa una diversa qualità dell'intaglio o della levigatura rispetto ad un altra più finemente o rozzamente lavorata, fino a far scomparire la bellezza del modellato di una trama e renderlo bolso. Questi particolari rappresentano la pelle o textùre ed offrono molteplici ritmi nell'esporsi alla luce, rappresentando una particolare ed irripetibile valenza segnica. La separazione tra arte e mestiere mostra confini molto labili, anche quando si è voluto relegare l'aiuto dell'artigiano a semplice lavoro di fatica, mentre permaneva un ampia necessità di interpretare “ l'idea “ e di pensarla in pietra, ricercando una perenne sintonia tra inventore ed esecutore. E' evidente che, il tutto, si gioca sulle infinite possibilità di linguaggio e sulla qualità della valenza segnica, perciò si assiste ad un recupero del mestiere ed il ritorno al blocco da parte di valenti artisti. Nasce la necessità di impadronirsi di tutti i procedimenti di esecuzione della scultura e di far tesoro di tutti i segreti che le varie tecniche offrono, per far valere una propria valenza stilistica, rispettando anche il contributo dell'artigiano e senza mai perdere il controllo della lavorazione. Non si finisce mai di imparare il gioco delle linee e dei riflessi, nelle varie differenze dei contrasti: nel “ raspare “, lucidare, o lo scurire ed “ impastare “, con l'incisione dei vari ferri, subbia, gradina, ugnetto ecc... L'utilizzo delle tecniche non è mai neutro, c'è il rischio di sterilizzarne la spontaneità e di produrre figure anonime tal quali a dei manichini.





2. Precisazioni





ANGOLO E TRIANGOLO DI PROPORZIONI.





Nell'utilizzo del triangolo di proporzioni , il trasporto dei punti, per quanto fedele, può lasciare diversi margini di imprecisione, soprattutto se non si opera, come si deve, nell'inizio del lavoro e nei passaggi dal modello alla statua da eseguirsi, oppure quando vi è una scarsa manualità. Certamente, si sopperisce a questo inconveniente con la pratica e la padronanza del mestiere.

Con più facilità, sul foglio da disegno, trattandosi di linee e figure contenute sullo stesso piano, utilizziamo meglio l'angolo riduttore ( o di ingrandimento ) per trasportare tutte le misure utili, segnando le parallele alle distanze prefissate con il massimo di fedeltà. Al contrario, nel lavoro di scultura, trattandosi di figure solide con infiniti piani, si ricorre all'arco tangente per evitare l'enorme e confuso affastellamento di parallele, susseguenti la retta che limita le misure date.

Va da sé che nei laboratori è disagevole l'utilizzo delle squadre e impraticabile eseguire un numero infinito di parallele. I punti da trasferire dal modello alla statua sono diverse migliaia ( una costellazione) : ogni punto necessita di tre misure, poiché per rilevare il punto di un piano nello spazio concorrono tre intersezioni, che incrociandosi riproducono il vertice di una piramide, a base triangolare, simile a quella data sul modello di riferimento. Alla fin fine, per i praticanti consigliamo, nell'utilizzo del triangolo di proporzioni, l'operazione che prevede una diversa soluzione del problema geometrico: e cioè l'utilizzo del triangolo isoscele in sostituzione di quello rettangolo. Sostituiamo questa riproduzione, che prevede il riporto delle misure con l'arco di cerchio tangente, ricorrendo al più facile doppio passo previsto nel primo. Come già illustrato nel primo dei precedenti esempi esecutivi.

Ritorniamo a ragionare sulle regole esistenti nell'ingrandimento tra statua e modello, verificando alcune ipotesi.









CONGRUITA' TRA LE MISURE DELLA STATUA E DEL MODELLO: RAPPORTI DI SIMILITUDINE.

Trattandosi di triangoli simili, non avendo la stessa estensione, le restanti corrispondenze sono totali: proporzione tra tutti i lati e congruità per gli stessi angoli. Consideriamo le misure ( altezze ) di una statua di cm 615 e di un modello di cm 120:

1°). E' evidente che le prime triangolazioni servono per inquadrare e circoscrivere il lavoro, individuando tutti i piani più esterni, con misure che ne definiscono il contorno, sottraendo mano a mano il superfluo. [tipico dell'arte di Michelangelo l'atto tecnico del levare, che assume per lui il valore di un atto spirituale; è la sublimazione dell'idea che lo precede]. Perciò l'impostazione iniziale è importantissima, oltre a definire i capi-punto maestri, il voler restar fedeli all'idea ed al senso della sua ispirazione. Risolviamo una prima difficoltà: una statua di oltre sei metri ci obbliga all'utilizzo di compassi di pari grandezza? No. I compassi e il “maranghino” sono più maneggevoli e precisi su misure ridotte; pure convenienti anche sul triangolo di proporzione. Vediamo, di seguito, al punto 2°). La congruità affermata ci porta a sostenere che tutte le misure da trasferire dal modello al marmo mantengono un rapporto fisso, uguale a quello iniziale tra le altezze di statua e modello, e cioè tra i rispettivi lati AB:BC; nel nostro caso cm 615:120 = 5,125. Impostiamo questa prima ipotesi: Se tracciamo, su una lastra, i lati del triangolo in maniera ridotta, dividendo per 3 le misure 615 e 120, avremo rispettivamente AB = 205 e 40 = BC. L'inconveniente di questa operazione sembra essere il limite di cm 40, che corrisponde alla riduzione del modello reale di cm 120. Come operiamo con l'arco tangente, se effettivamente abbiamo la necessità di misure maggiori 70, 80 cm, rispetto a quella ridotta? La soluzione è nel prolungamento delle semirette AB e AC oltre il triangolo, nella quale permane basilare la corrispondenza dianzi affermata tra i lati, che nel rapporto – 205: 40 – mantengono lo stesso quoziente di cm 5,125. Come si vede prolungando il lati ( semirette ), cambia solo il disegno, infatti se 205 : 40, nel rapporto mantiene lo stesso quoziente di cm 5,125, la misura extra scelta aumenterà in proporzione ( es. cm 80, sarà parallela a BC del modello, e corrisponderà a quella relativa della statua di cm 410 su AB = 80 X 5,125). Quindi è verificata - a mo' di esempio - anche la possibilità di andare oltre il triangolo o angolo prefissato per il principio della similitudine: i lati corrispondenti sono in proporzione e gli angoli corrispondenti sono congruenti. ( Se disegniamo, nel Teorema di Talete, il prolungamento delle due trasversali, che tagliano il fascio di rette parallele, la figura diventa un triangolo, formato da due semirette che hanno un punto in comune: cosicché tutti i segmenti ottenuti sono in relazione di proporzionalità diretta, formano dei triangoli e mantengono la loro congruità all'infinito ). La riduzione di un terzo del triangolo, dianzi posta, può essere utile in prosieguo: quando – sempre nel nostro esempio - le zone della produzione scultoria saranno divise in porzione di spazi (almeno tre ) e si potrà lavorare più agevolmente con piccoli compassi ed un triangolo ridotto, poiché riprodurre statue colossali, da modelli modesti, è un'impresa rischiosa, ove ogni minuscola differenza potrebbe produrre enormi guasti al lavoro. In questo caso si ricorre all'impiego di altre tecniche, se non si ha la possibilita di ingrandire il modellino a dimensioni ragionevoli.

Più semplice la soluzione del secondo metodo, anche se in quella precedentemente esposta si è voluto ribadire il teorema fondamentale. Nel secondo esempio, tracciamo la stessa misura ridotta di AB ( cm 205, un terzo della statua ). Ma a differenza del primo, lasciamo invariata quella del modello, di cm 120, che nella sua integrità consente la totalità dei riporti. Ne consegue una parcellizzazione del rapporto su AB pari ad un terzo, che è ripristinabile all'intero: a) semplicemente moltiplicando ogni misura ottenuta con quoziente delle altezze, statua cm 615 : 120 = 5,125 valore proporzionale. Cosicché ogni misura presa sul modello dovrà essere moltiplicata per questo valore e riportata sul blocco ( es. una misura dal modello di cm 81 corrisponderà a 81 x 5,125 = cm. 415,125 ); b) prendiamo la stessa misura dal modello, cm 81, che, trasportata, con l'arco tangente, sul triangolo dato, sarà uguale a cm.138,375; questa dovrà poi essere moltiplicata per 3, se correttamente completiamo l'operazione, ripristinando la riduzione precedente effettuata. Quindi 138,375X3 ci darà, esattamente, cm 415,125, che è la misura da riportarsi sulla statua. Nella fase iniziale dello sbozzo, la riduzione su esposta su una sola delle altezze, conviene alla praticità e maneggevolezza nel riporto delle misure con i compassi, dovuta alla loro minor apertura. In seguito, le campiture saranno notevolmente ridotte.

DAL RETTANGOLO AL TRIANGOLO ISOSCELE.

Un metodo facile per evitare le linee parallele ed anche l'arco tangente, continuando ad operare col compasso, è quello del procedimento sul triangolo ISOSCELE:

3°. Sempre su AB tracciamo l'altezza della statua, purché, non sia, maggiore o uguale al doppio del modello ( ) : con apertura di compasso pari all'altezza di quest'ultimo, facendo centro in A e B – la grandezza della statua - si descrivono due archi che, intersecandosi nel punto C, disegnano un triangolo isoscele, i cui lati uguali saranno proporzionali al lato AB. Una qualsiasi misura del modello, per essere proporzionale, dovrà portarsi su AC, poniamo sia una lunghezza AM; indi tenendo ferma in M la punta del compasso si porta l'altra punta su AB, il cui contatto sarà N. La lunghezza NA sarà quella da portarsi sul marmo.

Abbiamo ripetuto la descrizione di questa tecnica per ribadire che, su ogni lavoro scultoreo, si può e si deve ragionare sull'approccio migliore da seguire. E questa dianzi indicata è una tecnica facile e precisa. Non solo è semplice, ma ribadisce la necessità di ridurre le dimensioni delle operazioni. Abbiamo già visto l'utilità di ridimensionare di un terzo le grandezze date. Qui, sul triangolo isoscele, oltre alla semplicità dell'operare, indichiamo una tecnica che dalle piccole dimensioni si possono sviluppare, in scala, maggiori grandezze estremamente precise. Infatti con il triangolo isoscele possiamo lavorare con modelli appena maggiori di un quarto o di un sesto dell'altezza della statua, purché l'altezza del modello si aumenti un numero di volte sufficiente a superare la metà della statua, due o tre a seconda dell'esempio dianzi indicato: infatti su AC è necessario portare la misura raddoppiata o triplicata, per sviluppare la misura da riportarsi sul marmo.

Un altro sistema è quello delle scale naturali, un'idea che è prossima alla scala Ticonica ( scala metrica attribuita a Tycho Brahe ). Si prendono due righe diritte di legno o di alluminio: l'una l'altezza della statua di cm 615, l'altra di cm 120 quella del modello, dividiamole entrambe per un egual numero di parti uguali, a partire dall'origine 0 verso destra, ognuna delle quali corrisponde all'unità grafica nel rapporto voluto. Poniamo che il loro divisore sia 30, avremo che ad ogni 4 cm del modello corrispondono cm 20,5 da riportarsi sul blocco; mentre su un prolungamento, a sinistra, suddividendo una di questa unità ancora per 10 otterremo dei sottomultipli, che sono misure infinitesimali: 4 millimetri rappresentano cm. 2,5.

Il rapporto grafico è costante – cm 615: 120 = 5,125; cm 20,5 : 4 = 5,125; così per tutte le altre misure. Praticamente abbiamo diviso le altezze del modello ( cm. 120 : 30 ) e della statua ( cm. 615: 30 ), in tante unità grafiche nel rapporto voluto, poi abbiamo suddiviso i loro segmenti estremi (delle due righe) in sottomultipli ( di regola 10 parti ). Le suddivisioni riportate, Trenta per i multipli, sono i segmenti del rapporto suddetto; mentre le suddivisioni per dieci rappresentano i sottomultipli dei rispettivi segmenti ( nell'ordine di 30 e poi 10 = 300 ). Insomma è consentito dividere entrambe le altezze in parti uguali, segnandole su due righe diverse, mentre per praticità è consigliabile evitare aste gigantesche, non sempre utili, almeno nel prosieguo, una volta esperite le misure maggiori. È possibile ridurle mantenendo le corrispondenti unità di misura ed il loro rapporto. Riepiloghiamo: Presa la misura di un punto, sul modello, presentiamo l'apertura del compasso sulla riga, poniamo che essa sia di 25 parti ed una piccola eccedenza, avremo una misura da riportarsi sul marmo di 25x20,5 = 410 ( ricordiamoci che abbiamo, dianzi, stabilito che 4 cm del modello corrispondono a 20,5 cm della statua ): per l'eccedenza che può essere di 4, 5, o più millimetri, non ci resta che rapportarli alla proporzione stabilita ( es. mm. 4 = 2,05 cm.). Questa suddivisione dei segmenti (sottomultipli del modello e della statua) in dieci parti uguali, precisano e determinano le unità di misura corrispondenti. Normalmente queste operazioni, oggi superate, facilitavano il lavoro iniziale; poi si procedeva con compassi più piccoli ed un triangolo minore, compatibile con la suddivisione della scultura e con capi-punto posti strategicamente. Aggiornandoci, per le statue di grandi dimensioni, ma anche in generale, consigliamo di operare con il metodo del così detto punto falso ( vedi tecniche nelle tesi ), partendo dai due capi-punto della mezzeria. I capi-punto sono la guida più sicura per impostare e portare a termine un buon lavoro, va da sé che il perimetro di partenza da essi delimitato va gestito con estrema precisione. Abbiamo sostenuto che non possiamo usare la tecnica delle parallele riportando, con le squadre, quelle numerosissime e necessarie; ma alcune sì, le possiamo riportare, e senza l'ausilio delle squadre (desideriamo strafare). Il procedimento è semplice, come condurre una perpendicolare sulla retta A B, dopo aver descritto un arco di cerchio tangente, il cui raggio ( AC ) è uguale all'altezza del modello. Operiamo come segue: Su A B portare l'altezza della statua; centro in B con apertura del compasso pari all'apertura del modello e descrivo l'arco a cui si tiri la tangente A C. Sempre con centro in B, apertura del compasso leggermente maggiore alla precedente misura, che è l'altezza del modello , segno, sulla linea A C, una intersezione a destra ed una a sinistra; dopo di che, con la stessa apertura, incrocio i compassi sopra la tangente A C. Unisco questo punto di incrocio con B ed avrò il triangolo rettangolo A B C. Soprattutto con questo metodo e senza l'ausilio delle squadre, data una misura qualsiasi, posso trarre tutte le parallele al lato B C desiderate; ed anche oltre, prolungando i lati del triangolo.









MORTAIO UNA PRODUZIONE SCULTORIA

DELLE ALPI APUANE

ESTETICA E LINGUAGGIO VISUALE





Mortificante considerarla produzione umile ed utilitaria.



La lavorazione dei mortai, spesso considerata di scarsa professionalità comportava, al contrario, particolari doti tecniche ed una buona specializzazione. Almeno nei suoi impieghi artigianale/industriale, - al di là dei singoli spartani che incrementavano la loro busta paga con un “gobet”, - vedevano Carrara al centro delle maggiori produzioni e spedizioni, comprendendo tra i lavori speciali di marmo anche le tinozze da bagno. Certamente, il suo utilizzo si collocava, nell'ambito della cucina e della farmaceutica, ma ciò non poteva giustificare una produzione così massiccia, con misure e regole particolarissime. Dalla seconda metà dell'Ottocento, via via scemando fino alla scarsa produzione odierna, si assiste ad un suo utilizzo in architettura, nel designer, in particolari decorazioni di facciate, pavimenti e rivestimenti. A parte la particolare bellezza in sé, dovuta alla sua originale fattura, il mortaio, offre notevoli possibilità decorative: in una facciata ponendoli uno vicino all'altro, si possono comporre, ad incastro, varie figure geometriche, linee e forme che si alternano, in un gioco di pieni e vuoti ( composizioni modulari) ; ma anche contrasto di colori, se si riempiono i mortai con un impasto di materiali pigmentati o disposti a mosaico. Altresì, si possono delinearsi processi di configurazione, osservando alternativamente ora una immagine, ora un'altra nello sfondo, adattandoli alla nostra esperienza ( ognuno vede ciò che sa'). Così, la percezione visiva del nostro mortaio in una composizione modulare su un piano, tende a completare la forma e a darle un significato, prediligendo alcune configurazioni su altre personalizzandole. Le cosiddette figure ambigue esemplificano questo aspetto: poiché la nostra attenzione può concentrarsi solo su una figura alla volta, selezionando quelle più semplici e definite; oppure quelle per noi più significanti. Come percepiamo le immagini, ad esempio di fronte alla composizione di una balaustra? IL nostro cervello seleziona, immediatamente, la plasticità e linearità delle colonnette, oppure il disegno nello spazio vuoto tra esse.

Desideriamo, qui, dimostrare che il mortaio è un manufatto nobile e non artigianato minore come si suol dire. Insomma, non stiamo parlando del mortaio di discutibile fattura, riempito di acqua o di mangime e buttato nel pollaio dai nostri avi. Nossignori, stiamo parlando di un Re, che ha antenati illustri (archetipi). Le misure commerciali, con le quali viene nominato, sono estremamente precise, siano esse riferite al palmo di Genova, che al piede inglese: nella prassi mediamente di cm. 25 il primo e 30 il secondo. Entrambi appartenenti al sistema dodicesimale, divisibili per 12 e quindi cm. 2 per l'oncia genovese, di cm. 2,5 il pollice inglese. Così quando si dice del 10 del 12 del 16 e 22, si nomina un mortaio riferito a precise tabelle, esposte alla futura domanda della clientela. Un Re mortaio, che rispetto alle misure ed alla qualità del marmo, che sia duro e fresco, ha il suo peso ed il relativo prezzo. Le misure sono prese nel loro maggior diametro superiore, ma su l'orlo esterno, escluse le orecchie. Il mortaio, come la scultura, ha un proprio canone, che stabilisce le proporzioni tra le varie parti.



UN CANONE LA PERFEZIONE DEL BELLO IDEALE



Solitamente, i mortai si ricavano da piccoli blocchetti tagliati e squadrati e nella misura desiderata. Se vogliamo agevolarci nel lavoro, il parallelepipedo ottimale ha un quadrato alla superficie, dove è possibile ricavare le dieci parti ( se comprendiamo anche le diagonali, con le orecchie; ma otto parti il lato del quadrato ). Lo stesso quadrato è alla base, anche se qui avremo una percentuale di sfrido, perché le parti, da ricavare, sono quattro; le altre facce hanno una altezza uguale a sei parti. Le misure canoniche sono le seguenti ( vedi disegno n° ).

La parte superiore è composta di 10 parti ( 1: 10 , come detto ) : di cui n ° 6 l'invaso, n° 1 + 1 il bordo esterno/interno delle circonferenze del mortaio; n° 1 + 1 sono due delle quattro orecchie. La profondità dell'invaso è di 4 parti più un mezzo ( 4 + 1/2 ), mentre lo spessore della sua base ( il fondo ), è di parti 1 più un mezzo ( 1 + 1/2 ). Il diametro della circonferenza della base è di 4 parti, e la sua distanza dall'altra, diametralmente opposta, è di 6 parti, che corrisponde all'altezza del mortaio. Il sistema di calcolo è molto semplice: abbiamo detto che, usualmente, i mortai si fanno sulla misura richiesta ; per calcolare l'unità di misura è sufficiente dividere per otto, il maggior diametro superiore, preso sull'orlo esterno all'invaso, che corrisponde alla misura del lato del quadrato. Se poniamo il lato del quadrato è di cm. 12, l'unità di misura è di , 12: 8 = cm. 1,5 . Meno difficoltoso è partire da una unità di misura standard a piacere; ad esempio di cm. 2, di 2,5 o 3, e moltiplicarla con le parti indicate o adeguandole alla grandezza del marmo a disposizione.



Tecniche di lavorazione.



Si procede annerendo, con carboncino ed erba grassa, la parte superiore del mortaio. Abbiamo di fronte la prima faccia quadrata , tracciamo con il punteruolo le diagonali, poi, passando dal centro, nella sua esatta metà, il diametro. Su questo, dal centro, con la stessa apertura del compasso si indicano i punti 1 e 2, a piacere; indi, con centro in questi, con altre intersezioni ( 3 e 4 ), si alza l'altro diametro perpendicolare. Dal centro, con apertura del raggio pari a 3 parti ( diametro sei ), si disegna il cerchio dell'invaso. Dall'incrocio di questa circonferenza, con le perpendicolari ai lati ( diametri ortogonali ), si ricavano i punti 5 – 6 – 7 – 8 . Da questi, altre intersezioni uguali al raggio, si rettificano, meglio precisandole, le diagonali. Sempre dal centro, con raggio 4 parti, si traccia la circonferenza dell'orlo esterno. Le intersezioni 5 – 6 – 7 – 8 sono necessarie per puntare il compasso alla unità di misura indicata e disegnare le orecchie.

Sui lati del nostro quadrato rimangono i punti di incontro delle diagonali e dei diametri, da tutti questi, manovrando con il compasso, si cerca il centro del quadrato alla base, speculare all'altro in alto. Da qui, con apertura di raggio 2 parti, si segna il cerchio di fondo. Il nostro mortaio è disegnato e visto come se fosse in pianta : con la gradina e con lo scalpello, contorniamolo, ricavando dall'inciso, un intaglio di almeno due centimetri, dopo di che si comincia a scolpire il tutto. Un primo accorgimento è quello di mettere il mortaio in una morsa, appoggiato su uno dei lati, in costa. Il secondo, è quello di eseguire delle tracce, a mo' di linee guida, che iniziano dall'attacco delle orecchie sulla circonferenza esterna e proseguono, le tracce, fino ad incontrare la circonferenza alla base. Si tenga conto della rastremazione voluta, quando si inizia ad unire le due basi, per dare forma ad un solido molto simile ad un tronco di cono. Se non si è già provveduto prima, a svuotare il catino, intagliato nel bordo interno, lo si può fare in corso d'opera, dopo aver abbozzato il lavoro e prima della definitiva rifinitura.



DALL'ESTETICA AL LINGUAGGIO VISUALE

DI SEGUITO IL PROGETTO PER LA PERFETTA ESECUZIONE DI UN MORTAIO CLASSICO, CON LA POSSIBILITA' DI VARIARE LE MISURE A SECONDA DELLE DESIDERATE RICHIESTE.



DALL'ESTETICA AL LINGUAGGIO VISUALE. Nella scultura, il segno, che è una diretta emanazione dell'uomo, non è la parola, lo scritto, il gesto convenzionale : è una sfida con la materia, una lotta. Il togliere, l'incidere, il trattare in un certo modo le superfici, esposte al gioco della luce e dello spazio, sono l'affermarsi di una tensione tra l'uomo e la materia, sperimentando nuovi ed avveniristici linguaggi. La texture, anche nel mortaio è importante: certe incisioni, porosità, grumi incerti, fatti con la subbia, la gradina, l'ugnetto o lo scalpello, sono passaggi dove la luce esprime tanti modi diversi di essere e di comunicare della materia, non solo estetici. Perciò spesso viene impreziosito con piccole figure in bassorilievo, motivi ornamentali, anche in una certa fattura delle orecchie. Perché così lo viviamo e sentiamo, a dispetto di molti che lo considerano solo in termini utilitaristici : “ ma in fondo in fondo, non è altro che un'utensile da cucina”. No è molto di più.

Un oggetto piace per se' stesso, per le sensazioni gradevoli che suscita in noi, alla vista e al tatto. Sicché, la sua armonia anima in noi ricordi piacevoli: le emozioni vissute, la memoria di abitudini a noi care, familiari, un sentimento composto di usi e tradizioni. Insomma nell'oggetto noi amiamo tutto ciò che vi abbiamo messo di noi: archetipi che corrispondono alla nostra esperienza, a processi di sviluppo e di adattamento all'ambiente, alle motivazioni percepite ed a ciò che avviene intorno a noi e nel mondo. Il mortaio, con il suo pestello, più o meno rudimentale, è una delle forme più antiche usate dall'uomo.

" Perciò la fascinazione artigianale deriva dal fatto che è passato dall'intelligenza delle mani di qualcuno, che vi ha lasciato il suo particolare segno con il suo lavoro e la sua sensibile passionalità, e lo ha stigmatizzato con un oggetto originale e irripetibile. E' la fascinazione di ciò che si è creato, di quel pezzo unico in un momento unico".

Apprendiamo da queste eccellenze, l'unitarietà dei pregi che il marmo accoglie nel suo grembo, giacché la sua materia contiene in se e per sé quel germe sublime che ogni buon artista sa' trovare con l'opera sua.

A volte mi sorprendo ad osservare vecchie lavorazioni, vestigia del passato, e comincio a fantasticare. E... mi piace, quella pattina giallognola che il marmo assume con il tempo, nei luoghi chiusi. Mi estranea dal momento reale. A tal punto che, mentre più mi fisso a osservare, altri sensi sono presi da particolari suoni materici: da quei particolari passaggi dei ferri sulla materia che ognuno di essi produce: ecco! Ora la gradina scorre velocemente, a momenti incontra piccole impuntature, modesti lasciti di materia in piccolissime gobbe (le tocco con la mano). Sono modeste vibrazioni, quasi a rappresentare lo stato d'animo dell'artista: tal volta leggero e franco talaltra stanco. Avverto che la mano deve essere rilassata e ferma quasi ad incontrare la dolcezza del verso, per un ottimo impasto; altrimenti l'impeto e l'ostinazione incontrano durezza nello eccessivo prender le cose di petto, avventatamente. Così si snoda un percorso della lavorazione che dev'essere unitario e ritmato nei modi, molto più a scorrere che a zappare (impuntature del ferro), se desideriamo la materia più arrendevole e morbida nella musicalità dei toni. Così lo scalpello dal taglio dritto ed affilato traccia già i primi percorsi, parallelamente allineati, lungo il piano; dianzi pregustando lo sfrigolio del raschietto sulle gobbe o rigature tra una corsa e l'altra.

TECNICHE DEL TELAIO E AFFINI

Nel vocabolario la parola telaio ha definizioni varie, la più utile ci è sembrata questa: incastellatura di regoli i cui assi formano una linea chiusa. E' molto simile alla struttura che sostiene la porta, sulla quale sono ordinatamente fissati i due cardini. Anche quella di un campo di calcio ne rende bene l'idea, con le sue porte al limitare dell'area. Queste sono le immagini più prossime al metodo e alla struttura che indicheremo nel lavoro di smodellatura. Taluno identifica questo sistema del telaio con quello detto delle squadre. In effetti tra il termine telaio e squadre vi è una possibile verosimiglianza. Ma per queste ultime il termine più affine è quello di cornici, poiché soprastanti a coronamento di una figura o altro motivo architettonico.

Nel telaio abbiamo un piano di appoggio a terra, costituito da un banco di lavoro idoneo : il tutto è formato da supporti di travicelli o casse in legno ( tipico nei laboratori ). Su uno di essi è adagiato il blocco; mentre il modello, solitamente, viene fissato ad una lastra di appoggio, posta su un altro banco da lavoro adeguato. I due soggetti, marmo e modello, collocati ordinatamente sul piano di posa, sono sottoposti ad una propria livellatura e traguardati; mentre si dispongono allineati e contrapposti frontalmente i due telai sia del modello, sia, separatamente, quelli della statua da farsi; nel bel mezzo stanno i piani di lavoro. I telai, sono tra loro opposti e configurano perimetri di campi, quelli da loro proiettati e singolarmente definiti, che hanno lunghezza, larghezza e altezza, maggiori delle dimensioni di entrambi i piani di posa menzionati.

Per dare un'idea del lavoro preparatorio, immaginiamo due letti, ad una piazza come i nostri di casa: l'uno, normalmente più piccolo, contenente il modello, l'altro, la statua. Ognuna di queste figure giacenti sul proprio letto, sul suo piano, distesi sulle coperte, come se fossero delle persone. Ogni letto che si rispetti ha anche, da capo a piedi, le sue due sponde, poste frontalmente. Queste, per ogni soggetto menzionato ( i telai ), dobbiamo prefigurarle predisposte in scala di proporzione; e, sempre sul filo dell'immaginazione, pensarle livellate entrambe da un proprio piano virtuale, passante per i bordi estremi delle sponde, che le collega e si predispone parallelamente al piano geometrale ( o di terra ).

Così raffiguriamo nella nostra mente dei parallelepipedi, posti l'uno accanto all'altro ed ognuno con le proprie dimensioni atte a contenere sia quelle del modello sia quelle del marmo. Abbiamo descritto, con ciò, anche lo stesso posizionamento dei telai, prefigurando nell'insieme il perimetro circostante al modello ed al blocco. Proseguiamo nella posa in opera, segnando sulle traverse ( secondo la larghezza dei telai ) tante suddivisioni uguali - ad imitazione delle tacche, a tal guisa, presenti nell'asta di ogni stadera - purché ognuna delle quali corrisponda all'unità grafica del rapporto designato, cioè conforme alle grandezze in scala della statua e del modello. Si auspica sempre l'impiego, nella traversa dianzi menzionata, di una riga in legno spessa e con un profilo perfetto e non alterabile ( è il lato, in alto, dell'intelaiatura ). Siccome ciò che è desiderabile non sempre è dato, si consiglia di fare molta attenzione nel dividere e posizionare le tacche, previste. Queste si segnano di traverso in tutto lo spessore del legno, poiché su di esse, frontalmente, da un telaio all'altro, in lunghezza, corre e si posiziona la cordicella del filo che all'estremità cade a piombo. Facoltativamente, sempre sugli stessi, è possibile tracciare, se il lavoro lo richiede, e per tutta la larghezza occupata dalle tacche, una linea orizzontale che le incrocia a 90 gradi, sulla stessa faccia alta di ogni traversa dei due telai. Le linee e gli incroci dovranno essere perfettamente paralleli e biunivoci. L'utilizzo di queste intersezioni avviene raramente, solitamente si utilizzano pochi incroci (due alle estremità, uno al centro, utili per controllare l'iniziale assetto del lavoro sulla statua). Preminenti sono i profili emergenti delle traverse, affinché siano a squadra, e possano dettare precise linee perimetrali nei relativi campi di lavoro. Un tempo si incidevano le tacche anche sui laterali dei telai per individuare meglio i piani ed i livelli della scultura, semplicemente posando la cordicella sui fermi, indispensabili, delle aste verticali; ricordiamoci dei livelli della nota " vasca d'acqua " di Michelangelo. Ognuno di entrambi i posizionamenti sono importanti, poiché assumono il metodo della doppia proiezione ortogonale, e ciò non esclude anche un aggiunta ai due piani principali (terzo quadro laterale).

A naso rammentiamo il Vasari sul metodo in cui si toglie la pietra superflua con gli scalpelli, pigliando le misure dal modello di quanto sporgono fuori le gambe e le braccia e via scalpellando nel procedimento dello sbozzo. Il raffronto dei livelli è con una vasca ricolma d'acqua, nella quale viene immersa una figura di cera supina; e così, a poco a poco, come la scultura nell'intaglio, verrebbe ad uscire dal sasso, regredendo, allo stesso modo, facendo defluire gradualmente l'acqua, si avrebbe la stesso effetto scultoreo sul modellino, scoprendo man, mano, la figura: “ nella maniera cui si caverebbe d'una pila d'acqua, pari e dritta, una figura di cera: ché prima verrebbe il corpo e la testa e le ginocchia, et a poco a poco, scoprendosi et in su tirandola, si vedrebbe poi la rotondità di quella fin passato il mezzo, e in ultimo le rotondità dell'altra parte “.

Grossomodo l'intuizione sull'angolo visuale, pianta e fianco è una visione che somiglia moltissimo al nostro telaio, poc'anzi descritto, sia per le cale in pianta che i piani individuabili sul fianco della vasca. Sennonché, la descrizione delle squadre “su le Vite” ci sembra incomprensibile ed incomparabile.



Come Si Opera.

Terminato il lavoro di preparazione, si prende una cordicella lunga quanto basta, con all'estremità due pesi adeguati e la si appoggia sulle tacche, quasi a rappresentarne il loro prolungamento - prima su un lato della traversa, poi sull'altro - a coprire tutta la distanza dei telai: non è complicato, le parti incise sulla costa ben traguardate e numerate sono in sincronia, mentre i telai sono uno di fronte all'altro: si tratta di porre la corda sulle stesse tacche prospicienti collegandole. Con esse operiamo un ultimo controllo: poiché portano lo stesso numero in entrambi i lati dei telai, si segna la corda, con un pennarello, laddove incrocia con le linee orizzontali e/o gli spigoli. Va da sé che a misure uguali, prese nelle stesse speculari estremità dei due lati, corrisponda una perfetta posizione parallela dei telai e delle linee d'orizzonte contenute. Predisposto ciò si murano definitivamente i telai, cementandone i piedi. LA PARTENZA è IMPORTANTISSIMA; lo smodellatore scandaglia il blocco, per vedere se vi può uscire la statua nelle volute proporzioni; assesta l'insieme del lavoro riportandone i punti principali dal modello. Soprattutto si prendono, dalla cordicella, le cale, in modo che le distanze dei piani del modello e del marmo siano uniformemente proporzionali alla proporzione generale fra modello e statua da eseguirsi. Si possono adottare due modi di iniziare il lavoro. Partire in autonomia sul modello e sul blocco come tante delle classiche tecniche, mai escludendo le cale della cordicella dei telai. Riporto dei “tre o dei due capi punto della mezzeria”, con intersezioni su piani simili, in larghezza e lunghezza, proporzionati tra modello e marmo. Sia chiaro che le cale guideranno tali riporti di posizionamento. IL secondo modo è dato quello dell'ausilio delle tacche; la partenza è dal piano dei telai: si fissano, alle estremità della riga - nella nostra ipotesi (0-20) - su una delle due linee orizzontali, i noti capi punto 1 e 2 ; sull'altra opposta, nella sua metà si mette il capo punto 3. Lo si segna al n° 10 se le tacche sono 20. Uniformati i due piani (per tre punti non allineati passa un solo piano), ora apriamo i compassi sulle tacche estreme, si riporteranno, a destra ed a sinistra, sul piano del blocco le misure dei capi punto presi dal modello tracciando su esso due archi che con l'intersezione del “3”, sul piano, si segneranno i relativi 3 e 4, scelti tra i capi punto più emergenti. Sfruttiamo anche la posizione della cordicella, visto che, da sopra il lavoro, si possono proiettare linee ortogonali che, non solo misurano la profondità, ma indicano anche la posizione esatta del punto, che è confermata anche dalla sua distanza misurata dalle tacche. Iniziamo il lavoro con il primo dei due esempi, già mettendo mano al trasporto dei punti principali predisposti sul modello: il riporto inizia da quelli collocati circa alla metà di esso; l'uno sul fianco destro, l'altro sul fianco sinistro. Da qui, dalle sponde, partono le prime delle tre intersezioni . Con apertura di compasso uguale alla distanza del primo punto, laterale destro, dalle due tacche di mezzo, dei telai, si effettuano le prime intersezioni ( due più la cala dalla cordicella sovrastante, che sarà perpendicolare al punto ); poi si provvede a riportare l'altro, a sinistra, con identica operazione. I due punti rappresentano gli estremi laterali, che utilizzeremo per trasportare i capi-punto situati uno alla testa e l'altro ai piedi del modello, per facilitarci le intersezioni delle misure lunghe sul piano. In questo modo si è anche cominciato ad individuare i vari campi di lavoro. Altri capi-punto strategici possono essere individuati per migliorare la geometria dei campi necessari ad un fedele trasporto dei punti. Fatte queste prime operazioni, si possono escludere le misure dei compassi dalle tacche, passando la direzione della manovra ai capi-punto del modello e della statua da eseguirsi, ad eccezione delle cale. Come già accennato le cale son state CALIBRATE; spieghiamolo meglio : dalla cordicella, secondo la postura del modello, si sono prese le misure a quelle parti della figura che spiccano più in alto, e alcuni punti sottostanti, per verificare la proporzione diretta dei due volumi. (Praticamente iniziamo dalla parte di maggior svettamento del gesso, e con questa misura (la sua distanza dalla corda) proporzioniamo le cale del modello e del marmo.). Poiché tutti i piani del modello, nel loro regredire o avanzare debbono corrispondere, proporzionalmente, a quegli stessi da eseguirsi nella figura, che sono quelli del riporto dei punti necessari a riprodurre la statua che il blocco deve poter contenere).

RIEPILOGHIAMO:

Tutti possono valutare le tante difficoltà di comprensione: un conto è l'esperienza pratica, un conto la teoria. Proviamo con un altro tentativo di semplificazione. Sarà puerile dirlo, ma abbiamo delineato un recinto delimitato dalle proiezioni congiunte e frontali dei telai, come se fossero le due porte di un campo di calcetto, collegate a confini ben delineati (con perimetro rettangolare). Lo pensiamo a correre in alto : sopra di noi a livello delle traverse, come una rete di fili a tramare, similmente ai vecchi telai nelle tessiture. Così lo abbiamo immaginato, però spostiamo un solo filo, a tutto campo e sulle tacche, che è la cordicella, ogni qual volta desideriamo prendere una misura. E' proprio da questi fili che si ottengono le “ cale” , misure importanti per individuare, perpendicolarmente, un punto nella figura di un solido. Abbiamo simboleggiato, ancora una volta in maniera esageratamente grande, un poliedro. Un campo sportivo non somiglierà mai ad un blocco; ma uscendo dall'immaginario, la sostanza è una sola: il marmo deve poter contenere congruamente il modello. Ritorniamo alla realtà, quella all'interno dello spazio sopra i banchi di lavoro, dove giacciono il modello e la sua riproduzione, ognuno con il proprio telaio nel rapporto voluto.

[Resta l'idea di un sistema operativo che ci ricorda l'uso delle squadre o delle cornici, poste in alto ortogonali alle mura dell'edificio, aventi divisioni nei tre lati del perimetro aggettante i corrispondenti fili a piombo. Ricordiamolo, solo per rilevare la loro apparente diversità, e il loro impiego misto con il telaio a terra, per ragioni di spazio, come si vede in una fotografia storica. Mentre le squadre sono fissate alla parete, ad angolo di 90°, e poste sopra la testa delle figure erette, sia del modello sia della statua per ricavarne le profondità. Qui, le misure si prendono dal filo di una cordicella tesa a piombo e mobile nel perimetro delle squadre].

Nel sistema che descriviamo e che più correttamente chiamiamo del telaio, l'esecuzione è più precisa. Intanto perché il telaio ha proiezioni simili a quelle ortogonali al piano ( cale ). Non dimentichiamoci che la cordicella percorre tutte le tacche linearmente dal 0-0' o dal 2-2' in crescendo; ma può farlo anche di sbieco, da 0 al 10', mettendosi in relazione compositiva, diagonalmente, con parti da riprodurre. Rispetto alle cornici, il telaio domina più stabilmente tutta l'area, come se si sovrapponesse, ad un elaborato riprodotto in pianta; eppoi se la distanza dei telai tra loro non è molta, si può anche alternare la corda a piombo, con robusto ed inflessibile righello. E', inoltre, facilitato il riporto per la posizione più stabile della corda, che consente meglio l'apertura dei compassi tra essa ed il manufatto in questione, per la possibilità di cadere ortogonalmente ( a piombo ) sul lavoro; di più, nel poter valutare, anche con i laterali del telaio, il livello dei piani, le sporgenze, i rientri della figura, riportando una corda tesa su alcune tacche predisposte nei fianchi dello stesso. Si è da più parti, indicato l'esperimento di Michelangelo, con l'immersione di un modellino in una vasca d'acqua, lo rapportiamo all'esempio dianzi fatto, quello dell'estensione del filo laterale, poiché questi si pone sulla medesima traccia del livello dell'acqua: che è un livello sugli scorci dei piani che la figura, vista di profilo, staglia, quando il fantomatico pelo dell'acqua si alza o si abbassa.





TELAIO : ALTRE TECNICHE

Bassorilievi e Altorilievi

Questa applicazione del telaio può essere fatta prefigurando un impianto più modesto per i bassorilievi e altorilievi, mantenendo inalterate tutte le applicazioni e regole che riguardano l'uso del triangolo di proporzione. In tal caso i supporti, con funzioni simili ai telai, sono su spessori nel piano lastra del modello; alzati sopra lo stesso a copertura delle parti che più si ergono: sono lastre di varia altezza a seconda del volume del lavoro, che vanno “inmasticiate” sia nel modello che nel blocco secondo le proporzioni date all'ingrandimento o alla riduzione. La loro altezza, rispetto al maggior picco verticale del marmo e del modello, sempre in proporzione, deve poterli superare in maniera tale da consentirne l'agibilità dei compassi dalla cordicella ai piani, per praticare la misura delle cale (profondità). I piani di partenza debbono essere posti a livello e, il tutto, compresi i supporti delle corde, ha da essere traguardato. Su questi, si procede incidendo sulle loro coste o spessori delle tacche, che saranno incrociate ( a 90°) da due linee, dette di orizzonte, che limitano il campo dei due opposti estremi. Su queste linee, si faranno delle divisioni rapportate alla loro lunghezza (tacche) e, sul lato omologo, del modello e del blocco, su lati omologhi, si segneranno, alle estremità, due capi punto. A metà delle tacche si indicherà la linea di mezzo, da entrambi le parti, e sul lato opposto ai due capi punto, si segnerà un capo punto nella mezzeria delle tacche. IL tutto, nel mantenimento del rapporto proporzionale generale. Nel fissare i primi capi-punto, si seguono le stesse indicazioni della tecnica del telaio: con il riporto dei primi capi punto laterali sul piano, presi dalle proiezioni delle tacche, di mezzo e poi via via tutti gli altri, a cominciare da quelli di mezzeria opposti ed ortogonali ai primi. Una volta che si è avviata l'opera con i capi-punto della mezzeria, il telaio si utilizza solo per le cale, osservando un modulo unico: può trarre in inganno, un sistema misto di misure: lunghe e profondità prese, un po' dalle tacche, un po' dai punti sul piano.





UNA DIVERSA IMPOSTAZIONE DEL TELAIO.





I TELAI sul piano terra, se lo spazio nel laboratorio è scarso, possono essere posizionati in un altro modo da quello tradizionale, facendo ricorso ad un sistema misto: mentre il telaio sovrastante il blocco rimane fisso a terra, quello del modello, può essere, in tutta la sua altezza, posizionato dritto ed aderente alla parete più prossima. A questa, e sopra la testa della statua, è fissata, alla parete, una squadra o cornice, che pur mantenendo la stessa proporzione, rispetto al rapporto di grandezza stabilita con il telaio, è parte di un sistema detto delle gabbie.

Con ciò necessitiamo di ulteriori delucidazioni, mai troppe ed inopportune.





COME SI PUO' INDIVIDUARE UN PIANO NELLO SPAZIO.





A) Ricordiamoci che ci stiamo occupando delle figure solide, i cui punti non giacciono tutti sullo stesso piano ( ogni piano divide lo spazio in semispazi, ognuno dei quali contiene infiniti punti ). B) Concetto di piano si intuisce ma non si definisce; sono facilmente intuibili i seguenti postulati: 1) un solo piano nello spazio può essere determinato, tra gli altri, per tre punti non allineati. 2) Per due punti A e B di una retta passano infiniti piani, ma uno solo di questi passa per un punto P, assegnato, non appartenente alla retta. E' lo stesso principio " della piramide a base triangolare", per trovare il suo vertice occorre riferirsi almeno ad altri tre punti non allineati.

C) INTERSEZIONE: L'intersezione di due figure è la parte che hanno in comune: perciò una retta che non appartiene in alcun modo ad un piano, ma lo interseca, ha solo un punto in comune con esso.





Il principio di B. Cavalieri.





Il principio di Cavalieri pensa che un solido si possa considerare formato da tante lamine sottilissime sovrapposte: due solidi uguali o diversi, ma formati dallo stesso numero di lamine, dello stesso spessore, con superfici equivalente, essi avranno la stessa estensione. L'enunciato: " dati due solidi, se è possibile disporli, rispetto ad un piano, in modo che ogni piano parallelo a questo li tagli secondo sezioni equivalenti, i due solidi sono equivalenti ".

Questa teoria la valutiamo estensivamente, nella stessa visione che tutti i corpi hanno una loro dimensione solida (occupano una parte di spazio ) e sono racchiusi da poligoni o figure piane di diversa dimensione. Più che al risultato della equivalenza ( prismi aventi altezze uguale e basi equivalenti avranno la stessa estensione ), il nostro obiettivo, solitamente, è quello di riscontrare la similitudine: esclusivamente di uguale forma. La consideriamo diversamente perché il nostro modello, indipendentemente dalla postura e dal suo rapporto in scala, lo immaginiamo imprigionato in un parallelepipedo, che è la sua riproduzione nel blocco di marmo. Noi siamo interessati alla manualità del levare il superfluo, per copiare il modello, partendo dall'unicità del punto di vista frontale e dal succedersi dei piani. Si inizia predisponendo l'intaglio dal piano alto, e mano mano, scoprendo le parti più sporgenti, si scende fino alle rotondità posteriori del piano di base. Il lavoro viene affrontato frontalmente, ma contemporaneamente, si opera anche sul profilo della statua per mantenerne i contorni e la giusta postura, secondo le proporzioni stabilite e mantenendo l'organicità della composizione.





1.RIPRODUZIONE DI SCULTURE PER MEZZO DEL TRASPORTO DEI PUNTI. 2. - INTAGLIO DIRETTO ( "COSIDDETTO AD OCCHIO" ).





Di solito con il bozzetto si fissano le prime intuizioni, precedute da uno studio comprendente diversi disegni di approccio. Dai disegni, l'idea si concretizza con un primo modellino in creta, al quale segue la formatura con la colata in gesso, seguendo il metodo della forma persa ( raramente si utilizzano gessi di grandi dimensione ). Sembra si sia perduta la tradizione del CANOVA – salvo rare eccezioni – per l'uso di modelli di pari grandezza al vero (monumentali), che offrivano il vantaggio di valutare tutte le incidenze: proporzioni, luce, linguaggio della postura; concorrenza dei volumi e vuoti, linearità. Il ricorso a piccoli modelli è la norma, poi si affida l'opera a maestranze esperte. E' possibile che l'artista intervenga, con l'ultima mano. La presenza del modello, da tradurre nelle proporzioni stabilite, oltre ad una visione generale e particolare, offre anche l'ingegno di trasferire dal modello al marmo tutte le misure necessarie per la buona riuscita dell'opera, con il pantografo (macchinetta) o con l'ausilio dei compassi.

Anche L'INTAGLIO DIRETTO prevede un qualche studio più o meno approfondito, predisponendo qualche bozzetto di riferimento; tranne che per il lavoro cosiddetto commerciale che ha una tradizione artigianale e/o industriale. Qui, l'utilizzo di un disegno, stampe e/o fotografie è, da tempo, prassi consolidata. Le copie dei rilievi, sul marmo, si possono riportare con la tecnica dello spolvero tamponando i contorni forati di un disegno - o semplicemente ricalcandolo. Soprattutto nell'arte cosiddetta sacra e funeraria, l'intervento è diretto, d'acchito, utilizzando molteplici sistemi per " impastare" l'opera e la sua pulitura, che avvengono con frese e moderni macchinari.

Ma l'ottimo artigiano va oltre il modello, il disegno e ciò che deve essere rappresentato: “tutto è già nella sua mente”, magari è parte del suo gran praticantato, di un lavoro di routine. Non inventa e non scopre cose nuove, perché è più propenso a continuare il verso di una tradizione e di un manierismo locale. Ha solo una grande padronanza del mestiere e della particolare specializzazione, che lo porta ad interpretare, nel migliore dei casi, pregevoli idee. Dal punto di vista tecnico la praticità lo porta a considerare il regredire dei piani e quindi toglie via via, quella quantità di materia che gli consente di scoprire la geometria della figura assai prima dei particolari e di eventuali sotto squadra. E sa' bene, che se la figura deve essere cavata, ciò può avvenire curando le proiezioni da tutti i lati; ma uno solo, quello frontale, che è il punto di vista principale, è il più disposto, e marcato, con migliori riferimenti, di stacco e di ripresa. Il procedere va' valutato da più punti di vista: lo è il riporto di alcune misure certe, tracciate nel marmo; oppure il passaggio di diverse figure professionali che intervengono dalla sbozzatura alla rifinitura. Nei rilievi, permane il penoso dilemma di come mantene i punti di riferimento del disegno, nei suoi contorni e nei suoi stacchi. L'antico sistema di trapanatura in profondità è rischioso e poco produttivo.





LA CITTA' DI CARRARA E LA CRISI DEL MARMO. LABORATORI A RISCHIO. IL BIANCO DI CARRARA MATERIA PRIMA PER UNO SPEZZATTINO MADE IN CINA. LAVORAZIONI IN LOCO?

È il momento di ritornare alle nostre migliori tradizioni, a quel periodo AUREO, classicheggiante, che fece di Carrara una città unica al mondo: " il mestiere ", meglio i mestieri, non sono solo l'esercizio di una attività pratica: sono un sentire, con e verso la materia, sono una cultura, a tutto tondo, che ha fatto di Carrara una città unica al mondo. La bramosia del guadagno, del tutto e subito, ci ha portato alla crisi del prodotto finito, ben fatto. Si è perduto una cultura del segno, si è cancellato l'universo dei linguaggi, che si svilupparono nella dimensione temporale; siccome nella pittura, anche nella scultura e nella architettura, si sono manifestate imponenti configurazioni, fin dai primordi, nell'ampio mondo della comunicazione.





PRIME IPOTESI PER UNO STUDIO

UN buon disegno è il preludio ad un'opera ben fatta ( a regola d'arte ). Questo concetto, spesso, non è debitamente considerato ( c'è un rigetto su tutto ciò ciò che è troppo accademico e scolastico ). I nostri vecchi artigiani conoscevano bene le tecniche del disegno, sia quello della figura umana e dell'ornato; sia del metodo delle proiezioni ortogonali, che consente di indicare forma e dimensioni reali ( pianta, prospetto e fianco ). Il nostro ragionamento si soffermerà, generalmente, sulle riproduzioni delle statue di marmo da piccoli modelli. Quindi esempi di riproduzione e copie di disegno sulla figura umana; non escludendo esercizi concomitanti sulle figure a geometria piana. Ciò è inizialmente soddisfatto dalle copie di disegni con l'utilizzo dell'angolo e del triangolo di proporzione. Così, schemi di riproduzioni, ingrandimenti e riduzioni, nello smodellare e nella copiatura di disegni, esplicano e sperimentano un pratica ad ampio raggio. In entrambi i casi, occorre definire alcune linee generali all'interno di schemi geometrali. Partire da forme elementari, semplificando anche le forme più complesse : " non esiste una forma complessa che non possa essere ridotta ad una più semplice ( triangolare, trapezoidale, sferico, ovale, ecc.. )". Nello specifico, il blocco di marmo è considerato, grossomodo, un parallelepipedo: è composto di sei parallelogrammi, consentendo di utilizzare il migliore dei suoi piani per impostare il modellato. Ciò dopo aver predisposto anche il modello, adeguando il suo posizionamento al metodo del lavoro da farsi; poi, si inizia l'opera con i compassi. Dato un piano, stabilito similmente al modello, si comincia a trasportare, nel blocco, le misure necessarie, con tutti quei punti a distanza uniformemente proporzionali. E' possibile anche escludere l'utilizzo dei compassi e del modello, togliendo di acchito la materia, smodellando "ad occhio" direttamente. In questo caso il disegno ed il saper disegnare sono essenziali. Lo schema, simile alle proiezioni ortogonali, consente, anche nella scultura, di descrivere la figura in pianta, prospetto e fianco; segnando direttamente sul marmo, con il carboncino, e iniziando così la fase della sbozzatura. Ci sia consentito di segnalare alcuni esercizi utili, prima di affrontare la complessa materia della riproduzione delle statue di marmo, e l'utilizzo conseguente dei compassi e del triangolo di proporzione.





ESEMPI DI RIPRODUZIONI:

PER MEZZO DELLE INTERSEZIONI.





Scelti i punti A e B di una retta r tracciata fuori del modello, si congiungono i suoi vertici con A e B ; poi, in un altro foglio, è tracciata una retta r' per la riproduzione, e si riporta in A' e B' il segmento A B. Facendo uso del compasso e centrando in A' e B' si riportano le medesime intersezioni del modello. Questo uso dei compassi, trasportando tutte quelle misure e distanze, nelle proporzioni uniformemente scelte, sarà comune a tutti gli esempi.





PER MEZZO DELLE COORDINATE.

Tracciata nel mezzo del modello un retta r orizzontale, si proiettano, su questa, conducendovi le perpendicolari, i vertici della figura. Conseguentemente, si traccia sul foglio, destinato alla riproduzione , la corrispondente retta r', segnando con il compasso le misure prefissate.









RIPRODUZIONI PER MEZZO DELLE DIAGONALI DA UN ANGOLO.

Da un' angolo qualsiasi di un modello irregolare, si congiungono i vertici al miglior angolo di riferimento, che rimane suddiviso in altri angoli di minore ampiezza, dando vita ad un serie di triangoli. Come negli altri casi precedenti, si opera con i compassi nella riproduzione, riportando le misure nelle diagonali qui tracciate.









CON L'IMPIEGO DELL'ASSE DI SIMMETRIA.

Per riprodurre, ridurre , ingrandire disegni è ottimale rilevare l'asse di simmetria del modello e le sue distanze orizzontali e verticali conseguenti. Tutte queste misure, possono essere riportate, come nei casi precedenti, uguali, ridotte od ingrandite, a seconda delle scale di proporzione scelte. Il sistema è dei più semplici: si riportano sia nel modello, sia nella copia, le perpendicolari all'asse centrale: su di esse si riportano, simmetricamente, col compasso, le distanze rapportate alle scale scelte.









ANGOLO DI PROPORZIONE.

{RIDUZIONE}

Si costruisce, a piacere, un angolo acuto A - R- S. Sul lato R si porta la prima lunghezza A - B ( la misura maggiore tra quelle del modello ); mentre sul lato S si segna, con la riduzione, in SCALA, voluta, la distanza A - C, che si unisce ad A - B tracciando la retta da B a C . Dopodiché, si riportano su R le altre misure ( 1, 2, 3, 4..., quante ne occorrono), le quali si riconducono al lato S, tracciando tante parallele alla prima retta B - C ( avremo così le misure 1, 2', 3', 4', ecc.., che saranno CONGRUENTI).









INGRANDIMENTO.

Il procedimento è simile a quello precedentemente impiegato per la riduzione: ugualmente, la lunghezza maggiore del modello sul lato R ( A - B ); mentre la maggiorazione voluta si segna sul lato S ( A - C ), i quali si uniscono con una retta ( da B a C ). Tutte le altre misure del modello, riportate sul lato R, si ricongiungono al lato S mantenendosi parallele alla

retta B - C .

RILIEVI MARMOREI.

Nei lavori di ornato e nei rilievi marmorei le INTERSEZIONI, come nella riproduzione di un buon disegno, sono dirette e facili da eseguire: i punti trovati, uniti fra loro, formano le figure richieste uguali al modello ( o simili ). Nella lavorazione del marmo, oltre che, nel riporto degli incroci per lo sviluppo del disegno, dobbiamo tener conto dei piani e del loro degradare fin sullo sfondo. Consideriamo il piano di un rilievo ( di vario spessore), sul quale abbiamo tracciato il nostro disegno, con uno scalpello tondo ( tagliente semicircolare ), iniziamo ad incidere il disegno fissato ( profondità di almeno 1 centimetro ).

Eseguiti, in tal modo i contorni della figura considerata, si procede con gli sbassi, ricercando i piani strategici che possono, nel prosieguo, indicarci e conservarci sia gli assetti, sia i migliori contorni e valori plastici. Poiché, man mano che procediamo nell'intaglio, per la gradazione e scendere dei piani, i segni scompaiono, occorre lasciare, alle estremità del rilievo o sulle coste del suo spessore, le tracce originarie, per recuperare i riferimenti delle primarie intersezioni ( disegno ). Per tracce intendiamo i primi segni divisori della griglia disegnata, posti alle estremità e ai lati del bassorilievo; seguono le tacche, incisioni indelebili fatte con il punteruolo, sui più importanti indici di riferimento. Un altro metodo, quello più antico, consiste nel contornare, il disegno, con piccoli forellini, assecondando la profondità dei piani. Mantenere l'orientamento del disegno è estremamente utile anche per traguardare le altezze e per scoprire la gradazione differenziata dei piani. Si procede ad occhio, considerando, se vi è un modello, il punto di vista frontale (superficiale ), cavando quel tanto di marmo che gli è sufficiente per far arretrare e scoprire, parallelamente da un lato all'altro, prima le parti più sporgenti e in rilievo, poi, gradualmente tutte le altre.

Diversamente, un disegno o una foto possono solo essere interpretati, con l'aiuto dell'esperienza e del mestiere, non avendo, essi, riferimenti plastici concreti.





TECNICHE PARTICOLARI NELL'INIZIO

DEL LAVORO DI SMODELLATURA





Sul triangolo rettangolo.





Abbiamo già indicato – sulla sbozzatura/smodellatura – diverse tecniche in merito all'inizio lavoro, citandone l'impiego, anche sul triangolo isoscele e descrivendo le specifiche valenze di ognuno, con i relativi tempi di applicazione; e, nell'insieme, riguardanti statue di medie e piccole dimensioni. Le osservazioni che seguiranno, le dedicheremo a misure più grandi, colossali, di cinque o più metri. Consideriamo l'ipotesi di lavorare ad una statua di m 5 ed un modello di m 1, equivalenti a cm 500 e cm 100. I compassi, quando si confrontano con queste misure possono essere imprecisi e poco maneggevoli e presentare un quadro ottico fuorviante. Mentre un'ottica diversa e migliore l'abbiamo se sappiamo valutare i piani di rilievo delle figure, che sono paralleli e omotetici, con il loro rapporto costante, perciò possono essere pensati come soggetti e guida di una trasformazione proiettiva o proiettività. In tal caso la figura modello è trasformata nella figura simile della statua da farsi. Identica è la posizione dei piani nella loro gradazione differenziata, nelle parti più sporgenti, conseguenti l'unicità del punto di vista frontale. Perciò alla superficie ed alla base vanno individuati i relativi poligoni: equiangolo, equilatero o regolare purché corrispondano alle misurazioni di rito ed alle tecniche più volte menzionate. Così si risolvono i problemi costituiti dalle dimensioni del lavoro e del triangolo. Quando ingrandiamo o rimpiccioliamo una figura, operiamo in modo tale da mantenere inalterati tutti gli angoli del modello e della copia, mentre tutti i suoi segmenti vengono aumentati o diminuiti in proporzione: in definitiva non facciamo altro che costruire una figura simile a quella data.

Nel nostro caso, il termine figura, è riferito propriamente al complesso delle sembianze umane, oppure alla forma o aspetto esterno di qualche cosa: da fingere “plasmare” e nel significato tridimensionale di studio delle figure solide. Così nello scolpire il tutto è riconducibile ad una schematica immagine di forme geometriche: composizioni e fattezze particolarmente utili nella fase di sbozzatura. Operiamo trasformazioni di figure geometriche aventi la stessa forma, perciò più affiniamo la scultura, nel prosieguo del lavoro, sempre più la rendiamo simile alla copia.

Utilizziamo la similitudine dei triangoli, che hanno la stessa forma e gli angoli ordinatamente uguali, mentre i lati corrispondenti sono in proporzione. La loro definizione riassume la regola nelle riproduzioni in scala: ogni parallela ad uno dei lati di un triangolo, o angolo di proporzione, che intersechi gli altri due, determina con questi ultimi un triangolo simile a quello dato e divide gli altri due lati in segmenti direttamente proporzionali; anche la stessa parallela mantiene lo stesso rapporto con il suo corrispondente. Infatti dato un triangolo ABC, in qualsiasi punto del suo lato AB, se conduciamo la parallela DE al lato BC, avremo i lati corrispondenti in proporzione: AB: AD = AC: AE = BC: DE. Cioè siamo interessati ad un problema geometrico: dividere una retta data nella stessa proporzione in cui è divisa un'altra retta data; così come lo è la divisione di due o più segmenti, riferiti alla stessa unità di misura, in parti tra loro congruenti. Ad esempio dividiamo le altezze del modello e della statua per uno stesso divisore: ( cm 500: 2 = cm 250 ) e ( cm 100: 2 = cm 50 ), avremo da gestire due misure ridotte, fra loro sempre direttamente proporzionali, che ci consentono di lavorare, sia segnando il triangolo in un lastra; sia, come precedentemente descritto, segnando la mezzerie delle figure e mettendo ai loro fianchi il terzo e quarto capo-punto, fatti salvi gli spessori esistenti. Abbiamo indicato questa impostazione del piano, come quella del “punto falso “ , ciò però non esclude altri approcci, già esplorati; ma è nostra convinzione che questa preparazione, del terzo punto di servizio, sia la più facile: poiché abbiamo una linea longitudinale di mezzeria ed il controllo delle fiancate, con un piano funzionale che ci consente di controllare e calcolare con più esattezza il lavoro. Una ulteriore considerazione, dopo aver fissato il capo-punto 3: il lavoro procede con relativa facilità, perché le misure e l'apertura dei compassi si riducono ulteriormente, fissando, da subito, il capo-punto 4 nell'altra faccia del marmo. Possiamo ridurre ancora, eccovi altri esempi, le misure del triangolo di proporzione e, considerate quelle del marmo in cm 501 e quella del modello di cm 102, le dividiamo per tre. Troveremo due soluzioni corrispondenti. La prima, identica procedura dell’esempio precedente, dividiamo per tre marmo e modello : l'uno cm 501:3 = cm 167, l'altro cm 102:3 = cm 34 . In questo caso per misure maggiori, prese dal modello, superiori a cm. 34, possiamo usufruire del prolungamento delle semirette. La seconda, può verificarsi come un'eccezione utile alla regola, lasciando inalterata la misura del modello, che rimane com'è, segnando sul triangolo cm 102. Possiamo farlo con qualsiasi grandezza, dividendo solamente quella della statua (cm 501) : cioè dividiamo per 3 il lato più lungo, che assume il ruolo guida, l’ipotenusa, di cm 501:3= cm 167, adottando un particolare accorgimento; dopo aver rilevato una misura dal modello e sviluppata proporzionalmente con l'arco tangente, se, ad esempio, il risultato è di cm 75, dobbiamo - così come abbiamo diviso il triangolo - moltiplicarla per tre ( cm 75x3 = cm 225 ), che sarà la lunghezza reale da trasportarsi sul blocco, ristabilendo la congruità o valore sottratto dalla divisione iniziale. Occorre far molta attenzione nel caso di statue colossali, soprattutto se riprodotte da modelli molto piccoli: le riduzioni del triangolo, dianzi dette, mantengono una loro validità se utilizziamo, rispondendo alle difficoltà di un lavoro, sia la scala numerica, sia il sistema delle scale grafiche o ticoniche. Comunque, entrambe sono utili nel determinare più esattamente, anche con due letture, le proporzioni poste. Un sistema pratico è quello di dividere, in un egual numero di parti uguali, le altezze della statua e del modello, con la certezza di una proporzionalità evidente e corrispondente; ma vi è un altra importante congruità, che vedremo in altra specifica tesi, nella stessa divisione delle altezze tra statua e modello. Per ora, prendiamo le misure dianzi considerate: cm 501 e 102, dividiamole per 10 (o altro denominatore): avremo cm 50,1 e cm 10,2 che sono proporzionali o congrui tra di loro. Poiché ad ogni cm 10,2 del modello corrispondono, in scala, cm 50,1 della statua. E' possibile dividere ancora una parte di quel 10% ( 1/10 ), fino a misure infinitesimali. Ma è consigliabile, una volta esperite le prime suddivisioni uguali ed unitarie, costruire e servirsi del triangolo di proporzione. [ Nella considerazione di gestire, sempre un rapporto costante e immutabile, se dobbiamo lavorare su un modello piccolo ed una copia colossale, dovendo riportare le prime distanze, è consigliabile moltiplicare le misure del modello per detto rapporto, fintantoché gli spazi non siano ridotti ad una gittata media e l'apertura dei compassi più agevole. È preferibile, in sostituzione del triangolo, utilizzare un buon metro lineare; e su esso confrontare le prime misura da, moltiplicando, al.. Dopo disegnare e utilizzare il triangolo ridotto. La stessa adozione per le misure da grandi a piccole].





IL RAPPORTO PREFERENZIALE

SCALE NUMERICHE E GRAFICHE





LE SCALE di proporzione possono, essere NUMERICHE O GRAFICHE.

LA SCALA DI PROPORZIONE è il rapporto tra le misure lineari del disegno e le corrispondenti dell'oggetto reale che si deve rappresentare graficamente. Nel nostro lavoro l'oggetto è il modello/statua, qualche volta espressi da un disegno. La scala numerica è indicata con una frazione (1:10, 1:50, 1:100 ecc.).Il primo termine (numeratore) indica l'unità di misura nel disegno; Il secondo (denominatore) quante volte l'unità di misura corrisponde alla realtà. La scala grafica semplice si costruisce tracciando una retta, sulla quale si riportano tante suddivisioni uguali come abbiamo già indicato.

Si è richiamato queste elementari nozioni per introdurre una novità nel lavoro di smodellatura e nell'utilizzo dell'angolo o triangolo di proporzione. Cioè affronteremo, in seguito, un particolare rapporto di similitudine, che ci faciliti l'ingrandimento o la riduzione, in scala, di una scultura, con un valore costantemente evidenziato, tra lati corrispondenti, che si definisce “rapporto di similitudine”. In una statua di grandi dimensioni, per fissare alcuni iniziali capi-punto, è utile ridurre le misure a grandezze ragionevoli, per far si che l'apertura dei compassi sia alla portata di ogni lavorante: I maranghini lascino ai compassi, più piccoli, il compito di confrontarsi con misure dimezzate e campi di smodellatura sempre più brevi ( minori di un 1 metro ), nei quali i puntatore possa operare con sicurezza e maestria con compassi sempre più piccoli e maneggevoli. In statue dai 5 o 6 metri, è ancora possibile fissare un capo-punto intermedio, considerando che un maranghino può attuare misure precise intorno ai 3 metri e mezzo. Nella pratica comune si traccia nel modello e nel blocco la linea di mezzeria e fissati all'estremità di essa i due capi punto iniziali, uno alla testa e l'altro ai piedi della statua, si riportano prima su un fianco, poi sull'altro (di fronte), il 3° e 4° capo-punto. Di seguito si riportano tutti gi altri che sono molteplici ( una costellazione), come ampiamente spiegato nelle "Tesi".





IL QUOZIENTE DI DIVISIONE: FUNZIONE rappresentativa della proporzionalità diretta.

Due grandezze se sono direttamente proporzionali il rapporto fra un qualunque valore della prima ed il corrispondente valore della seconda è costante, Y : X = a, ossia Y = ax. Evidentemente se 1 cm cubo di marmo pesa g. 3, evidentemente 2 cm cubi peseranno 6 g, 3 uguale 9, e così via. In questa tesi siamo interessati ad un particolare rapporto preferenziale, quello di due lati corrispondenti di poligoni simili che hanno sempre lo stesso valore: tale rapporto si dice rapporto di similitudine. Le due altezze, nel triangolo di proporzione, quella della statua e del modello, mantengono un valore costante. Come utilizzarlo? Sarebbe gradito un quoto intero, con minor numeri infinitesimali, che si può ottenere con modesti accorgimenti centesimali ( ad es: 500: 3 – sarà 501: 3 = 167 ) quando è possibile. È altrimenti sufficiente anche il quoziente a meno di un millesimo, meglio se ottenibile con una buona calcolatrice. Principiamo dal rapporto di due lati corrispondenti AB:BC, che sono, ad esempio, l'altezza della statua m. 6 e quella del modello m. 1,20. Osserviamo che tutte le parallele a BC mantengono un valore costante nel rapporto con il corrispondente in AB: ciò significa che tutte le misure prese dal modello mantengono,in proporzione, lo stesso costante rapporto di similitudine. Infatti m. 6: 1,20 = 5, che è il quoto costante di ogni rapporto di similitudine: per cui una misura dal modello es. di cm 70 sarà cm. 70x 5 = cm 350 che dovrà essere riportata sul blocco. Ma in che modo? Negli esempi precedenti, abbiamo ridotto il triangolo di proporzione di 1/3 o di 1/2; e possiamo dividerlo ancora a seconda delle esigenze lavorative. La soluzione che si propone, di fronte a misure sovra dimensionate, riduce il trasporto delle lunghezze, applicando una tecnica semplice e diretta. Data una statua di m. 6 e di un modello di m. 1.20, si prendono dei compassi grandi( maranghino ) ed un metro a nastro di acciaio, flessometro, che una volta srotolato gli consente di mantenere una certa rigidità, e può essere utilizzato come se fosse una riga flessibile. Così si comincia così il lavoro: - si svolge e si fissa il metro , per tutta la lunghezza necessaria a riportare i primi capi-punto: nell'esempio dianzi citato, poco oltre m. 6, per agevolare le misure, 1-2-3-4, iniziali, da prendersi con il maranghino; - si è detto che il valore del quoziente è 5; perciò ogni misura presa dal modello va moltiplicata per 5. Poniamo sia cm. 73, avremo una misura di cm. 73 x 5 = cm 367,5, che con l'apertura del maranghino la prenderemo sul metro. Si è già accennato al trasporto, a rovescio, di un punto dal marmo al modello, utilizzando la larghezza esistente ( partendo quasi fatti, se il materiale da togliere non è eccessivo ). Con questa tecnica, tutto è molto più facile: supponiamo, a mo' di esempio, che la distanza tra il 3° e 4° punto, la larghezza, sia, nel blocco, di cm 275; fatte le dovute intersezioni, se riportiamo il 4° capo-punto sul modello, non abbiamo che da dividere per 5 ( cm 275 : 5 = cm 55 ). Il capo-punto 4 può essere fissato direttamente sul " gesso", oppure su un frammento di "marmetta", allineato sul rettangolo perimetrale, che è segnato intorno al modello come una cornice, nel contesto delle linee e dei supporti (capi-punto ). Il rettangolo prefigura, in proporzione, lo stesso parallelepipedo ( la sua base ) delineato dal marmo. Quindi, compatibile con le distanze del perimetro già definite intorno al modello. Se non vi sono queste condizioni, troppa "roba ", si toglie il marmo necessario.





L'utilizzo della calcolatrice

Si è accennato ai numeri interi ed infinitesimali come quoto, è raro che non si possa aggiungere o togliere qualche centimetro per calcolare un numero intero ( es. cm 605 : 121 = 5; oppure cm 601 : 120,2 = 5 ); ma quando ciò non è possibile, non cambia nulla, poiché sono due grandezze omogenee ( uniformi ). In questo esempio, cm 601 : 120 = 5.008333333: il quoto divide e moltiplica, nella stessa maniera, come indicato in quelli precedenti. Se vi sono dubbi o difficoltà si può sempre effettuare un semplice controllo, con il supporto grafico dei triangoli sotto dimensionati, ridotti ad un 1/3 o 1/2, già menzionati nel capitolo precedente.





LE SQUADRE DEL VASARI





Volendo ringrandirlo”, il modello, bisogna che ai piedi del blocco (la statua) sia applicata, orizzontalmente, un braccio della squadra, della quale, l'altro vada in alto, e prosegua fino alla testa della figura. La condizione è quella che “ si tenga sempre il fermo del piano” (rispetto a quello del modello e della sua riproduzione). Queste sono le indicazioni che consentono di effettuare, anche secondo il Vasari, una corretta smodellatura priva di rattoppi. E' difficile immaginare, con certezza, la fattura e posizione delle squadre descritte nelle “Vite” dal Vasari, a quale tecnica o proporzione si riferisse, “volendo ringrandirlo – il modello – a proporzione nel marmo”....

Questa tecnica non è certamente rappresentata da una incisione del Carradori, come in alcuni casi è stato erroneamente pubblicato, dove si espone una tecnica simile a quella, da noi oggi, detta del telaio (non in maniera certa delle squadre). Osserviamo che, in moltissime incisioni e foto, sono raffigurate le “gabbie”, dette appunto squadre, molto simili a delle cornici dove si incastrano quadri, che sono fissate ortogonalmente alla parete con un lato, e mostrano aggettanti i tre restanti, parallelamente al piano terra, per consentire che, dal filo a piombo, si possano misurare le distanze delle cale. Queste tecniche, in disuso e migliorate con innovazioni che sfruttano gli stessi principi della similitudine tra i piani, sono già superate con il concorso di moderni macchinari : si è già detto dei tagli funzionali, con l'utilizzo di varie tagliatrici o del filo diamantato; tagli a ridosso del lavoro da farsi, sempre secondo proporzione. E non è detto che per lavori di pregio e raffinati ricami, in particolare su invasi, di varie forme e ricchi di ornato non ci si possa avvalere di tecniche identiche nella sostanza, come quella detta del telaio in un capitolo già ampiamente descritta. Fondamentale resta il piano di partenza stabilito e, come dianzi detto, il disgrossamènto del blocco.

Di seguito proponiamo alcuni modesti disegni, al seguito delle descrizioni dianzi accennate, per soddisfare la vostra e nostra curiosità. La novità che dette squadre potrebbero essere utilizzate, al meglio, per una produzione seriale, considerati i tempi di preparazione che richiedono: quelli di falegnameria e l'incisione dei rapporti, fissi, in scala. E' chiaro che anche in queste squadre si privilegia il punto di vista frontale, considerando che la loro impostazione e funzione è uguale alla crocetta di appoggio del pantografo. La partenza è sempre predisposta con i compassi, iniziando sempre da piani di riferimento, con l'immediato vantaggio della disponibilità di un telaio, i cui incroci riferiscono immediate intersezioni, e disponibilità di cale prese dalla corda o da un listello. I compassi lavorano, inizialmente, partendo dal primo spigolo delle traverse, o dalla mezzeria, dove incrociano le tacche. Nella prassi, al di là della produzione seriale dianzi riferita, ci sembra migliore l'approccio diretto con i compassi, evitando siffatti marchingegni, salvo complesse e minuziose lavorazioni.





LARDO DI COLONNATA

UN TRONO PER RE MORTAIO

COMUNE DI CARRARA

Il progetto riguarda un mobile in legno pregiato ( la cui tessitura dovrà giocare in armonia con il marmo di Carrara ; quello detto dei "Canaloni"). Nella forma cilindrica del " legno " , leggermente svasata in alto ed in basso, avrà sede , nell'affusto, IL MORTAIO. Questi, nella sua realizzazione, risulterà più pesante e sovradimensionato di quello tradizionale ( con una variazione nelle orecchie, che non saranno stondate, ma a coda di rondine). Detto mobile è facilmente spostabile, mediante l'applicazione, alla base, di piccole e robuste ruote, che sono il supporto convenzionale di oggetti similari. Il mortaio, come " la conca del lardo ", è utilizzabile, oltre che per la produzione di pesto, salse e aromi naturali, in funzione di capiente contenitore. Infatti, il piano del mobile, sotto la campana di vetro, delimita lo spazio di un vassoio per bolliti, pesce, più varietà di insalate, ecc. Il tutto da spalmare con pesto, oli e condimenti vari. Nella "ciambella che corona il fusto sono ritagliate delle nicchie dove alloggeranno vasetti ( possibilmente di marmo o ceramica) ed eleganti bottigliette. Mentre la tavola in legno, che chiude ermeticamente la bocca del mortaio, ha la funzione di un comune tagliere ( per tutti i cibi ); anche per un tritato di prezzemolo ed altri odori, richiesto, seduta stante, nel servizio ai tavoli.

IL RE MORTAIO, come la conca per il lardo, fa parte, a pieno titolo, della tradizione Carrarese e si è sempre presentato nudo nella sua forma originale. Oggi, lo riteniamo meritevole di posizionarsi su un trono di legno pregiato. Insomma, è degno di indossare un vestito adeguato, considerato che ha ospitato, un tempo, il cibo più povero e di largo consumo ( il lardo in sostituzione del più costoso olio). Il riferimento è alla preparazione di soffritti vari, in particolare all'insaporimento unico ed indispensabile dei popolari taglierini nei fagioli; oppure per rafforzare il nutrimento di chi era costretto ad una dieta misera: si riduceva il lardo in una poltiglia quasi liquida, da ingerire come ricostituente. I mortai, nella loro infinita varietà, si nominano dalla misura del loro maggior diametro ( preso sull'orlo esterno dell'invaso ). Considerati fra le più umili lavorazioni del marmo, oggi , non sono più la cenerentola degli elaborati. Uno studio più attento li ha rivalutati, considerando le loro proporzioni: le misure delle varie parti costituiscono un vero e proprio canone. Anche le varie fasi delle loro elaborazione ne rappresentano, nei vari passaggi, metodi ed approcci di pari dignità con l'ornato e la scultura.





ANONIMO.

PROVA STRUTTURALE DI DISCIPLINE PLASTICHE



LA SCULTURA - L'INTAGLIO.



D'acchito, se ci domandano cos'è l'intaglio, ognuno di noi pensa, nell'immediato, ad un lavoro decorativo, o ad un'arte minore, finanche ad un'iscrizione nel marmo. Subentra dopo, la convinzione che sia arte o lavoro antichissimo dello scolpire, in alto o bassorilievo; non solo in legni pregiati, ma pietre dure e marmo. Così si apre la mia prima riflessione, che parla di un'antichissima civiltà, l'Egitto, dove con un linguaggio ed uno stile singolare, i rilevi campeggiano sia nei templi sia nelle stele sepolcrali: sono incisioni profonde disegnate su un piano non modificato. Certo, in questo periodo, non mancano lavori d'intaglio su materiali pregiati ( legno, avorio ), precursori di quell'arte che caratterizzerà altri contesti storico- -culturali, fino ai giorni nostri.



I Rilievi (differenze ).

L'alto rilievo, molto sollevato dal piano, annulla, quasi del tutto, la gradazione prospettica dei volumi: Il bassorilievo è il suo opposto: infatti le figure, seguendo il degradare dei piani, sono scolpite con grande diminuzione dello spessore stesso, fino ad affiorare, più o meno, dal piano dello sfondo, delineando un singolare campo prospettico. Il modellato segue, quindi, un suo plasticismo ed un suo stile o tecnica, cosicché il movimento e la profondità dei piani, come le zone di luce e di ombra, possono esprimersi in diversi spessori, basso o medio. Una considerazione a parte merita lo schiacciato: è una tecnica che deforma le figure in larghezza, dando loro potenza ( es. La Madonna della scala di Michelangelo ).



Il Tutto Tondo ( sculture ornamentali e decorative ).



Ma qual'è, in effetti, la differenza tra sculture ornamentali e decorative, perché le ho distinte nella domanda? Fin'ora, il concetto mi è sempre stato chiaro: ornare e decorare significa abbellire. Che senso ha distinguerli? Provo ad approfondire, mi immergo in alcune riflessioni che, subito, mi sembrano forzate. Non mi convincono i due concetti “ ornamentali e decorative “, indipendenti tra loro, che possono essere riferiti a qualsiasi arte o tecnica. Si insinua forse una subordinazione della scultura all'architettura? O al contrario, vi può essere, alla pari, autonomia e complementarietà? Non sono entrambe forme e invenzioni dell'artista? In altri termini, nella visione michelangiolesca l'architettura è costituita da parti “soprammesse” ( per via di porre ): all'opposto, le sculture, liberano le forme “per forza di togliere“. Per Michelangelo non solo scultura e architettura sono sullo stesso piano, ma egli, anche in architettura è essenzialmente scultore. Entrambe sono un insieme plastico: cosicché, le sculture che rappresentano una storia, fatti, persone, e l'architettura delle funzioni, non sono altro che un rapporto, calcolato, di pieni e vuoti. Per Michelangelo “la scultura non è subordinata all'architettura, come nel medioevo; né, come nel primo rinascimento, vive autonomamente (Verrocchio, Pollaiolo). In Michelangelo l' una e l'altra hanno una sola matrice: sono forme (e quindi idee) individuate dall'artista, o, meglio, «inventate» (nel senso del latino, da invenio, «trovo» ) scoperte, messe alla luce”. È il nocciolo della poetica Michelangiolesca: è la lotta dell'uomo per la sua liberazione. È il motivo costante dell'opera sua legata al non finito: dove tutto è possibile, avveniristico, nella quale già il segno, quello dei ferri, tracciato dalla estemporanea maestria della mano, mostra volutamente reinventandoli i contenuti. È l'idea che si forma, mano a mano, con un'espressione strutturata che partorisce, e mentre nasce, costruisce e trasforma in un modo diverso l'universalità delle cose. Questa è l'estetica di Michelangelo la bellezza di un'opera che esprime, in ogni momento, tutto il senso in se stessa: poiché tutto è in pregiudicato, nulla è certo; come lo è la perenne lotta dell'uomo nel dare un senso alla propria esistenza.

Spulciamo un'altra sottile differenza. Se voglio rendere piacevole ed esteticamente prezioso la parte di una chiesa o palazzo, posso limitarmi ad uno o più particolari. Ma se mi pongo un'idea ornamentale, che è essa stessa stile e linguaggio, coerente con l'insieme delle funzioni e significati, ho concepito qualcosa che è parte essenziale di un contesto, senza la quale, questi, perderebbe forza espressiva ( Sacrestia nuova, Basilica di San Lorenzo ). Riaffermando anzitutto che, l'architettura, la sua storia, altro non è che la storia delle concezioni spaziali: “ il giudizio architettonico è fondamentalmente un giudizio sullo spazio interno degli edifici. E se il giudizio non si può dare per mancanza di spazio interno, questo rientra nella storia della scultura”, che è essenzialmente porzioni di spazio o prolungamento di volumi. E non è detto che il valore di una qualsiasi opera architettonica si esaurisca nel solo valore spaziale. A mo' di esempio: “ ogni edificio è caratterizzato da una pluralità di valori: economici, sociali, tecnici, funzionali, artistici spaziali e decorativi, e ognuno è padronissimo di scrivere storie economiche dell'architettura, storie sociali, storie tecniche e volumetriche”. La realtà di un edificio è conseguenza di tutti questi fattori, ed una sua storia valida non può dimenticarne nessuno. “ E' anche vero che uno spazio soddisfacente, se non è sostenuto da una adeguata trattazione delle pareti che lo racchiudono (bella decorazione ), non crea un ambiente artistico”. Un'altra considerazione ai margini, è che, comunque, ornamenti e decorazioni, richiamano e alludono ad una supremazia. La Chiesa li ha sempre inculcati per imporre significati, verità divine, per ammonire o impaurire il popolo, il quale mentre riceveva prediche e sermoni si trovava contornato da moltitudini di simboli e rappresentazioni.

Ciò sembra sottendere una funzione didattica, al fine di educare ed influenzare. Ciò riguarda le immagini simbolo, astrazione simboliche, decodificate in ogni forma di linguaggio, per renderlo funzionale ai valori che si intendono trasmettere, con immagini emozionali e costanti riferimenti al soprannaturale. E' il programma della Controriforma, rivolta al popolo ignorante, insistendo sul valore didascalico e propagandistico delle arti figurative. La Chiesa diffonde il proprio messaggio sul cattolicesimo. Esemplare l'arte Barocca, arte teatrale volta a stupire e impressionare le masse. Non dimentichiamoci dell'immenso patrimonio artistico, culturale e anche religioso, che queste vicende storiche hanno lasciato all'umanità.



SCULTURE MONUMENTALI ARCHITETTONICHE



Quelle monumentali assolvono una funzione specifica, indicando una appartenenza , possono rappresentare un evento, un episodio storico, un personaggio insigne ( a Manzoni, Leopardi, Foscolo ).

Quelle architettoniche sono, spesso, grandi complessi: ponti, templi, gran parte della architettura moderna: ammirevole Le Corbusier e la sua famosa definizione: “L'architettura è un gioco sapiente e meraviglioso di volumi composti sotto la luce”. Qui si ricorda una grande “scultura” astratta: La Cappella di Notre Dame-du-Hult in Francia; un'altra è La Filarmonica di Berlino di Hans Sharoun. Quindi, penso sempre riferiti all'architettura/scultura – si dice -, “moltissimi possono essere gli esempi, di cattedrali e templi, bellissimi quelli indiani a forma piramidale. Vi sono persino interni e tanta parte dell'arredamento moderno che hanno forme scultoree”. Sarebbe ardito obiettare che in detti complessi architettonici non vi siano spazi, nel rarissimo caso esorbitano dalla storia dell'architettura, come l'Arco di Tito, la Colonna Traiana, una Fontana del Bernini, appartenendo per specificità e competenza, molto di più alla scultura, e come valore intrinseco, ad un conclamato valore urbanistico.

Ha ragione Bruno Zevi: “ la verità è che gli edifici sono giudicati come fossero delle sculture e delle pitture, cioè esternamente e superficialmente, come puri fenomeni plastici, riducendo tutto a valori pittorici. E' un errore, anche la scultura solo raramente è riconducibile a questi (molte delle sculture di G. L. Bernini ). L'architettura è diversa dalla scultura e dalla pittura, nonostante che, forzatamente modernamente, la si sia assimilata a tutte le altre arti figurative. Lo è per diversità tecnica e di linguaggio, ma si è voluto interpretare, il suo volume edilizio, come la configurazione di un'opera scultorea: nella pittura moderna, l'artista stilizza l'umano, lo sintetizza e semplifica fino a renderlo, nella rappresentazione, simile ad una realtà architettonica. Perdiamo di vista una gerarchia di valori: lo spazio, il vuoto, è il vero protagonista della nostra storia: perché l'architettura non è solo arte, ma è il vissuto di tutti noi una concezione estetica, è l'ambiente del nostro eterno presente, all'interno del quale si svolge la nostra vita. Ogni volume edilizio rappresenta la creazione di due spazi: quelli interni, architettonicamente ben definiti; gli altri, esterni, in continuità con il gioco delle opere urbanistiche attigue e loro prolungamenti”. Diverso, invece, è il godimento nell'intaglio; diversa è l'emozione, subitanea, nello scoprire volumi ( letterale: portarli, gradualmente, alla luce ), e nel realizzo delle forme volute (fortemente e passionalmente). Qui, manualità e spiritualità si fondono in un unico sentire, poiché sono in composizione con la materia stessa ( e nel vedere già dentro di essa la futura creazione ).



OPERE REALIZZATE E DI SEGUITO DESCRITTE

( tutte facenti parte di collezioni private ).

ARA GAUDIUM

Concordiamo, ma amiamo anche un'altra virtù, elevandola al di sopra della volgarità dei nomi. Sognare e stupirsi sempre, con l'entusiasmo e la capacità tipica dei bambini: semplicemente; come fosse la prima volta, davanti a tutte le cose del mondo, nell'integrità di tutte le sue suggestioni e visioni, per liberarci dalla contaminazione di schemi razionali. Occorre riscoprire il fanciullino che è in noi nell'unità del corpo e dello spirito, nelle novità delle esperienze, nelle sue forme di dolcezza e bramosia; così come vengono dal profondo delle viscere. La realizzazione dell'Ara Gaudium in pietre lavorate è composta di piccoli oggetti da toeletta, per rimestare, spalmare e sfarinare, sia le creme per la cura del corpo che i pigmenti per l'arte del trucco. Il presente elaborato ( Ara Gaudium), segnala una consuetudine che ha accompagnato la vita pubblica di antiche civiltà: dagli Egiziani ai Persiani, dai Greci ai Romani ; e come unguenti, profumi e trucchi scandivano le mode ed i lussi del tempo: usi estetici, estatici e di godimento che i costumi riproponevano ciclicamente. (Le stesse pietre mantengono il valore simbolico dei popoli antichi : " si riteneva che esse segnassero la casa degli Dei ". Sono consistenti Archetipi - rappresentazioni dello inconscio di esperienze primordiali comuni a tutti gli uomini - che esercitano una enorme influenza su di noi ). Perciò detto, dichiariamo la nostra devozione a Dioniso, non il Bacco ubriacone, interessati di più all'ebbrezza mentale. L'oggetto della nostra filosofia è il "desiderio", il liberarsi di colpo dalle preoccupazioni quotidiane, regalandoci momenti di raccoglimento e riflessione, dedicando molta attenzione alla cura del nostro corpo: per ritrovarsi nell'ebbrezza fisica ed intellettuale, confacente al bisogno estatico e del godimento. " E' quasi un rituale doveroso, in tutte le comunità civilizzate rapidamente, conservare l'amore per il primitivo, il desiderio di condurre un genere di vita più istintivo e passionale; diverso da quello sanzionato dalla morale corrente". Dobbiamo essere capaci di osservare meglio e di più le cose che ci circondano, i loro colori, la quantità di luce riflessa, lo spazio che occupano; oppure come da questi si lasciano invadere. Infine, le sensazioni al tatto delle loro forme, secondo la consistenza materica o la qualità dei rilievi; poi la lucidità, il messaggio lascivo, per la piacevolezza nel maneggiarne la loro forma e textura. Ognuno vede e sente ciò che sa : percepiamo la forma secondo la nostra esperienza personale. Passionalmente immaginiamo ciò che non è raffigurato; e raffiguriamo ciò che non è descritto. È un esperimento che amiamo proporre simbolicamente nella scultura e nell'architettura come oggetti del, e, per il desiderio . Percepiamo l'uomo su un piano diverso, nel sentire e nella condotta. Questa reazione del pensiero e dei sentimenti ci porta a recepire questi semplici versi:

SEI ANCORA QUELLO DELLA PIETRA

E DELLA FIONDA, UOMO DEL MIO TEMPO...

S. QUASIMODO.











IL TALLONE DI ACHILLE





Il presente è l'unico piede che può segnare una rete a " Gigi Buffon ", di tacco però, esclusivamente! Il soggetto, facezie a parte, è quasi sempre un pretesto per esprimere diverse sensibilità. Volutamente, il lavoro non è tratto da un unico blocco di marmo, ricco di tutte le sue qualità. Ho assemblato materiali poveri: un composto di oggetti che possiamo aver maneggiato e/o incontrato nel tempo, e per tanto presenti nella nostra memoria, familiarmente. Il piede in marmo fu, quasi certamente, una scaglia o uno scarto di un'opera più grande. Raccolto a valle del 'Carrione', aveva preso, grossolanamente, quella forma, dopo aver ruzzolato lungamente durante le fiumane: sono stati sufficienti pochi ritocchi per raffinarlo. Così pure la suola del sandalo o la base stessa, sono stati presi da un vecchio rifugio diroccato sull'Alpe, poi rielaborati. L'uno, la piastra, costituiva parte del tetto; l'altro un vecchio scalino penzolante. Sono tutti oggetti che esprimono un vissuto ed una memoria popolare della nostra città. È questo il " Presente " , genuino, che mi permetto di porgerti, nell'intento di ricordare il compiacimento di tutta la città, dopo i recenti mondiali di calcio; ma anche e, contemporaneamente, a tutta la tua meravigliosa famiglia, verso la quale i Carraresi, quelli veri, nutrono grande stima e simpatia.

AFFETTUOSAMENTE:

L'APUANO ( IL GIOVANE )









IPSIA MARMO

Programma.





La scuola del marmo, dalla sua antica atipicità ( di arti e mestieri ) ad oggi, dovrebbe aver smarrito qualcosa della sua ricchezza originaria, se le iscrizioni scolastiche registrano preoccupanti abbandoni. Ricordiamo un consiglio datato ma attuale: “Quando personalità, società od istituzioni, soffrono un periodo di crisi, occorre che ritornino ai loro sani principi, a quel periodo aureo e di manifesta affermazione e radicamento. Ovviamente, nella loro realtà territoriale come nel sentire della gente”. Si è detto e ripetuto, più volte, “ sull'unicità “ di questo Istituto ( unico al mondo ); vediamo meglio di cosa si tratta: - di una formazione didattica e/o professionale qualificata?; - di uno sviluppo, alto, inerente le capacità interpretative nella riproduzione di opere o copie artistiche? Oppure l'abbandono di tutto questo, nella esclusiva affermazione del solo “mestiere”, meccanicamente inteso; o, ancora, semplicemente aspettativa funzionale ad un impiego qualsiasi, con un'istruzione fine a se stessa e genericamente intesa, acquisendo un diploma? Ripensare alla nostra storia, alla dedizione di intere generazioni di famiglie carraresi vissuta nel patrimonio di laboratori e botteghe ; ripensare alla loro abilità e sensibilità artistica ed artigianale ci inorgoglisce: soprattutto se ne consideriamo la capacità interpretativa. Capacità che contiene in sé un indubbio valore segnico, manifestato con un notevole apporto creativo ed un concorso di idee. ( Ed è in questo contesto di collaborazione, quello “tra ideatore ed esecutore”, la prova provata sia delle soventi correzioni sui modelli originali, sia del contributo di alta maestria raggiunto dagli scultori carraresi nella veicolazione delle opere d'arte). Quindi non necessitiamo di un contributo, e di un diploma, fine a se stesso; ma di alcune iniziative e pulsioni che individuano, nell'antica filiera, i suoi punti di forza. Istruzione e mestieri possono compenetrarsi: l'unicità di tutto questo, è portare la fabbrica nella scuola, consapevoli di operare nel contesto di un territorio ricco di imprese e con una pesante storia sulle spalle. Ma di tutto questo nessuno si rende conto, così come non esiste una regia, un collegamento efficace tra le varie realtà; eppure il termine “ far sistema “ , vacuo quanto mai, continua, di bocca in bocca, il suo giro trionfale tra simposi, seminari ed altro ancora. Indichiamo un programma minimo, per attualizzare e pubblicizzare il ruolo dell' IPSIA nel contesto della realtà sociale ed economica della città. Se si va al cuore del problema , non si può non rilevare la endemica scarsità di adesioni da parte dei giovani. E' il sintomo di legittime aspettativa non soddisfatte? siano esse occupazionali o deludenti nelle molteplici aspirazioni individuali ed artistiche.

2 -

Detto programma può riprendere l'iniziale filiera del mestiere della scultura, partendo da alcune iniziative elementari : Fuori programma, ma degno di futura considerazione, il disegno di figura ed anche di progettazione, con corsi adeguati: il disegno di figura utilissimo allo scolpire; il progetto, per impostare e preventivare un lavoro. Iniziare con le vecchie tecniche: dallo scandagliare alla sbozzatura, all'utilizzo del pantografo e dei compassi e loro tecniche ( angolo di proporzione, telaio e squadre, puntoni ). Prevedendo di utilizzare il contributo di figure esterne, artigiani e mestieranti, per mutuarne le esperienze migliori.

organizzare un minimo di attrezzatura da officina, necessaria alla fase preparatoria di ogni lavoro; installare una “ forgia “, per ottenere una tempera migliore dei ferri adeguandola al lavoro da farsi ed all'uso personale; inoltre consentirci una conoscenza migliore dell'intaglio, soprattutto nella fase di rifinitura.

Tecniche di rifinitura

1.Importantissima per una perfetta esecuzione dell'opera, la rifinitura è un tantino in ombra rispetto alle precedenti fasi di lavorazione. Gli studenti riescono, anche i meno bravi, a portare a termine la fase di smodellatura; e se non sempre terminano questa fase in maniera soddisfacente, ancor meno lo è il lavoro di impasto e rifinitura dell'opera. Viene così mortificata una specificità del marmo: quella di essere levigato/lucidato in stadi diversi ( a seconda che si voglia maggior opacità o lucentezza ); o quella di esaltare ora i chiari ora gli scuri; ora le linee od una maggiore plasticità, a seconda della lavorazione. Così come nel disegno, pittura e architettura, anche nella scultura è importante la pelle o la texture voluta, effettuata dai passaggi con subbia, gradine, scalpello, smerigli ecc.. Il non finito può esservi compreso dall'esecutore, secondo i suoi intendimenti artistici. Prevediamo, che le tecniche adottate ed il lavoro svolto, possano essere oggetto della pubblicazione di un libro di testo e di un CD, per documentare tutti i vari passaggi di studio e di lavoro del “mestiere”, facilitandone così la comprensione. Con questa modesta iniziativa auspichiamo maggiore attenzione da parte della città e delle sue istituzioni; è il nostro messaggio che non demorde, sulla prestigiosità ed originalità della scuola del marmo. Non secondario è l'intento di stimolare adesioni e contributi.



OCELOT ( OCELOTTO ) : Il dono, in pietra, e' l'interpretazione di una copia dell'originale.

Simbolo di una divinità, rappresenta una casta di guerrieri aztechi. Raggomitolato su se stesso in una tensione aggressiva, l'ocelot, il selvaggio felino è comunque il simbolo perfetto di un ordine militare. Nel mio sentire , al di là della simbologia, è nell'originale, spero anche nella copia, una rappresentazione di carattere e di forte e libera personalità. Per questi motivi lo considero di buon auspicio, meritevole di esempio nell'avvenire di ognuno : l' ocelot sa lottare pericolosamente, in armonia con l'ambiente in cui vive.

LO CONSIDERO UN PORTAFORTUNA, UN AMULETO, INSOMMA!

Questo enorme gattone mi ha ispirato perché lo trovo speculare ad una massima di Pericle:

" il segreto della felicità è la libertà. E il segreto della libertà è il coraggio ". Augurandoci un felice futuro, almeno per un altro secolo e rotti, spero che sia di tuo gradimento questo soggetto delle civiltà Precolombiane.

Infinitamente







LA VENERE DELLE APUANE





Venere, dea della bellezza è assimilata alla greca Afrodite, concepita come l'intima potenza animatrice e propiziatrice dell'attività creatrice dell'uomo, sia nel mondo fisico sia in quello del pensiero e dell'azione. E' anche garante del successo degli uomini politici. Afrodite ( Venere ), particolarmente venerata a designare l'amore celeste e l'amore terreno, cioè quello sacro e profano; dunque, Dea della bellezza e dell'amore, nasce dalla spuma del mare: così com'è dipinta dal Botticelli, mentre approda sulla valva di una grande conchiglia, spinta da Zefiro, vento primaverile. In ogni Venere, la bellezza e purezza del corpo, pur nella sua integralità e sacralità, peserà quella voluttà e quella femminilità, che manifesterà perennemente il segno del dominio: conquista, desiderio, profanità. E' sufficiente richiamare un altro dipinto, contemporaneo alla “ Nascita di Venere “ del Botticelli, quello de “La fuga di Nastagio”, per coinvolgere l'amara realtà sopra accennata: qui, nel quadro, “il Cavaliere rincorre e sviscera la fanciulla che gli si era rifiutata. Il tema coinvolge, da sempre, il tragitto dell'umanità, rapportandola alla vita mondana, ben oltre la felicità, i piaceri, la condizione naturale, i diritti della persona. Rispetto alla pittura, è più difficile affidare, al freddo marmo, tante palpitazioni ed un meglio connotato realismo. ( Una materia, il marmo, anche essa carica di fatica e sudore, causa di profonde ferite nel corpo sociale ). Ed ecco! per via del levare, liberando progressivamente il masso, affinando il concetto, l'idea, di questa Venere delle Apuane, legandola ai contenuti e forma dei “ Prigioni “di Michelangelo. Intrigare questa Venere, cogliendone il momento dell'impaccio, nel togliere l'indumento bagnato e strettamente fasciato al torace, è cogliere l'attimo di una difficoltà temporanea con il proprio essere. Vieppiù, l'impedimento si manifesta annodando le braccia a fiocco, appesantendo il movimento con quel anfratto di conchiglia, sulle spalle.

Spogliarsi del fastidioso ostacolo suggerisce una dipendenza invisa da qualcuno o da qualcosa: suggerisce l'ansia di una liberazione comunque ed ovunque, sulla pelle del proprio corpo, spiritualmente e materialmente.

Apuania, 28.12.2009.

L'APUANO ( il giovane )





ESTASI DELLA LIBERTA'

L'ESTASI DELLA LIBERTA'



Rivisitando Brancusi, lo scultore, nella presente opera, studia e ripropone una diversa versione della sua Mademoiselle Pogany. Riconsiderandone, di questa, la purezza nella sua forma perfetta, simile ad altre opere del Maestro, nelle quali, servendosi di un modulo ovaleggiante, ricerca e trova, astraendoli, gli effetti più puri ed assoluti della materia , come i volumi, le linee, i ritmi. Cosìcché , la testa di donna, titolata Estasi della Libertà, ispirandosi a Mademoiselle Pogany reinventa, immodestamente, il soggetto ed il linguaggio, proponendo contenuti diversi e fantasiosi: - una mano aperta, nell'atto di creare un volto, una testa di donna. Una mano simbolica: laboriosa, amica, calda, avvincente e sincera; gestante, nell'attimo di librare, nell'aria, quei volumi, quelle linee, quel volto classicheggiante; - una mano custode, nel segno dell'adattamento e della continuità. Il progresso e l'appagamento sono nelle nostre mani.



Lo scultore : L'Apuano (il giovane)

Apuania, 2000.

Materiale: marmo statuario.



LA MÙSA ADDORMENTATA .





Le mùse - nella mitologia greco-romana - sono le nove dee che proteggono le arti e le scienze.

IL soggetto del sonno, come pretesto per aprirsi ai sogni, alle allucinazioni, al mistero, non è nuovo, per visualizzare l'inconscio attraverso immagini e sensazioni ( Goya e Redon, assommano in sé la tendenza Romantica e l'estetica Simbolista ); ciò può anche rappresentare un'interfaccia carica di significati simbolici ed espressivi ( Espressionismo ). Così come l'arte di Brancusi astrae dalla realtà: infatti le sue opere sono caratterizzate da una forte purezza espressiva, con un'intenzionalità volutamente istintiva (lo scolpire direttamente, ignorando qualsiasi modello ).





DESCRIZIONE DELL'OPERA.


La testa reclinata della mùsa addormentata sembra, più che un coricarsi per un sereno riposo, l'espressione di un linguaggio, di uno stile, ridotto all'essenziale, nella sua estrema sintesi, con quelle sue forme pulite e allungate. L'opera, ispirandosi alla purezza delle opere di Brancusi, tenta di riproporre un nuovo e diverso primitivismo, connotato da un intenso richiamo all'oggi e da una coerente libertà creativa. L'idea è quella di racchiudere nell'iconica spiritualità di una singolare postura, il naturale senso di estraneazione, quell'etereo sentimento di distacco dalla realtà, così dolce in un momento di intimo abbandono . Questo sognante formalismo emozionale, ha acceso la mia fantasia: quelle braccia , diversamente posizionate, ricordano altre civiltà? altre testimonianze? le rovine di Stonehenge? Forse.

Nulla e può sminuire l'immensa capacità del sogno e dell'immaginazione, nessun'altra realtà gli è pari, quantunque fosse rappresentato l'universo stesso.

Perciò quella testa adagiata sul piano delle mani, con la coppia irregolare delle braccia, ripropone un pesante componimento d'insieme, nell'incombenza di quell'abbandono, condizionato da una profonda forza di gravità, nella similitudine metaforica delle magiche ed enormi pietre di Stonehenge: enormi e sovrumane colonne che sembrano offrire, con quell'architrave, un sofferto sacrificio ad una qualche divinità delle galassie.



Lo Scultore

L'Apuano ( Il Giovane )